La stessa corruzione – quella, almeno, che si rende visibile – vi è mediocre: rifugge da ogni aspetto di cupa e lugubre grandezza. Il peculato rispecchia una meschina, grama sobrietà: indumenti, una notte ad Acqui Terme, una pizza a Limone Piemonte, formaggi in Val D’Aveto. Non che manchino i grandi corruttori e un potere parassitario diffuso che sfrutta la città e le sue modeste ambizioni di metropoli mancata. Solo grandi ambizioni – di cui la città non sembra capace – metterebbero in crisi il sistema di potere che la opprime attraverso i suoi inamovibili attori, i soliti noti. Più che “per loro”, Genova sembra rassegnata a essere diventata “loro”.
E c’è, incredibile, chi ritorna. Per sùbito pentirsi di aver ceduto al ricatto della nostalgia. La vecchia canzone dell’emigrante genovese che, dopo una vita trascorsa nelle Americhe, decide di tornare alla sua città “…a vedde i monti’,’ a ciassa da Nonsià’ e la ‘ Zena illuminà’ amorevolmente custodita dalla memoria, richiederebbe un aggiornamento. L’emigrante – precariamente aggrappato a un bilocale a Begato – supplica il figlio, saggiamente rimasto tra i ‘carramba’ sud-americani, di mandargli al più presto, via Western Union, un biglietto di ritorno.
E poi c’è il porto, l’eterno porto che dovrebbe ricordare a Genova la sua vocazione. Segretamente, la città odia il porto, venendone ricambiata. Non ne tollera i fumi, i rumori, il traffico, gli odori, le liti per il controllo delle banchine. Il porto le ricorda il passato, la mette davanti a quello che non è più, che non può essere più. La città, a sua volta, è vissuta dal porto come un ostacolo che impedisce a traffici e merci di raggiungere i mercati dell’Oltregiogo. Il mare stesso lambisce la città con diffidenza, a volte assalendola come a volerla scuotere dalla sua apatia.
Intanto la Foce è diventata un parcheggio, la Fiera respinge la nautica, le crociere cercano – e trovano – altri approdi, mentre nel Porto Antico le vele di Renzo Piano non salpano mai e i gamberoni rossi si mangiano, da Eataly, un po’ dovunque. Su Genova regna, invincibile, la “macaia”. E’ ancora Paolo Conte, un foresto, a ricordarcelo:
“Macaia, scimmia di luce e di follia, / foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia. /E intanto all’ombra dei loro armadi / Tengono lini e vecchie lavande.”
Anche se armadi, biancheria e lavande si trovano, oggi, all’IKEA di Campi.