Quanto all’Italia del sud, non sembra un caso che alcuni dei più importanti romanzi che descrivono, negli anni successivi all’unità, la delusione diffusa e l’incapacità della classe dirigente, siano opera di due siciliani, Federico De Roberto e Luigi Pirandello (I viceré, I vecchi e i giovani).
I tedeschi venivano da mezzo secolo di mercato comune ed erano anche allora più numerosi di noi, divisi a metà dalla Chiesa, con un mercato comune attuato successivamente all’unità con criteri solo ideologici, in modo da azzoppare per cent’anni il Meridione.
Su queste basi siamo un miracolo: nel cocktail ci dovete anche mettere uno Stato confessionale e un Meridione fermo a mille anni prima, il feroce scontro fra comunismo e anticomunismo, tra fascismo e antifascismo, pochi paesi ce l’avrebbero fatta.
Tentiamo invece un bilancio, con quel tanto di disincanto e libertà dalle illusioni che dovremmo avere accumulato, nella media, con l’esperienza di vita. Non è una sciocchezza dire che siamo tutti uguali, che, almeno in partenza, non ci sono differenze di razza e classe, latitudine e longitudine che tengano. La differenza tra i paesi è data dalle istituzioni del presente e dalle eredità del passato, è data soprattutto dalle dimensioni del mercato, perché il tuo modo di pensare si adatta ai suoi confini, siano essi quelli del continente nord americano, degli imperi coloniali inglese francese o tedesco o dal regno terragno austro-ungarico.
I grandi uomini non nascono grandi, è la grandezza dei problemi che si abituano ad affrontare a renderli tali. Vittorio Emanuele Orlando, in America, o avrebbe imparato a muoversi o sarebbe stato eliminato. Ma è anche vero che i Bush, padre e figlio, sono stati molto peggio, ma la forza della loro economia, data dai contorni geografici e economici del loro paese, è tale che gli Usa hanno incassato i due disastri come un gigante la carezza di un bambino.
Non dobbiamo mai dimenticare che quel che succede da noi succede o è successo negli altri paesi. Non dobbiamo rotolarci nel tormento di essere unici, speciali, convinti che solo da noi prosperino il male, la corruzione, l’invidia. Non dobbiamo rinunciare a combattere i nostri difetti, perché la rinuncia diventa un alibi per non fare.
Non buttiamoci giù.
Possiamo permetterci uno scontro politico senza quartiere e senza politica che non sembra però paralizzare la parte decisionale dello Stato: la macchina va avanti, l’ingranaggio gira. Ci sono scossoni, rallentamenti, difficoltà. Non si riesce a fare una riforma, anche se poi c’è da temere che quelli che parlano di riforme, e sono tanti, abbiano in mente modelli completamente opposti. Forse sarebbe da augurarsi che prima o poi ciascuno riempia le caselle. Tutti parlano di riforme ma nessuno dice la stessa cosa: il concetto stesso di riforma implica cambiamento e nel cambiamento c’è sempre qualcuno che ci guadagna e qualcuno che ci perde e chi è destinato a perderci non è mai felice. L’interesse generale viene dopo. Non è una divisiva riforma della giustizia che può soddisfare il generale bisogno di adeguamento della giustizia ai bisogni di oggi.
