ROMA – Jean Claude Trichet e Mario Draghi, insomma la Banca Centrale Europea. E Confindustria italiana e l’Abi, l’associazione dei banchieri italiani. E tutte le associazioni di impresa firmatarie del Manifesto dei produttori. E Luca Cordero di Montezemolo con la sua di associazione che è già embrione di contenitore politico. E Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit che va a spiegarlo e a predicarlo al Pd. E Nicola Rossi senatore che dal Pd viene, e Diego Della Valle che si compra pagine di giornale per dirlo. Non sono la stessa cosa in quantità , peso, importanza e qualità degli argomenti e delle biografie. Però un minimo comun denominatore c’è, qualcosa che avvicina se non lega la lettera da Francoforte giù fino allo spot di Della Valle. Questo minimo comun denominatore, questa assonanza che non è identità e nemmeno alleanza è l’opporsi alla democrazia della spesa.
Non alla spesa pubblica eccessiva, questa è acqua calda e riproporre la denuncia e la critica sarebbe appunto riscaldare un’acqua già cotta e bollita. No, la critica è alla democrazia della spesa che è cosa più vasta e profonda della spesa pubblica. La democrazia della spesa è appunto democrazia ed è il pilastro della vita pubblica, politica e sociale di molti paesi europei, dell’Italia in particolare. Democrazia della spesa è il sistema, la cultura e la funzione cui sono stati allevati e si sono esercitate un paio di generazioni di ceto politico. Democrazia della spesa è quella riconosciuta legittima e doverosa dalla pubblica opinione. Democrazia della spesa è la funzione che da decenni la politica assegna a se stessa. Spesa, non spreco. Spesa, non tangenti. Spesa pubblica come carburante della società e ricostituente del consenso, sociale ed elettorale. Democrazia della spesa: ha funzionato per decenni, ha portato benessere e pace, anzi tranquillità sociale. Dalla lettera da Francoforte, giù fino agli spot di Della Valle passando per il Manifesto delle imprese, la “critica” dice che non funziona più e che, alla lunga ma non tanto, la spesa che ha consentito e garantito la democrazia fino ad ieri da domani può avvolgersi al collo prima dell’economia e poi della democrazia stessa strozzandole entrambe.
E’ una critica disperata e minoritaria. Con la democrazia della spesa, fondati e innervati con questa forma di governo delle cose  degli uomini, sono in Italia il berlusconismo e il leghismo, berlusconismo e leghismo sociali prima ancora che politici. Prima ancora della Lega partito e del Pdl partito ci sono l’idea e la pratica dello Stato che molto eroga e poco si impiccia. Entrambe sono cultura e abitudine sociali, costume ed economia reale. Chiunque intraprenda qualcosa in Italia come primo atto imprenditoriale va alla ricerca di pubblico sostegno e sussidio. La privatizzazione dei benefici e la pubblicità delle perdite ne è solo corollario. La destra italiana si fonda sulla democrazia della spesa, infatti quando governa non la aggredisce. Al massimo ne indirizza i flussi.
Con la democrazia della spesa sono sindacalismo e il gauchismo. Il sindacalismo della Cgil della Camusso, della Cisl di Bonanni. Il gauchismo della Sel di Nichi Vendola, quello della Fiom, quello dei sindacati del pubblico impiego. E il gauchismo automatico e tradizionale della base del Pdl. Con la democrazia della spesa è gran parte della pubblica opinione che vive come rapina o scippo la chiusura di un ospedale, di una stazione, di un Tribunale o la modifica delle regole per andare in pensione. Con la democrazia della spesa sono i governi e gli enti locali, le migliaia e decine di migliaia che ci lavorano e i milioni che con la spesa locale lavorano. Con la democrazia della spesa c’è un intero ceto politico salvo rare eccezioni e una massa di cittadini convergenti a sua difesa. La democrazia della spesa conosce declinazioni tra loro diverse e antagoniste, ma dalla parte della democrazia della spesa trovi sia Rosy Bindi che Maurizio Gasparri. Quasi l’intero ceto politico è convinto che la democrazia sia spesa e viceversa. Chi minaccia o critica l’una, minaccia o critica l’altra.
Contro la democrazia della spesa ci sono i numeri freddi dell’economia, quelli che dicono che nessuna pressione fiscale può farcela a inseguire la spesa e che nessuna spesa così consistente può più essere finanziata a debito. Numeri freddi e intangibili che però lasciano gelido, indifferente e ostile l’elettorato. Contro la democrazia della spesa ci sono le ragioni calde della storia: la difesa della spesa insostenibile non ci mette molto a diventare prima comprensibile e inevitabile “indignazione”, poi degrada in rabbia e tumulto, infine evolve in attacco alla democrazia parlamentare e ai governi “comitati di affari dei poteri forti”. Ma le ragioni calde della storia si spengono e si raffreddano un passo oltre le pagine dei libri su cui sono scritte.
In mezzo, tra la democrazia della spesa e i suoi critici ci sono il populismo e la demagogia. In mezzo, perché entrambi si alleano ora con la democrazia della spesa ora con i suoi critici, con l’unica costante di recare forza e carattere dannosi e tumultuosi ad entrambi gli schieramenti. Demagogia e populismo quello del “tutti i politici a casa”, come si legge tra le righe dei Della Valle. Ma demagogia e populismo l’osservazione stizzita che domanda a quale titolo parlano i critici della democrazia della spesa. Della democrazia della spesa hanno goduto anche imprenditori e banchieri che oggi la criticano e questo dovrebbe zittirli. Come dire ad uno che grida al fuoco e mette mano ad un secchio d’acqua che anche lui per molti anni ha acceso sigarette e anche oggi ha in tasca un accendino.
Democrazia della spesa di maggioranza e tradizione e dall’altra parte i suoi critici che spuntano, più per disperazione che per vocazione, in quel che resta della classe dirigente. E’ la vera partita, molto più del Berlusconi sì, Berlusconi no. Partita dal pronostico secco: la democrazia della spesa resta favorita. La lettera da Francoforte il governo italiano non la mette in pratica e neanche la condivide, l’opposizione che diventasse governo non vorrebbe e non saprebbe applicarla. Almeno fino a che il campo di gioco non sarà tutta sabbia la democrazia della spesa è in vantaggio. Fino alla sabbia, dell’economia e forse anche della democrazia. La vera notizia è che questa partita si è iniziata a giocarla, appunto più per disperazione che per vocazione. quel che tocca e quel che resta a una classe dirigente che per un paio di decenni ha abdicato.