Più Cucciari, meno Dandini

Geppi Cucciari (Lapresse)

ROMA – Non conosco Geppi Cucciari, non ho avuto questo piacere. E piacere di sicuro sarebbe stato perché per quel che vedo e sento nella sua versione televisiva deve essere di sicuro persona piacevole nella sua arguzia e misura. Non so se la Cucciari abbia in tasca una tessera da giornalista. So però che fa ogni giorno nel suo G Day del giornalismo, del buono e vivo giornalismo. Lei e il suo gruppo di lavoro intercettano, selezionano, intuiscono non solo le “agenzie” di giornata ma le “notizie”, cioè i fatti accaduti e non solo le parole pronunciate da attori, più spesso comparse, dei fatti. Le intercettano con velocità e prontezza e soprattutto le digeriscono e metabolizzano. Condizione necessaria per divulgarle. Divulgare le notizie che è altra cosa dal leggere comunicati, dichiarazioni e “lanci di agenzia”. Geppi Cucciari e i suoi lo fanno, lo sanno fare con una tempistica da telegiornale. E poi cucinano le notizie con l’ironia. Ironia e non sberleffo, ironia che è materiale delicato e deperibile. Nelle loro mani l’ironia non diventa mai rancida. E senza essere per nulla “moderati” o “prudenti”. La notizia dei cinesi che forse comprano pezzi d’Italia, debito compreso? Ecco il cartello alle spalle della Cucciari: “Vieni avanti Pechino” con l’immagine del carro armato di Tien-An-Men. Berlusconi in Europa il giorno dell’incontro saltato con i magistrati? Ecco il cartello con Silvio raggiante e la scritta “W La Fuga”.

E le “interviste” ai Cinesoni, integratissima famiglia immigrata che fa il verso ai Cesaroni della fiction, la conduttrice li saluta dicendo: “Il vostro autista Mario Draghi vi sta aspettando”. E i titoli del “finto” tg prima di quello vero di Enrico Mentana: “Oggi Borse in altalena, Bce avverte: domani tutti sul calcio in culo”. Ed è tutta così la mezz’ora della Cucciari, anzi meglio. L’ospite, il “vip” , non è omaggiato e neanche aggredito, è chiamato, aiutato, sfidato ad essere “vero”. Il primo della nuova serie, Domenico Scilipoti, ci prova e davvero si mostra vero, quel che davvero è. Il secondo, Renato Mannheimer, ci prova, ci riesce e si mostra brillante. Il terzo, Marco Travaglio, chissà come si mostrerà, dipende da loro: la Cucciari non omaggia, non culla ma neanche aggredisce, parla con loro come fossero persone vere e non figurine della politica e dei talk-show.

Ma il meglio deve ancora venire: la Cucciari e il suo gruppo di lavoro rompono l’ossessionante tabù della “gente” che ha sempre ragione e dalla cui bocca cola solo la verità. Decenni di santorismo, ma in questo Santoro è stato solo il più bravo e il più coerente, hanno fatto in tv della “gente” una Madonna vergine e santa. Con la Cucciari la “gente” parla e simpaticamente infila un sacco di fesserie che la trasmissione registra e sottolinea come fossero dichiarazioni di politici. L’effetto non è per nulla straniante, anzi è effetto verità. La sacralità della gente infranta, la mimesi televisiva della vita reale attraverso il paradosso richiamano elementi di quella che fu la miglior tv, quella di Arbore, quella di “Indietro tutta”. Vedere per credere le conversazioni al telefono tra la Cucciari e i “telefonanti”. Insomma in mezz’ora, guardando il G Day ci si informa, si sorride, si apprende. Con eleganza, freschezza, intelligenza. Mischiando fatica e cultura.

Serena Dandini (Lapresse)

Ho avuto la fortuna di incontrare in qualche occasione qualche tempo fa Serena Dandini. Persona impegnata e simpatica. Professionalmente preparata ed esperta, una di quelle che ti vien voglia di lavorare con lei. Nel mio caso, anche una cittadina con cui condividere molte idee. Ma se oggi, e sottolineo oggi, per impossibile e assurdo caso qualcuno mi chiedesse cosa serve alla Rai o comunque ad una tv contemporanea, allora direi: più Cucciari e meno Dandini. Perchè il divano della Dandini è sempre lo stesso, parla con voce suadente e intelligente ma da decenni parla e ripete la stessa lingua. C’è satira nella tv della Dandini, ma l’ironia fresca di un tempo se n’è andata. E’ una tv anziana fatta per ex giovani che si sono fatti anziani.

E non è questione di La7 giovane e Rai anziana. Perfetto e levigato ma disperatamente anziano è il giornalismo di Lilli Gruber a La7, quel domandare per avere una risposta buona da trasferire all’Ansa o al quotidiano del mattino dopo, quel chiedere cose “importanti” ma in fondo insensate. Come quando si chiede “Berlusconi deve fare un passo indietro?” E ci vuole la franchezza saggia e invulnerabile di un Giuliano Amato per rispondere: “Ma che vuol dire un passo indietro? Niente”. Infatti “un passo indietro” è solo un bello e grosso titolo sotto il quale non c’è niente. E forse non è neanche questione di modelli e modalità giornalistici da cui i meno giovani non si distaccano. Quando al posto della Gruber ci sono in palinsesto i due giovani della rete, lei e lui fanno a gara a chi parla meglio la lingua del “palazzo” fingendo di assediarlo il cosiddetto “Palazzo”. Forse è questione dell’essere dentro o fuori. Non dentro o fuori la maggioranza, l’opposizione, la lottizzazione, le compatibilità, i compromessi. Tutti quelli di cui abbiamo parlato sono, al nostro modesto gusto, la parte migliore del giornalismo che va in onda. Ma forse è questione di essere “fuori” dalla “compagnia di giro”, quella che obbliga a parti obbligate e gela il linguaggio prima ancora che il format. E gli altri dell’informazione? Con l’eccezione delle due all-news della Rai e di Sky che fanno questo per mestiere e come disse una volta un presidente della Rai: dell’informazione… gli altri chi?

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Mino Fuccillo