
Il diritto al tempo del coronavirus: chi vince fra il modello autoritario Cina e la nostra democrazia (Foto Ansa)
Il diritto al tempo del coronavirus.
Al tempo del coronavirus, il diritto si trova davanti a un bivio: cedere allo ‘stato di eccezione’ (che implica la sospensione dei diritti fondamentali garantiti prima di tutto dalla Costituzione), o intervenire, con tutta la forza che è capace di esprimere, democraticamente, in una situazione che rischia di degenerare nel panico.
La prima soluzione – da alcuni invocata, da altri temuta – non può fare a meno del ‘sovrano’, di una figura centrale, investita di tutti i poteri, anche arbitrari, necessari per imporre al Paese una guida che lo rassicuri e ne tenga a bada le paure, anche se questo ne limiterà grandemente le libertà fondamentali.
È – grosso modo – la soluzione cinese, che sembra aver conseguito notevoli risultati, con un difetto però. Quello vigente in Cina non è uno ‘stato di eccezione’, ma l’effetto di una gestione normale, autoritaria della cosa pubblica e – anche – di quella privata.
La parte del ‘sovrano’ è in quel caso svolta dal Partito, dalla sua burocrazia e dalla sua ibrida ideologia.
La seconda soluzione è più difficile, ma nel nostro caso, nel caso dei Paesi parte dell’Unione Europea (con esclusione, forse, di quelli già appartenuti all’area dell’URSS) inevitabile: non sembra – si deve sperare – che i cittadini europei siano disposti a barattare le libertà e i diritti conquistati col sangue e attraverso inaudite sofferenze, con la sottomissione a una dittatura ambiguamente giustificata dalla necessità del momento.
È chiaro che – una volta instauratosi – uno ‘stato di necessità’ diventerebbe in poco tempo a sua volta normale e in qualche modo accettabile da una maggioranza a sua volta abituatasi alla sottomissione. Il Potere è sempre l’avversario più temibile di una democrazia.
Cosa possono fare il diritto, la legalità, in questa situazione? La legalità deve farsi legittimazione, trovare nel consenso e nella coesione popolare la forza di stabilire e imporre le proprie regole.
Un sentimento forte – non rozzamente nazionalistico – del proprio essere ‘comunità’ è indispensabile perché il diritto, la legge, possano svolgere efficacemente la propria azione.
Inaspettatamente, è proprio quello che sta accadendo al nostro Paese: disordinato, individualista, fin anarchico, secondo gli sterotipi più diffusi.
Eppure – di fronte all’emergenza della pandemia – un Paese capace di riconoscersi orgogliosamente in se stesso, nelle proprie forze meno visibili, compresa la fiducia nell’azione di quello Stato che sino a ieri tutti erano pronti a vituperare come la fonte principale della nostra decadenza politica ed economica.
Proprio il diritto dello Stato – che faticava a legittimarsi come la sola forza capace di coniugare libertà e sicurezza – ha oggi la grande occasione di riconciliarsi col suo popolo.
Quel popolo che non a caso si ritrova ai balconi e alle finestre delle nostre città, a esporre il tricolore, a cantare non solo l’inno di Mameli ma anche ‘Il cielo è sempre più blu’ di Rino Gaetano.
Questo ritrovare la via del canto è – ci pare – ritrovare anche la via di un diritto troppo spesso ( e non a torto ) considerato oppressivo. Ogni diritto comincia dal canto, dal ‘proemio’ con cui una Costituzione si instaura ed è destinata ad assicurare – whatever it takes – il legame tra un popolo ‘sovrano’ e la sua legge.
Consideriamo allora, tutti, lo Stato democratico e i suoi provvedimenti come il nostro principale alleato nella lotta contro la pandemia, contro i terrori oscuri, atavici ma non invincibili, che porta con sé.