Il 1970 fu l’anno in cui si avviò quella infernale macchina mangiasoldi di sottogoverno e sprechi che poi si rivelarono essere le Regioni. Quella ligure cominciò a vivere con mesi di ritardo, perché, come ricordò il primo presidente, nei giorni in cui era prevista la cerimonia inaugurale c’era stata, appunto, l’alluvione.
Ma se oggi parliamo di Genova sommersa nel 1970, dobbiamo ricordare che due anni prima c’era stato il Piemonte sommerso, e due anni prima ancora c’era stata l’alluvione di Firenze, di cui molti anche dei più giovani avranno visto, nei passaggi in tv o in dvd, un coté comico in un episodio di Amici miei.
Anni prima ancora c’era stata la tragedia del Polesine, che commosse l’Italia appena uscita dalla guerra, che avvolse nella “catena della solidarietà” quelle povera gente contadina nello slancio di un’Italia più povera ma forse più solidale, anche se da quel terribile autunno del 1951 il Polesine non si è più ripreso.
L’elenco di questo genere sciagure è lungo, risale nel tempo, è un pezzo della storia d’Italia, è una voce di Wikipedia. Ma non voglio fare un trattato. Voglio solo dire che se l’abbandono del Polesine fu facilitato dal biblico passaggio dell’Italia da paese agricolo a industriale, questo non è possibile per grandi città popolate e ipercostruite dalla preistoria.
Il destino di Genova si specchia infatti in quello di Firenze, dove l’Arno non offre uno spettacolo molto rassicurante. Viene da pensare anche in questo caso, che è più facile, per la visibilità mediatica, rottamare che non pulire.
