In questi 41 anni, più volte sono passato per quel tratto di Val Bisagno che dalla Foce va al cimitero di Staglieno e all’autostrada, dominato dal carcere di Marassi e dallo stadio Ferraris. Ogni volta guardavo con una stretta al cuore il letto del Bisagno, notando che tutto era come 41 anni fa, forse un po’ peggio.
Anche se vengo da un’altra parte di Genova, sono legato alla Val Bisagno per i miei primi passi da giornalista, quando passavo le domeniche mattine ai bordi di quei campi di calcio per raccogliere in scarne cronache di poche righe più formazioni arbitro e marcatori, trattando come fossero Genoa o Sampdoria squadre che si chiamavano Gbc Canevello, Anpi Casassa, Molinello.
Nella mia memoria, l’alluvione del ’70, è più di un fatto di cronaca come tanti altri, perché la vissi da cronista, in diretta.
Dal finestrone dell’ufficio dell’Ansa in via De Amicis vidi arrivare l’acqua della piena attraverso l’angusta galleria che passa sotto la massicciata ferroviaria della stazione Brignole. L’acqua, uscita da quel piccolo tunnel con la forza di chissà quante atmosfere, invase tutta la grande piazza, entro nelle fondamenta del palazzo dove lavoravo e dove soprattutto si trovavano, allora, le rotative del quotidiano Il Secolo XIX, che non fu stampato per giorni.
Ricordo che guardai con distacco arrivare quell’acqua cattiva, violenta, che sommerse l’immensa piazza alberata, e, congiungendosi con l’onda più massiccia proveniente da un altro sottopassaggio più ampio in fondo a corso Sardegna, conquistò piazza della Vittoria, quella delle caravelle e dei bei palazzi di Piacentini, per arrivare fino al mare lasciando dietro di sé un miscuglio di fango e rami secchi.
La guardai senza emozione, perché oltre ogni capacità di emozione fu la scena e al tempo stesso remota, come un’invasione di marziani, qualcosa che mai avresti pensato sarebbe potuta accadere.
Mi misi alla macchina da scrivere e non me ne staccai per 72 ore di fila. Non c’era bar né ristorante aperto nella zona, mia moglie e mia sorella mi portarono panini e un polpettone da casa, in una zona risparmiata dallo straripamento del Bisagno.
Intanto il conto dei morti cresceva, il bilancio dei danni saliva. Si andò avanti così per un po’ di giorni, poi si rientrò nella normalità.
I genovesi superarono lo choc, si misero al lavoro, tutto tornò a funzionare. I genovesi sono mugugnosi ma non piagnoni.
