Italia, dai Savoia all’Europa: non buttiamoci troppo giù

La conferma che ci ha dato il Fatto quotidiano della vanteria di Vittorio Emanuele, per nostra fortuna non IV, con i suoi compagni di cella bel 2006 a Potenza ci amareggia ma non ci sorprende. Ci amareggia perché come italiani pensiamo che forse ci saremmo meritati una casa reale un po’ migliore, ma non ci sorprende se riflettiamo un attimo sulla natura dell’istituto monarchico.

Certo i Savoia sono stati tra i peggiori tra i Regnanti europei, avidi al punto di spogliare i Borboni di Napoli anche del tesoro privato, come testimonia uno scrittore non certo di sinistra come Arrigo Petacco. Ma la storia stessa della nobiltà è fatta di guerre, soprusi, rapine, ai danni di terre lontane, come la Palestina e dei vicini più prossimi.

Quello che distingue i Savoia è che hanno mandato al potere il fascismo: secondo una tesi indulgente e giustificazionista accreditata dopo la guerra nel timore di perdere la corona a favore degli odiati cugini Aosta, a giudicare in prospettiva, per puro calcolo e con rilevanti vantaggi. Mussolini li ha lasciati al loro posto, ma questo può dipendere dal fatto che non era abbastanza forte, inoltre però gli ha portato un regno, l’Albania, un po’ miserabile ma sempre una corona; di più, ha fatto di Re Sciaboletta un imperatore, come il collega di Londra, portandogli in dono l’Abissinia, per poi essere ripagato con l’arresto quando non serviva più, dopo una guerra in cui certamente era stato il duce a trascinare il re, ma in cui il sovrano era stato liberamente complice.

Per non parlare dell’8 settembre, dell’abbandono dell’Italia ai tedeschi e dei milioni di ragazzi sotto le armi affidati alla vacanza dei campi di concentramento, al colpo di grazia delle baionette delle SS, ai ricatti degli arruolatori di Salo.

Però non dobbiamo pensare che solo noi siamo stati sfortunati, noi lo siamo stati particolarmente, ma è la monarchia in sé il male che ci ha afflitto, il male di un sistema in cui un signore per diritto divino si proclama nostro padrone e ci chiama suoi sudditi. Le monarchie costituzionali risalgono le più vecchie a due secoli fa, mentre prima, dalla caduta di Roma, tutto apparteneva al sovrano, terre e uomini, tanto che in Russia la ricchezza di un nobile non si misurava in superficie o città ma in anime.

Gli antichi erano stati più decenti. Anche se poche decine di famiglie governarono per secoli le città greche e Roma, le loro oligarchie avevano almeno la forma di democrazie, un po’ ristrette ma il massimo per quei tempi.

Però noi siamo stati particolarmente sfortunati, o meglio abbiamo avuto una monarchia che meritava un paese espressione geografica, un terzo sotto il dominio di una casta religiosa, cosa che non ha uguali nemmeno nel laico, ancorché a base etnica circoscritta, stato di Israele; un terzo colonia di una potenza semi continentale che ha lasciato il nostro Nord Est miserabile quanto nostalgico fino al mercato comune europeo. Questo sarebbe l’anniversario da celebrare, in verità, piuttosto che quello dei 150 anni, che finora, secondo le migliori tradizioni ha dato solo occasione a ruberie e retate dei carabinieri.

Cosa fosse il Piemonte lo intuite subito leggendo Rosario Romeo o Lucio Villari o quanti hanno descritto le condizioni del Piemonte, non della Calabria, prima delle riforme di Cavour.

Poco di meglio dopo l’unità, operazione tanto eroica quanto posticcia, che ha messo in ginocchio il Meridione e ha lasciato abbastanza pezzente il Nord. Una prova del fatto che era una dinastia di serie B per un paese da Promozione è, ma forse sbaglio e sarei orgoglioso di essere smentito, nel fatto che la regina Vittoria, che ha piazzato figlie e nipoti in mezza Europa, inclusa la Grecia, ci ha lasciato a secco, tanto che Umberto I la moglie l’ha dovuta prendere in Montenegro e suo figlio, Umberto II, in Belgio.

Dopo la caduta, i Savoia ebbero un momento di decoro e dignità grazie all’immagine che seppe proiettare della dinastia l’ultimo re d’Italia, Umberto II, aiutato dal momento magico dei rotocalchi Oggi e Gente, il cui messaggio patinato era pari a quello delle statue degli imperatori, tutte uguali a se stesse, nelle più sperdute lande dei domini romani; meglio ancora della tv, perché non c’era il rischio di una voce sgraziata, di una battuta stupida, di una mossa scomposta.

Come fosse davvero Umberto non lo sapremo mai, anche se fatto che la tanto mitizzata anche a sinistra moglie belga Maria Jose abbia vissuto la maggior parte della sua vita lontana dal marito non fa pensare a un matrimonio felice e non e negli schemi dei doveri regali. Chi ha mai letto qualcosa sulle vicende domestiche dei reali inglesi, belgi, spagnoli o scandinavi sa che ci si e comportati, anche in questo, con ben altro stile.

Certo i figli dell’ultimo re qualche segnale già lo hanno dato, con Beatrice che domino le cronache rosa degli anni cinquanta con lo scandalo della sua liaison con l’attore Maurizio Arena.

Le vicende di Vittorio Emanuele sono deludenti soprattutto per chi si aspetta dal rango un comportamento adeguato senza pensare che per costoro il rango non e servizio e dovere ma privilegio, e questo per il pretendente al trono d’Italia e vero a partire dalle prime goliardate quando si iscrisse alla facolta di legge di Torino, senza peraltro potere frequentare per via della vituperata Costituzione repubblicana, anatema per Berlusconi e Tremonti.

Per non parlare della risse giudiziarie tra fratelli Savoia per spartirsi l’eredita di Maria Jose e delle risse mediatiche tra cugini Savoia e Aosta per il titolo di pretendente al trono.

Poi c’e l’ultimo rampollo, Emanuela Filiberto, che circola, come il padre, liberamente per l’Italia grazie a una convergenza di buonismi che se da parte della destra si può comprendere col calcolo elettorale, per la sinistra costituisce uno dei più sciocchi tradimenti di uno dei suoi miti fondanti, la Resistenza. I francesi, se non altro, i loro pretendenti al trono li hanno tenuti fuori dei confini per cent’anni dalla caduta dell’ultimo re, Luigi Filippo.

Detto questo, se vogliamo essere giusti, dobbiamo anche dire che i nostri ex reali ci hanno delusi perché anche i più ferventi repubblicani tra noi vorrebbero che comunque la ex famiglia reale italiana fosse all’altezza delle iconcine che abbiamo adorato studiando la storia d’Italia. Ma dobbiamo anche dire che le altre case reali non sono da meno, con una certa differenza tra quelle che non regnano più e quelle che ancora stanno sul trono.

In Francia sono arrivati al pubblico sputtanamento, tra i vari pretendenti al titolo di pretendente ufficiale al trono che fu di San Luigi, alle risse sulle eredità col colpo di genio del penultimo erede, grande sostenitore di Jean Marie Le Pen al punto di rintuzzare pubblicamente le critiche sollevate da una figlia, che ha sperperato centinaia di milioni di equivalenti euro, lasciando gli eredi a scavare affannosamente nei suoi tiretti, dove recuperarono preziosi  precipitosamente messi all’asta per 14 milioni di euro.

L’Inghilterra è un poema, con Carlo che favorisce gli architetti suoi amici, Elisabetta che detesta il figlio al punto di vedere meglio sul trono il nipote, il quale nipote si sposerà con una ragazza il cui zio, che la futura coppia reale frequenta, è stato indicato da un giornale di destra come il Daily Telegraph come procuratore di ragazze e droga ai ricchi ospiti di Majorca. Altro che bunga bunga. Certo niente in confronto con le simpatie naziste della casa reale inglese, un cui membro, Edoardo VII, zio di Elisabetta, abdicò ufficialmente perché voleva prendere in moglie una divorziata non nobile, ma soprattutto perché la signora, che poi fece commuovere i lettori dei rotocalchi del dopoguerra, come Duchessa di Windsor, era un “agente di influenza” a libro paga di Hitler, tanto che in esilio dopo l’abdicazione la coppia ducale era accompagnata da un agente dei servizi segreti delle SS.

Al confronto di gente così, anche i Savoia diventano paisà.

Se si accetta che il punto dolente non sono le persone ma il sistema in cui agiscono,  il problema non è tanto la qualità di questa o quella casa reale, quanto della classe o delle classi sociali cui fanno riferimento: esse sono un sostegno per i sovrani, come per i dittatori, ma anche li condizionano. In questo i dittatori, basandosi su un agglomerato di sostenitori alquanto raccogliticcio e di bassi e violenti istinti, danno il peggio comunque, mentre nelle monarchie, i loro sostenitori vogliono stabilità e equilibrio e sono tendenzialmente più di centro destra che di destra.

Bisogna dare a ciascuno colpe e meriti. L’aristocrazia inglese era abbastanza tutta filo fascista e filo nazista, con qualche motivazione, visto che lo zar ucciso dai bolscevichi era cugino del re d’Inghilterra, ma alla fine, di fronte alla minaccia della loro indipendenza, si sono comportati con eroismo. La repubblicana Francia, come scrisse Marc Bloch prima di essere portato via dalla Gestapo, preferì mettersi a tappetino davanti agli odiati tedeschi, che però, agli occhi della loro aristocrazia, erano comunque meglio dei comunisti.

Alla fine, quasi 1.500 parole per dire che i Savoia sono pessimi, che la monarchia è pessima, ma gli italiani sono solo un popolo di ex poveri, più sfortunato degli altri anche nelle colonie. Inglesi e francesi vivono ancora sull’eredità del sangue di milioni di indiani e africani, Vienna, che ci ha sfruttato come i francesi con l’Algeria, è ancor oggi più ricca di Milano. A noi avevano lasciato la Libia.Noi dobbiamo tutto quel poco che abbiamo al nostro lavoro e al mercato europeo. Non buttiamoci giù.

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Marco Benedetto