Secondo questa regola, che garantisce il pluralismo a me cittadino più di qualsiasi editore privato (come dimostra il poco spazio lasciato alle voci e alle opinioni dellāopposizione dagli altri mezzi di comunicazione e informazione di proprietĆ di privati) Paolo Ruffini venne nominato direttore della radio e poi della terza rete tv: non perchĆ© venne strappato alla Bbc o alla Fox, ma perchĆ©, nellāambito delle assegnazioni di posti allo schieramento di sinistra in quel momento lĆ , agli ex democristiani toccava quel posto. Per mettere Ruffini a Rai tre, ricordiamolo, venne mandato via senza tante cerimonie il vero padre della terza rete Rai di oggi, Angelo Guglielmi, che da buon comunista accettò la volontĆ del partito senza discutere e venne recuperato da Cofferati come assessore alla cultura al Comune di Bologna.
Oggi Ruffini viene rimosso, mantiene qualifica e stipendio e al suo posto mettono Antonio Di Bella, a sua volta rimosso da direttore del Tg 3 per metterci Bianca Berlinguer. Dicono, ma Ruffini ha fatto bene, perché cambiarlo? Il ragionamento funzionerebbe fino a un certo punto anche in una logica privatistica, perché anche in una azienda privata puoi decidere che sostituisci uno che ha fatto bene nella speranza di metterci uno che farà meglio e perché anche in una azienda privata ci sono epurazioni che Stalin invidierebbe in nome delle cordate di potere: niente di personale, ma devo obliterare tutti gli uomini del predecessore.
Ma nel caso della Rai, la logica non ĆØ quella di unāazienda privata, ma di un servizio pubblico, che garantisca rappresentazione via etere alle componenti sociali, economiche e culturali che formano la societĆ in un dato momento e sono alla base dei partiti politici che rappresentano i cittadini in Parlamento.
Ci sarebbe stato da gridare allo scandalo se a direttore del Tg 3 e della terza rete tv la Rai avesse nominato qualcuno di provenienza Pdl: invece la designazione è toccata alla sinistra, precisamente alla segreteria del principale partito che oggi rappresenta la sinistra e più o meno il centro sinistra in Italia. Se a Ruffini è andata bene quando prese il posto di Guglielmi, perché non deve andargli bene ora? Il problema è tutto interno al Pd, la cui componente non di derivazione comunista scopre a sue spese che Bersani non sarà stato capace di mantenere gli impegni di spezzare le reni agli ordini professionali e di lasciare i tassisti sul bagnasciuga, ma le logiche di potere di antica tradizione che portano allo sterminio del compagno di cordata prima del nemico quelle Bersani le conosce bene.
Commuove poi il presidente della commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, Sergio Zavoli, del quale ancora ricordo dall’infanzia il mito delle cronache del Giro d’Italia, ma non ricordo bene quali competenze lo abbiano fatto diventare, ad esempio, presidente della Rai stessa qualche lustro fa. O forse fu merito della lottizzazione tra i partiti di governo dell’epoca?
