ROMA – Proprio mentre per la prima volta in Italia, nella regione Valle d’Aosta, viene raggiunto il quorum su un referendum propositivo (che obbliga l’amministrazione regionale a rinunciare alla costruzione dell’inceneritore programmato da quella Giunta), a livello nazionale si conferma la funzione “oppositiva” del referendum abrogativo. Sembra quasi che l’istituto del referendum abrogativo, previsto dalla nostra Costituzione come unica forma di democrazia partecipativa, venga utilizzato dal potere politico “istituzionale” in funzione negativa: per negare cioè – apparentemente ammettendolo – il diritto dei cittadini di partecipare alla formazione delle grandi scelte politico-economiche del Paese. E’ stato così per il finanziamento dei partiti, per la responsabilità dei magistrati e per la questione davvero vitale dell’acceso al bene fondamentale dell’acqua.
A distanza di un anno e mezzo dal referendum del giugno 2011, infatti, la volontà chiaramente espressa dai cittadini contro quella che per comodità chiamiamo “privatizzazione dell’acqua” continua a essere ignorata da gestori, autorità indipendenti, organismi governativi, amministrazioni locali. Si tratta, a dire il vero, di un silenzio autorevolmente avallato da giuristi di grande e indiscusso prestigio.
La “bolletta” continua a essere l’espressione “in corpore vili” di una situazione che perpetua l’ormai intollerabile divaricazione tra il potere dei soggetti “forti” e l’impotenza dei soggetti “deboli”.
Elisabetta, abitante nella ricca Chiavari e minacciata del distacco della fornitura dell’acqua per avere osato detrarre ben otto euro dall’importo della bolletta, in quanto remunerazione indebita del capitale, è diventata il simbolo di questo perpetuarsi dell’arbitrio e del suo “sapiente” farsi scudo di argomenti legali a sostegno di una manifesta violazione di diritti fondamentali del cittadino.
La carta del servizio Idrico Integrato dell’Autorità d’Ambito ATO genovese, adottata e applicata dai gestori ( le “carte dei servizi”, secondo i più autorevoli studiosi del diritto civile e amministrativo, dovrebbero rappresentare la difesa più avanzata approntata dall’ordinamento in favore dei consumatori-utenti) prevede la sospensione della fornitura dell’acqua in caso di morosità e la responsabilità in solido del condominio in presenza anche di un solo moroso. Col che, tra l’altro, si viene a creare, per chi intenda resistere all’applicazione di una tariffa ritenuta in parte illegittima, una comprensibile ragione per desistere da qualunque iniziativa che automaticamente coinvolgerebbe i propri condomini.
Ma è lo stesso meccanismo che prevede l’automatico, implacabile distacco dell’utenza in caso di qualunque sia pur minima morosità a costituire una inammissibile – e intollerabile – violazione del diritto all’accesso indiscriminato a un bene indispensabile e prezioso alla vita civile individuale e collettiva. Prezioso in senso civile, ma anche economico, in relazione al diventare dell’acqua un bene “raro” e quindi suscettibile di un più che redditizio sfruttamento.
Il World Water Development Report dell’UNESCO annunciava nel 2003 che nei prossimi vent’anni la quantità di acqua disponibile per ogni persona diminuirà del 30%. Non è un caso che il diritto all’acqua e a condizioni igieniche essenziali che solo l’acqua garantisce sia divenuto nel settembre 2010 ( dopo una lunga e difficile gestazione ) l’oggetto di una risoluzione dell’ONU, ricevendo così una precisa e insuperabile configurazione giuridica al livello internazionale. Il diritto all’acqua è ormai parte del sistema del diritto internazionale, come tale vincolante anche per il nostro Paese, che non può più sottrarsi all’obbligo di garantire comunque a ogni individuo, senza nessuna eccezione e senza pretesti, il quantitativo d’acqua indispensabile per gli usi personali e domestici.
Questa evoluzione normativa internazionale (espressione dei principi enunciati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) riguarda non solo chi non sia in grado di far fronte al pagamento della fornitura per le sue condizioni di povertà o indigenza, ma riguarda anche chi eserciti, in forma individuale o collettiva, un vero e proprio diritto di resistenza “…agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione”, secondo la formula proposta da Dossetti alla Costituente e non inserita nel testo della Costituzione solo perché ritenuta superflua e implicita nell’enunciazione di cui all’articolo 2 della nostra carta fondamentale.
Oggi l’acqua: perche non, domani, anche l’aria che respiriamo?