ROMA- Il sinistrismo è certo una malattia, insieme infantile, adulta e senile della sinistra italiana. Da sempre endemica, oggi contagia e viaggia nella variante populista. E’ come il raffreddore, non c’è vaccino che tenga. E’ come l’influenza, ogni anno torna. Letale mai ma cronicizzata induce stati di esaltazione e depressione. Debilita e comunque rende inabili…al governo. Per sinistrismo il Pd ha cominciato a perdere le elezioni di febbraio 2013 già molto prima, nel 2012. Le ha cominciate a perdere siglando l’alleanza con Vendola. Non che Vendola sia il diavolo o che non meriti voti e attenzione. Però allearsi con Vendola come prima e fondamentale mossa voleva dire e ha voluto dire per il Pd: vinco le elezioni con tutti e con soltanto i voti di sinistra, prendere i voti degli altri, tutti gli altri, neanche ci provo, non interessa, troppo grande è il rischio di perdere qualcuno dei miei voti. Quindi punto, scommetto di risultare la minoranza (mai la sinistra da sola sopra il 35%) con il bastone più grosso in mano (il premio in seggi della legge elettorale).
Qui il Pd e Bersani hanno cominciato a perdere le elezioni e quindi il governo. Non hanno preso un voto degli altri e Grillo si è preso voti che erano loro. Sono risultati la minoranza meno debole ma senza bastone. Quindi sarebbe il caso che qualcuno pagasse l’errore di strategia e, come dovrebbe avvenire in politica, passasse la mano. La politica è, sarebbe, un bel gioco dove se vinci diventi capo del governo ma se perdi passi la mano, salti un giro, te ne fai una ragione. Così non è per Bersani e così non sarebbe per chiunque oggi guidasse il Pd perché il sinistrismo non viene individuato come una malattia, un’affezione. Piuttosto viene considerato un gene immutabile, se non un valore non negoziabile. Quindi il paradosso di volere, davvero e in buana fede, governare nell’interesse di tutti gli italiani però solo con i voti degli italiani di sinistra che gli altri “inquinano”…è la zavorra ideale più che ideologica del Pd e del suo elettorato affezionato.
Detto così con estrema chiarezza, perfino con semplicismo, quali siano i connotati e i guasti del sinistrismo, additati perfino con eccesso di semplificazione gli errori tattici e strategici di Bersani e del Pd, esplicitato che il governo Bersani di minoranza non ha legittimità elettorale, praticabilità politica ed è perfino dubbio che possa avere utilità generale…Imputato gran parte di questo “casino” a un molto contemporaneo sinistrismo che si avvale anche di venature di corporativismo sociale e populismo d’imitazione rimbalzo…Fatte tutte le premesse per non essere scambiati né per grillini né per gauchisti né per giustizialisti…Va detto con sommessa modestia ma anche con documentato argomento che Napolitano si sbaglia quando perora e spinge per una “Larga Intesa” tra Bersani e Berlusconi. E non perché Berlusconi sia l’uomo nero. Prima ancora di questo Napolitano si sbaglia proprio in quella che, ai tempi del suo partito, si chiamava “l’analisi di fase”. Si sbaglia Napolitano in almeno cinque punti di fatto.
1) Le larghe intese del 1976 furono trattate, coinvolsero e impegnarono, come si disse allora e come in effetti era “due vincitori” delle elezioni, la Dc e il Pci. In un sistema proporzionale avevano infatti entrambi vinto. Numericamente e politicamente. Al contrario oggi Pdl e Pd sono due non vincitori numerici delle elezioni e due sconfitti politici dalle elezioni. Quindi ogni analogia è infondata. Due vincitori possono utilmente fare larghe intese, due perdenti no. Ed è auto evidente la differenza, tanto che è inutile spiegarla.
2) Al tempo delle larghe intese, che pure non ebbero vita facilissima, Dc e Pci godevano del rispetto della pubblica opinione e della delega piena dei rispettivi elettorati. Condizioni che rendevano oltre che possibili praticabili le larghe intese di governo. Non ci sarebbe stato e non ci fu rigetto e fuga dalla Dc dell’elettorato democristiano e non ci fu rigetto e fuga dal Pci di quello comunista. Allora, per incredibile che possa oggi sembrare, la gente si fidava dei partiti. Magari criticava, magari si opponeva, ma si fidava. Così non è oggi, oggi è tutto iol contrario. In caso di larghe intese di governo tra Berlusconi e Bersani vi sarebbe diaspora elettorale, rifiuto e rigetto. Il che non è solo problema dei due partiti in questione. Che vita potrebbe avere un governo che porta nell’atto di nascita la ribellione ad esso di gran parte della pubblica opinione vicina a i partiti che quel governo sostengono e formano?
3) Al tempo delle larghe intese c’erano certo problemi economici, c’era la grande inflazione. Ma non c’erano di duemila miliardi di euro di debito pubblico. Era allora l’Italia ancora un paese che doveva correggere storture, alcune mostruose. Ma era un paese in crescita. Si poteva, si doveva fare una larga intesa su come mettere un gesso qua, un tutore là , allenare, sviluppare quel muscolo o quell’articolazione. Oggi l’Italia è un paese ricolmo di rancore. Alla forsennata ricerca del “chi è stato”. Chi è stato a far danno. Il populismo dominante indica come solo responsabile del danno la politica. Serve a impedire che qualcuno pensi l’impensabile, e cioè che a produrre il danno non siano stati il Parlamento, i partiti, l’euro, la Germania ma il sistema Italia dagli italiani voluto, votato, all’occorrenza munto e lodato. Una larga intesa per risarcire il paese, insomma per distribuire soldi senza toccare nulla del sistema Italia, questa sì sarebbe accolta. Ma una larga intesa per cambiare finalmente i connotati al sistema, operazione senza la quale il danno si riprodurrà sempre e sempre peggiore, verrebbe rifiutata e travolta a furor di popolo.
4) Al tempo delle larghe intese c’era il terrorismo. E nessuno poteva pensare che un governo d’intesa tra Dc e Pci inducesse milioni di italiani a “votare” Brigate Rosse o Ordine Nuovo.
5) Ora c’è M5S che è agli antipodi del rifiuto terrorista dello Stato. Però un governo d’intesa Pdl-Pd può indurre milioni di italiani, altri, a votare Grillo. Grillo che, per dirla con le sue parole, ama spesso ripetere che loro sono “il confine, poi ci sono i fascisti e i nazisti”. Quindi oggi c’è un movimento di massa fortemente presente in Parlamento che è, per suo stesso dire, terra di confine con il fascismo e il nazismo nella forma europea contemporanea. La larghe intese che furono argine invalicabile della democrazia contro il terrorismo potrebbero oggi invece essere concime per il campo dove crescono simili movimenti.
Quindi, con tutto il rispetto per il presidente Napolitano, se il sinistrismo ci ha portato negli attuali guai e non sa come pilotarci fuori dalla presente secca, il migliorismo che poi è l’ottica appunto di Napolitano stavolta non è né buon occhiale né buona prospettiva. Non è tempo di larghe intese. E’ tempo di minime e piccole intese. Qualcuno faccia intendere a Berlusconi che non è il caso neanche di mettere in giro per scherzo l’idea di se stesso al Quirinale. E qualcuno faccia intendere a Bersani che il governo di minoranza da lui presieduto non è nelle cose, non c’è e, ci fosse stato, sarebbe stato un…calvario moscio. Qualcuno obblighi Berlusconi e Bersani a fare una minima e piccola intesa che faccia nascere un minimo e piccolo governo che ci porti a prossime elezioni. Magari facendo presente ai due che M5S, presidio e frontiera contro i fascismi contemporanei, sempre più subisce infiltrazioni, sconfinamenti appunto. La manfrina, il teatro sulle commissioni parlamentari, sui nullafacenti, sul “ci costano 500mila euro al giorno per non fare nulla”, sull’occupiamo le aule di Camera e Senato sono già appunto un chiaro sconfinamento, le guardie di confine si sono addormentate o confuse.
E a quelli che in ogni dove del paese dicono, gridano, implorano: fate un governo non importa quale sia…Costoro hanno mille ragioni ma anche un obbligo: ragionare.  Un governo di larghe intese oggi tra Berlusconi e Bersani sarebbe un palazzo rinascimentale pieno di intrighi e sospetti, una palestra, una piazza d’armi per manovre di compagnie in divisa mentre nei corridoi si lavora di coltello. Sarebbe instabile, malato, a catena dell’uno e dell’altro dei firmatari dell’intesa. Sarebbe probabilmente il peggior governo possibile qui e ora. Può comprensibilmente dispiacere, può essere considerato un altro guaio dell’Italia ma, quasi quaranta anni dopo, non è più tempo di larghe intese. E non è più neanche il tempo in cui il migliorismo applicato può porre, da solo e per incantamento, riparo ai danni del sinistrismo.