Il fenomeno dell’invecchiamento è presente in tutti le economie analizzate dal modello dell’Ocse. L’Italia già particolarmente colpita dal fenomeno, raddoppierà di qui al 2060 la percentuale della popolazione sopra i 65 anni. I bassi tassi di natalità del nostro paese saranno compensati solo in parte dall’arrivo di migranti – i quali arrivano in età da lavoro e hanno generalmente tassi di fertilità più elevati della media. Per questo, la forza lavoro italiana – già oggi la più bassa dell’Ocse in percentuale – si ridurrà ancora.
In futuro, di fronte alla ridotta disponibilità di forza lavoro, la crescita mondiale dovrà essere determinata da altri fattori. Questa dipenderà in particolare dal miglioramento dell’efficienza e dall’accumulazione di capitale umano. In altre parole, se la quantità di lavoro diminuirà, la qualità dovrà tendere ad aumentare. Le generazioni future, per essere competitive, dovranno più educate e più formate e gli anni di studio continuare ad allungarsi. La politica italiana, fino ad ora poco sensibile al tema dell’accumulazione di capitale umano, dovrà comprendere quest’evoluzione.
Infine, le differenze nella ricchezza prodotta pro capite si assottiglieranno. Il PIL pro capite (la ricchezza prodotta divisa per il totale della popolazione), nei prossimi cinquant’anni quadruplicherà in Cina e in India, mentre nei paesi dell’Ocse sarà soltanto raddoppiato. Malgrado persistenti differenze, la distribuzione della ricchezza prodotta tenderà a essere meno diseguale. In altre parole, secondo le previsioni OCSE, i paesi tenderanno a convergere verso lo stesso livello di sviluppo.
Se è vero che il rapporto dell’Ocse non tiene in conto la possibilità di una crisi o di un’improvvisa contrazione delle risorse disponibili, ed indulge dunque ad un cauto ottimismo, è anche vero che il mondo sembra aver preso già da qualche anno il cammino che punta verso il futuro descritto dagli economisti.
Per prima cosa, mundus senescit, il mondo invecchia. Sempre più vecchie saranno le nostre società, quelle europee del «vecchio mondo» e in particolare dell’Italia, malgrado gli effetti dell’immigrazione e a meno di politiche favorevoli alla natalità.
In secondo luogo, il fattore che conterà per l’avanzamento dell’economia sarà sempre di più il capitale umano, cioè un bene intangibile come il sapere. La società del futuro sarà sempre più basata sulla conoscenza. Paradossalmente, il ritardo dell’Italia nel settore della formazione, specie dei giovani lavoratori, potrebbe rappresentare un vantaggio perché permette un margine di crescita per il paese. A patto, chiaramente, che i governi non continuino la miope politica dei tagli all’istruzione ai fondi per la ricerca e lo sviluppo.
Infine, il punto davvero epocale è che le generazioni future vedranno il baricentro dell’economia spostarsi da ovest verso est. Per la prima volta dalla Rivoluzione Industriale, e forse già dal Rinascimento, l’Occidente non potrà più credere di essere il motore della storia, ma semplicemente uno degli attori.