ROMA – L’attenzione parossistica che sta accompagnando le dimissioni – solo informalmente annunciate ma a quanto pare imminenti – del presidente Giorgio Napolitano, testimonia di una importante e sotto molti aspetti preoccupante trasformazione che stanno subendo la figura e l’istituto della Presidenza della Repubblica.
Se la questione dei poteri attribuiti dalla Costituzione al Capo dello Stato non può affatto dirsi nuova e se è vero che ogni Presidente ha interpretato quel ruolo secondo la propria personalità e secondo le varie emergenze che hanno investito il Paese, è altrettanto vero che mai come oggi ci si è trovati di fronte a una deriva presidenziale ( o presidenzialista ) destinata a influire e interferire direttamente sul normale funzionamento e sull’interagire dei poteri dello Stato, anche al di là delle contingenze e della personalità di chi è chiamato a interpretare quel delicatissimo ruolo.
Si profila – se questa deriva si consolidasse – una vera e propria modifica meta- costituzionale del sistema di governo prefigurato dalla Carta fondamentale. E’ precisamente questa prospettiva – la si accetti o meno – a spiegare il clima di attesa, le schermaglie, la tendenza a ‘bruciare’ prima del tempo i possibili candidati che caratterizzano l’annunciata , anticipata fine del secondo mandato Napolitano. Il rischio è che il dilemma ‘presidenzialismo si’- ‘presidenzialismo no’ sia superato e travolto dai fatti, senza una adeguata riflessione politica e istituzionale ma, soprattutto , senza che quel superamento avvenga sulla base di una indispensabile consultazione popolare e di una approfondita discussione parlamentare.
E’ indubbio che Napolitano lascerà al suo successore il compito di interpretare quello che era stato immaginato come un ruolo puramente cerimoniale e retorico, secondo le esigenze di un quadro politico-istituzionale che è generoso definire in sfacelo , alla ricerca di coerenti punti di riferimento e di figure rappresentative credibili . E’ impensabile, in questa situazione, che il nuovo presidente possa scegliere di ‘fare un passo indietro’ rientrando nella composta e impassibile figura cerimoniale disegnata dai padri costituenti.
Nessun costituzionalista è in grado di fare delle previsioni attendibili a questo proposito: il paragone con gli eventi naturali ( terremoti, inondazioni, epidemie ) e la dimostrata incapacità degli esperti di anticiparli sembra soccorrere in questo caso. La curvatura presidenziale potrà comportare assestamenti, più o meno rovinosi, la cui gravità nessuna ‘scala Mercalli’ è in grado di prevedere.
Quello che si può pretendere, però, è che questo fenomeno venga reso per quanto possibile trasparente e sia riconosciuto come tale , dando ai cittadini, prima ancora che al Parlamento, la possibilità di conoscerne e valutarne i termini, le prospettive, i rischi per la nostra fragile democrazia. Saremo in grado, soprattutto, di dare una veste il più possibile formale e trasparente – nello spirito oltre che nella lettera della Costituzione – agli interventi del Capo dello Stato?
E, in questo caso, quale effetti avrà questa ‘curvatura presidenziale’ sulla responsabilità politica del Presidente della Repubblica e sul regime delle sue immunità, già messo a dura prova dalle recenti vicende giudiziarie ( ‘caso’ Mancino, processo sulla ‘trattativa’ Stato-Mafia , grazia pretesa ma non richiesta da B.) ? Esiste oggi in Italia un vuoto di potere che i vari ’poteri’ cercano di riempire , per finalità e con intenzioni non sempre condivisibili.
Lo stesso arbitro ( imperversano oggi le metafore calcistiche ) , dismesso il fischietto, sceglie sempre più spesso di influire sul risultato della partita. E, paradossalmente, sempre più lo fa non per spirito autoritario ma perché richiesto dal pubblico e dagli stessi giocatori. E’ dunque urgente riconoscere questo fenomeno e cercare di incanalarlo secondo linee istituzionali coerenti con un sistema costituzionale che legittima la nostra appartenenza al mondo delle grandi democrazie occidentali.