ROMA – Soffro, sbando e arranco con un reddito misero e incerto. Uscire da casa dei genitori è azzardo, andare a vivere in coppia è avventura, fare figli è coraggio incosciente. Non mi danno, non trovo né prestiti né mutui né lavoro. Oppure, se me li danno me li fanno pagare carissimi, più di quanto non li facciano pagare agli altri. Se lavoro, lavoro male e produco peggio. Ma, a parte il fatto che vengo da una scuola e da una università in cui ci siamo messi tutti d’accordo, famiglie, studenti e professori, nel renderla piatta ed evanescente, non è colpa mia. Sono vittima, indubbiamente vittima. E siamo milioni noi precari. Senza contare i “cugini” che stanno peggio: i due milioni che non studiano, non lavorano, non fanno nulla sfiniti e svuotati prima di cominciare. Ragioni, tante ragioni, per cui un po’ mi indigno e un po’ mi arrangio. Anzi mi aggancio, o almeno ci provo. Mi aggancio a un mezzo lavoro o anche meno di mezzo sperando che non sia un finto lavoro. Mi aggancio, se ce la faccio da solo o se “conosco” qualcuno o con un misto delle due cose, ad un’azienda vera, pubblica o privata che sia. Mi aggancio ad un vagone che sta e staziona sul binario morto del lavoro. Sperando e, diciamo la verità, anche facendo conto che prima o poi arrivi una locomotiva e agganci quel vagone fermo su binario morto e lo porti allo scambio da cui partono le rotate del lavoro vivo e vero. Vivo così da vittima fino a trenta, trentacinque, quaranta anni.
Poi, tra i trenta e i quaranta anni di età, per inerzia, trascinamento, contratto, vertenza, pietà burocratica, infornata sindacale…Insomma per “anzianità” nel ruolo di vittima un posto fisso mi arriva, mi “tocca”. E allora mi siedo, mi accomodo, mi rilasso. Non mi indigno più tanto, piuttosto “resisto”. Divento un difensore dei “diritti acquisiti”, acquisiti da me. Lavoro poco o almeno ci provo. Produco male. Non per cattiveria od ignavia, ma perché “ho già dato”. Dieci, quindici anni di precariato mi sembra proprio un robustissimo “già dato”. Non faccio altro che tenermi il posto, ed è colpa mia. Però, sapete che c’è? Non mi sembra una colpa, non la vivo così. Il posto fisso era il traguardo. Raggiunto e tagliato, altro traguardo non c’è. E chi lo dice mi vuole selezionare, valutare, ributtare nella mischia. Quindi lo combatterò con ogni mezzo e argomento.
Così va ed è questo il sistema. Non lo so se mi piace e domandarmelo se mi piace è una strana domanda. Ci sto dentro al sistema, mi ci hanno messo. E in fondo al sistema ci sto. E’ un sistema infame ma in fondo una garanzia più o meno me la garantisce appunto: il posto arriverà per anzianità da precario. Cambiare il sistema? Sta a vedere che cambiando mi salta anche quella garanzia. Meglio di no, troppo rischioso cambiare. Certo mi agito e un po’ “lotto” pure. Obiettivo della “lotta” è diminuire l’anzianità da precario, gli anni che mi separano dal risarcimento sociale che mi è dovuto: un posto fisso. Questa è la mia lotta: sveltire la fila e comunque non perdere mai il “numeretto” con cui mi sono messo in fila. Mentre sto in fila sono nervoso e suscettibile. Se qualche provocatore dice che sono “sfigato” a laurearmi a 28 anni, esigo che dica che a 28 anni sono “un diversamente studente”. Se qualche sfasciatore di scatole dice che la laurea o il diploma che ho in tasca va misurato per quel che contiene e non è una “patente legale” buona e universale per tutto e per tutti, gli dico che è una marionetta dei “poteri forti”, delle multinazionali, della finanza che affama.
Nel frattempo vedo e ascolto abbastanza distratto che ci sono sindacati e ordini professionali che discutono, presidiano e trattano sul lavoro e del lavoro. Non il mio, quello di chi il lavoro ce l’ha. Distratto ma non diffidente. In fondo tifo per loro. Lo so che proteggono quelli che più di quaranta anni li hanno. A più di quaranta anni si ha un posto fisso, uno stipendio fisso. Quelli di più di quaranta anni si sono presi tutto e i sindacati e gli Ordini li difendono. La cosa non mi infastidisce più di tanto, difendono il sistema qual è. Sistema in cui io voglio entrare. Più conservano per loro, per quelli che hanno tutto e più troverò quando entrerò anch’io. L’idea che togliere qualcosa a loro, siano privilegi o garanzie non importa, per dare qualcosa a noi qui e adesso mi pare azzardata. E’ di questo che diffido, di chi vuol scompaginare la fila in cui siamo tutti allineati in comprensibile ordine di anzianità da precariato.
Nel tener ordinata la fila non sono solo, siamo in tanti. Ci sono i sindacati e i partiti, le associazioni di categoria. Si sfila solo qualche giovane che se ne va all’estero o qualche gretto e ottuso “ragioniere” che disturba e importuna i nostri “presidi di civiltà” con incivili numeri. Dicono i “ragionieri” che i posti fissi alla fine della lunga fila finora sono stati pagati a debito pubblico, debito che non si può fare più. E chi l’ha detto che non si può fare più? Sarà, ma non ci credo. Deve essere un trucco, una menzogna per sfilarmi di mano la validità del “numeretto” con cui avanzo nella fila. Guarda che se alla fine della fila non trovo il posto, finisce che faccio…una rivoluzione. Magari anche “nera”, vai a sapere. Per ora mi sento democratico, ma non garantisco. Dicono i “ragionieri” che il posto fisso nell’azienda privata è fisso solo se quell’azienda produce e vende. Davvero? Sarà…Beh, se succede che l’azienda nella quale sono entrato non funziona più, il mio posto deve restare. “Quel” posto, ma davvero volete farmi credere che ne arriverà un altro? Dite che c’è un sistema, lo chiamate di “ammortizzatori sociali”, che protegge “posti” e non “persone”? Bene, è così che deve essere. Il “posto” è l’unica cosa vera, le altre son chiacchiere e pure pericolose. Non mi fate fesso: sono venti anni che leggo e ascolto prediche sulla fine del posto fisso. Ma io so che sono chiacchiere per confondermi, per farmi distrarre mentre sto nella fila, magari perdere un passo. Sono attento io e infatti se qualcuno lo ridice per la decimillesima volta in venti anni io mi indigno e mi inalbero come fosse la prima volta.
Siamo in tanti a difendere il sistema che c’è perché almeno garantisce la fila. La fila non si muove più? Chiamate qualcuno, qualcuno faccia qualcosa. Per difendere il sistema che c’è, per non correre il rischio di cambiarlo abbiamo pagato una “multa” di settanta miliardi di euro, il costo delle manovre finanziarie del 2011? Multa inferta dai globalizzatori, dai governi delle banche…Se continuiamo così arriva altra “multa”, altri settanta o cento miliardi? E allora non le paghiamo le “multe”. Oppure, a conti fatti, i conti degli “altri”, di quelli sopra i quaranta anni, pagare le multe in fondo conviene. Qualche migliaio di euro di tasse in più reggono bene il confronto con i redditi degli avviati studi di avvocati, delle avviate farmacie, dei negozi e ristoranti che fanno la metà degli scontrini fiscali. E io proprio lì, in quegli studi e in quei negozi voglio entrare. Qualche decina di euro in meno di stipendio regge bene il confronto con uno stipendio pubblico fisso a vita, quello cui ambisco. Qualche sacrificio da consumatore regge bene il confronto con una pensione percepita per 25 anni di vita. Non mi fate paura con questa storia delle “multe” pagate e da pagare. Io giovane precario, dopo dieci o quindici anni da vittima, voglio entrare nell’Italia “di prima”. Non voglio che cambi dopo averla puntata e ammirata mentre ero in fila. Quando io sarò entrato la fila dietro di me sarà ancora più lunga? Peccato, peccato per loro. Prima o poi lo sportello, la porta che c’è alla fine della fila si chiuderà? A parte che non ci credo, l’importante è che avvenga dopo che sono passato io dall’altra parte. Non mi fregate con questa storia del mondo cambiato, sto aspettando il turno per entrare nel mondo di prima e a dirmi che faccio bene sono in tanti. C’è Beppe Grillo e Susanna Camusso e Raffaele Bonanni e il Pd e il Pdl, per quel che valgono ma comunque lì stanno. Non mi fregate, io resto in fila, nella fila del posto fisso, della laurea legale, all’imbarco dei precari per il mondo che c’era.