ROMA – Ingrossa e monta la bolla del debito autarchico, quella per cui un vero patriota è quello che compra Bot e Btp. Tra un po’ se non lo fai ti daranno del traditore del tricolore. Forte è il monito, grande l’impegno, come funghi spuntano quelli che danno l’esempio e vanno a sottoscrivere quote del debito patrio. Imprenditori, casalinghe, pensionati, parlamentari: da ciascuno secondo il suo reddito, ognuno e tutti secondo il comune amor di patria in un sussulto nobile di responsabilità. Contro l’ignobile e straniera speculazione che, vampira, chiede interessi del 5 e del 6 per cento e anche di più per prestare soldi all’Italia, per strozzarla. Contro la “demoplutofinanza” che impone gli iniqui tassi tutti a comprare…intascando gli stessi tassi di interesse. Già, perché chi oggi compra Bot e Btp viene remunerato dalla stessa cedola, dallo stesso interesse, insomma porta a casa gli stessi soldi che l’infame speculatore della demoplutofinanza strozzina si mette nel portafoglio. Pari pari, non un euro di meno. Compri e incassi e allora che Patria è?
Sarebbe Patria se l’italiano che compra debito italiano dicesse nei fatti: non voglio il sei per cento di interesse, auto riduco l’interesse e la remunerazione al 3/4 per cento. Non risulta al momento che i sottoscrittori patrioti si soffermino su questo particolare, sottoscrivano anche questa postilla. Non risulta che accettino, anzi chiedano interessi minori di quelli degli “speculatori” o che accettino, anzi chiedano che gli interessi siano loro pagati almeno in parte sotto forma di titoli a scadenza più lunga di quelli sottoscritti. Non risulta perché la campagna per il debito autarchico è giovane e, diciamo così, ingenua. Semplifica e, come ogni semplificazione, ha vasto successo popolare e populista. Tanto più vasto il successo quanto più la semplificazione fa torto alla realtà. Che è complessa ma non complicata. L’urgente dramma non è il debito pubblico italiano con cui bene o male l’Italia convive da almeno trenta anni. L’urgente dramma sono i tassi di interesse insostenibili dal Tesoro. Chiunque li compra, se i tassi da pagare sono gli stessi per il Tesoro, sempre l’Italia, la Patria appunto, fatica a pagare. Questo è l’urgente dramma e il problema vero è diminuire l’ammontare di quel debito, chiudere o almeno stringere il rubinetto che ci allaga di debito e non portarsi ciascuno a casa, dietro remunerazione del sei per cento, un secchio d’acqua.
Ma in Italia di popolare e populismo c’è alluvione e non c’è uno straccio di ceto dirigente che si assuma il fastidio di dire la verità: bene, anzi benissimo che gli italiani comprino il debito italiano, alla sola condizione che non se lo facciano pagare a tassi che l’Italia non può pagare. Ma accettare, anzi chiedere di incassare meno in cedole, accettare, anzi chiedere di essere pagati almeno in parte in titoli e non in liquidi, questo altro non significa che mettere una parte del proprio risparmio e del proprio patrimonio nel bilancio pubblico e nell’interesse collettivo. Cioè una patrimoniale. Se davvero gli italiani sottoscrivessero 500 miliardi di debito pubblico in scadenza rinunciando a due/tre punti in percentuale di interessi, allora sarebbero 10/15 miliardi all’anno di taglio al loro patrimonio: più di qualunque patrimoniale da chiunque richiesta o proposta. Ecco perché si omette questo “particolare” dei tassi di interesse, delle cedole che incassa chi compra. Perché quella del debito autarchico è una bolla di chiacchiere e distintivo: eroi finanziari della Patria gratis anzi al sei per cento di guadagno. Una “bolla alle vongole” che non a caso piace ad ogni populismo e che trasversalmente affascina a destra e a sinistra: tagliare le unghie alla speculazione ripagati allo stesso interesse che incassano gli speculatori. Cosa può esserci di più nazional-popolare?