
Alberi che cadono, la nostra paura, i loro diritti (e quelli della Natura)

In questi tristi giorni di Novembre, nel percorrere in macchina una strada di campagna fiancheggiato da platani poderosi, mi sono trovato a guardare a quegli alberi con un misto di rispetto e apprensione. Mai era stata così reale la prospettiva che si abbattessero, quasi intenzionalmente, al mio passaggio.
Loro, gli alberi, sono stati i protagonisti di questi giorni di bufere e tempeste, che hanno portato con sé molte, troppe vittime incolpevoli, proprio come quelle che hanno perso la vita nel crollo del ponte Morandi per il solo, casuale essersi trovati a passarvi in quel momento.
Gli alberi sono davvero nostri nemici, ho pensato, come la natura che sembra volersi ribellare al tentativo dell’uomo di dominarla ?
Mi sono venuti in mente allora un recente libro di Daniele Zovi (‘Alberi sapienti, antiche foreste’) e un vecchio saggio di un giurista americano specializzato in diritto ambientale, Christopher Stone ( ‘Should Trees Have Standing? Toward Legal Rights for Natural Objects’ ,’ Dovrebbe essere riconosciuta la personalità giuridica anche agli alberi? Per il riconoscimento dei diritti legali agli oggetti della natura’) .
Scrive Zovi: “ Gli alberi entrano in relazione tra loro, con gli animali e con noi: hanno consapevolezza dell’ambiente in cui vivono; comunicano inviando e ricevendo messaggi; intessono relazioni di amicizia, sono solidali; fanno sesso;competono e combattono fra esemplari della stessa specie e di specie diverse; sono dotati di vista,tatto, olfatto e non solo.Si addormentano alla sera e si risvegliano alla mattina.elaborano strategie di vita, di conquista e di resistenza”, sono – aggiungo – come noi condannati a morire. In cosa dunque sono diversi dall’uomo e cosa si oppone a considerarli ‘persone’, in quanto tali meritevoli di tutela da parte del diritto?
Al riguardo, il giurista Christopher Stone così scriveva, già negli anni ’70: “…sono assolutamente serio quando propongo di attribuire diritti legali a foreste, oceani, fiumi e altri cosiddetti ‘ oggetti di natura ambientale’, addirittura all’ambiente naturale nel suo complesso.’
Un conto – dice Stone – è tutelare un albero in nome del diritto di proprietà o per il beneficio di una collettività, tutt’altra cosa è attribuire a un albero ( come a una foresta, un fiume, una montagna) un diritto proprio alla conservazione, alla cura, alla comunicazione con l’ambiente in cui vive.
In questo – io credo – dovrebbe consistere la vera rivoluzione ambientale: nel considerare i cosiddetti ‘beni’ che ne fanno parte, non come beni propri dell’uomo, appartenenti al singolo o a una collettività, ma come entità/persone che in quanto tale esigono di essere riconosciute e protette, anche e prima di tutto dal diritto.
La storia dell’umanità è segnata –osservava Darwin nell’Origine dell’Uomo – dal continuo ampliamento della propria capacità di simpatia verso soggetti dapprima considerati ‘altro da sé’: dalla famiglia, alla tribù, via via sino all’umanità intera, compresi gli schiavi, i minori, le donne, gli incapaci. Anche entità ‘immateriali’ sono divenute col tempo oggetto di protezione autonoma da parte del diritto: società, trust, patrimoni ereditari, titoli azionari. La stessa protezione è stata assicurata agli animali.
E’ arrivato ora il momento di proteggere la natura e le sue componenti non come ‘patrimonio dell’umanità’ o perché dotate di un valore economico, ma in quanto titolari di diritti al pari di tutte le creature, soggetti dotati di autonoma personalità , di cui l’uomo non è padrone, ma di cui – facendo anch’egli parte dell’ambiente – dev’essere tenuto responsabile e difensore, anche sul piano giuridico.
Solo così potrò tornare a percorrere un viale alberato, senza la paura di essere schiacciato da un platano.