
Di Maio, Renzi, Boschi, Di Battista... Il tradimento dei padri (foto Ansa)

GENOVA – Riflettendo sul ‘caso’ del padre di Luigi Di Maio, non si può non restare colpiti dalla singolare somiglianza con i casi di altri figli ( Renzi, Boschi, Di Battista ) che sembrano aver cercato , contemporaneamente, di prendere le distanze dai padri ma di replicarne, nella politica, le contraddizioni.
Da un lato troviamo figure paterne lontane le mille miglia da quella obsoleta del ‘bonus pater familias’ di romana memoria, esemplari forse all’interno delle rispettive famiglie, ma non altrettanto sul piano della condotta civica e del rispetto delle regole: giuridiche, etiche, sociali. Dall’altro lato vediamo dei figli che – per sottrarsi più o meno consapevolmente a quel modello – hanno scelto di rivolgersi alla politica, privi di una vera vocazione, con i mezzi, la cultura e le ambizioni di cui potevano disporre: stretti tra la coazione a difendere i proprio padri e, allo stesso tempo, a prenderne le distanze.
A ben vedere, c’è qualcosa di inedito in questo fenomeno, qualcosa che ha a che fare con il cattivo funzionamento del rapporto padre-figlio, un rapporto che costringe a rivedere e in alcuni casi a rovesciare la frase comune ‘ le colpe dei padri non ricadano sui figli’. Quei padri non sembrano avere vere ‘colpe’, non si sono macchiati di delitti ignobili né hanno condotto la famiglia alla rovina.
La loro sola, vera colpa è quella di non aver saputo dotare i propri figli di un modello di condotta civile diverso da quello – così diffuso nel nostro Paese – che associa la cura esasperata della famiglia e della propria ‘cerchia’ all’indifferenza, se non disprezzo, per i valori e le buone prassi della vita civile e di quella politica in particolare. Quei padri sono a loro volta i figli dei film di Alberto Sordi e Ugo Tognazzi, della ‘commedia all’italiana’, della famigerata ‘arte di arrangiarsi’ a scapito del bene comune. Non hanno voluto o saputo porsi come esempi di comportamenti diversi da quelli che essi stessi praticavano, spesso intimamente disapprovandoli. Rovesciando il titolo del famoso saggio di Mandeville, le virtù private si accompagnano quasi sempre a vizi pubblici.
Questi padri, di cui troviamo tracce in ciascuno di noi, sono i figli di una generazione presto riassopitasi dopo un superficiale soprassalto. Presi in un paradossale legame ( double bind lo chiamano gli psicologi ) questi padri hanno suggerito ai figli di non comportarsi come loro ma, nel fare questo, gli hanno anche suggerito di continuare a ispirarsi ai loro discutibili ‘valori’, insieme cinici e familistici. Cosa che si riflette, immancabilmente, sulle carriere politiche degli ‘uomini nuovi’, gli improbabili aspiranti ‘rottamatori’ che questi nuovi figli vorrebbero disperatamente impersonare. Non si tratta, dunque, della ‘perdita del padre’ di cui parlano gli psicoanalisti, ma – forse – del tradimento che padri a loro volta smarriti hanno perpetrato a danno dei figli.
Le condotte ‘buone’, come le ‘buone maniere’, sociali e morali, non riescono più a essere trasmesse credibilmente di padre in figlio, e le vocazioni per la politica sono le prime a risentirne . Non è un caso che il sistema Italia soffra, soprattutto, di questo vuoto assoluto di autentiche vocazioni per la politica, divenuta il dominio di modeste personalità le cui ambizioni non sono quasi mai pari alle capacità e alla robusta struttura morale richieste dalla vita pubblica.