Un Savoia a Sanremo, sbaglio storico di una Italia senza memoria

Emanuele Filiberto di Savoia: ma andate un po'...

Che imbarazzo vivere in un paese in cui un tale, che per fortuna non è e non sarà mai re, va a cantare al festival della canzone di Sanremo. Per carità, lo faceva anche Nerone, e probabilmente fu un buon capo di stato, anche se lo sforzo combinato delle gerarchie ecclesiastiche proto cristiane e dell’oligarchia che aveva il monopolio del grano a Roma ha cercato di tramandarci un’immagine un po’ deformata di un demagogo cui Berlusconi faceva un baffo.

Tutto sembrava predisposto per fare vincere Emanuele Filiberto di Savoia. Il ripescaggio, che ha fatto inferocire la gente in strada, la partecipazione alla finale, che ha provocato la rivolta dell’orchestra, anche la banda dei carabinieri e le musichette marziali della sua esibizione sembravano pensati per un tripudio monarchico.

Per fortuna la giuria popolare, non si sa quanto rappresentativa degli italiani ma certo complessivamente dotata di un grossolano buonsenso, ha scelto in modo diverso, dando un po’ di giustizia a chi sente poco la musica e le canzonette ma conserva profonde memorie e radicati principi.

Sui Savoia gravano colpe ben più gravi di una mediocre canzone cantata male. Ad esempio quella di avere mandato a morire milioni di ragazzi italiani, nel deserto dell’Africa del nord, nelle montagne dell’Abissinia, nelle steppe e nelle nevi dell’Ucraina, salvo poi scaricare tutto su quel povero Mussolini, che da re sciaboletta aveva fatto l’ultimo Savoia in trono un imperatore. “Ca scusa cavalière, ma a i sun i carabinieri che avrebbero qualcosa da dirle”.

Per fortuna che ci pensò Giuseppe Romita, primo ministro dell’Interno di quella che poi sarebbe diventata la Repubblica italiana, a sistemare le cose, altrimenti il voto delle povere masse proletarie del meridione, quelle che votavano Lauro per ottenere la scarpa mancante, ci avrebbe confermato sudditi di casa Savoia, riducendoci sotto un sistema di potere millenario, che non sappiamo dove ci avrebbe portato, non certo al benessere di cui, vi piaccia o no, oggi godiamo.

Certo i grandi prìncipi erano più adatti ad altri momenti, a tempi che si sono inesorabilmente sgretolati nei vent’anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, distrutti paradossalmente dalle dittature italiana, tedesca, russa (in Giappone la monarchia, che era intrinseca e connaturata alla dittatura, ha retto e regge ancora bene), dalla bomba atomica e dal progresso della ricostruzione.

In quei tempi i giornali erano molto più ossequienti, follie, depravazioni, vizi dei nobili erano nascosti, coperti, rimossi. Non c’erano i sindacati. La democrazia era una parolaccia. Le donne troppo sceme per votare. I poveri erano tali per colpa loro, per un peccato originale senza battesimo che li riscattasse.

Bei tempi quelli, per loro.

Una volta il re d’Inghilterra era matto, ma diventava re. Oggi un aspirante re, il conte di Parigi, pretendente al trono di Francia, litiga col figlio, si rende conto che è impresentabile, lo disereda e finisce sui giornali.

Una volta il principe del Galles, Edoardo, principe del Galles, andava a letto con una antenata di Camilla, passione e ora moglie del futuro re, se mai lo sarà, Carlo. Ne parlavano nei club londinesi, i poveri sospiravano parlandone, sepolti dalla loro abietta miseria, ma i giornali, per carità, arrivava la velina e, in attesa di qualcuno che dall’Italia gli spiegasse la libertà di stampa, se ne stavano ben zitti.

Oggi la pronipote di Edoardo, Elisabetta, dispiega tutta la sua arroganza nel pensare di saltare una generazione, privando dei suoi diritti quel suo povero figlio Carlo, sostituendolo con il nipote. Poco conta che i giornali dicano che il ragazzo è fidanzato con una probabile futura regina il cui zio procura donne e droga ai ricchi inglesi in vacanza alle Baleari.

Tutto questo poi si traduce in concreti fatti economici: l’Inghilterra vive, come un nobile decaduto, dei residui del suo antico splendore e delle ricchezze accumulate spogliando nazioni e continenti. Ma fino a quando ci sarà un regime monarchico, l’unica prospettiva rimasta è quella indicata da Blair, essere servi degli americani. E zitti.

Dei Savoia si è letto di tutto negli ultimi 60 anni, più o meno quelli del festival di Sanremo. La principessa innamorata dell’attore povero ma bello, la principessa sposata con l’affarista con un matrimonio da favola finito in carte bollate, il principe che per fortuna ereditario non è più che in carcere si confidava con un collega galeotto di come era stato furbo a ingannare i giudici francesi.

Ricordo la prima edizione del festival di Sanremo. Tutti attorno a un enorme apparecchio radio, in legno chiaro, con un enorme “occhio magico” che ti indicava la sintonia. Ma c’erano Nilla Pizzi, Claudio Villa, il duo Fasano e tanti altri, usciti indenni dalla tormenta della guerra e di Salò: era un’Italia piena di speranza, che scopriva cose mai viste. Un’Italia saggia, che con papaveri e papere ti insegnava a stare al tuo posto e non allargarti mai troppo, un’Italia patriottica, che piangeva per Trieste lambita dalla violenza titina e faceva volare una colomba e di speranza. Un’Italia di, per nostra fortuna, rivoluzione mancata, un’Italia, per nostra fortuna, finita da questa parte della cortina di ferro.

Una delle colpe che faccio a almeno una parte della sinistra è che, dopo averci detto per anni che il paradiso stava molto a est, oltre i carri armati che tenevano l’ordine a Praga a Budapest, con una leggerezza degna di “Tutti a casa” ha permesso ai Savoia maschi di tornare in Italia. Nessuno ci ha spiegato bene perché, nessuno ce ne ha dato bene una ragione.

Una di quelle cose che ci sono capitate addosso, così, inspiegabilmente, come, l’indulto per salvare Previti e Consorte.

Anche i francesi sono stati alla fine indulgenti buoni con i Borbone, gli austriaci con gli Asburgo, i tedeschi con gli Hohenzollern. Ma nessuna di queste case regnanti, tranne gli Asburgo, è stata così compromessa come i Savoia nel massacro di milioni di ragazzi militari e di civili, senza dare ai loro concittadini niente in cambio (mentre con gli Asburgo finì un benessere secolare per i loro sudditi, con la fine dei Savoia ebbe inizio una grande cavalcata di benessere e progresso per gli italiani).

Non posso non pensarci, mentre penso con sollievo che alla fine il piccolo Savoia non ce l’ha fatta.

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