Trenta anni fa Berlinguer diceva…Questione morale? No, “manuale”!

Enrico Berlinguer (©Publifoto/Lapresse)

ROMA – Trenta anni fa Enrico Berlinguer diceva… Il 28 di luglio è il trentesimo compleanno di quell’intervista dell’allora segretario del Pci ad Eugenio Scalfari. E tutti ricordano o credono di ricordare che Berlinguer abbia detto solo e soltanto “questione morale”. Questione morale intesa come battaglia degni onesti contro i ladri, di chi non ruba contro chi ruba. E che su questo Enrico Berlinguer abbia da allora cominciato a far ruotare l’asse della analisi e dell’azione politica della sinistra. Addirittura qualcuno individua in quell’intervista il concepimento se non la nascita del giustizialismo. Comprensibilmente molti rinfacciano a quel Berlinguer così letto e tramandato la presuntuosa e spesso, troppo spesso smentita, “diversità” del Pci geneticamente immune dalla disonestà. In realtà, ed erano trenta anni fa, Berlinguer non pose una questione morale, pose ben più consistente e realistica questione “manuale”, cioè quella del dove e perché mettono le mani i partiti e gli uomini e le donne della politica.

Sì, Berlinguer disse: “La questione morale è al centro del problema italiano”. Ma non perché ci fossero i ladri, che allora c’erano molto meno di oggi, ma perché: “le istituzioni stanno diventando macchine di potere e clientela, scarsa o mistificata conoscenza della vita reale e dei problemi della società, della gente. Idee, ideali programmi pochi e vaghi, sentimenti e passione civile zero”. La questione già allora non erano i ladri ma la “macchina” che fabbrica i ladri. La questione era già allora, quando nasceva, il combaciare e l’esaurirsi della politica nella distribuzione e maneggio dei soldi pubblici. Questo mutava la natura della politica, dei partiti e delle istituzioni. Questo avviene e si è perfezionato da trenta anni: con la complicità della società civile la politica altro non fa che maneggiare e distribuire soldi pubblici. E per chi ne dubitasse, basta ascoltare qualunque notiziario: l’informazione sui finanziamenti erogati e ottenuti ha in Italia la frequenza e la puntualità delle previsioni del tempo. La politica, di governo e non solo è un Bancomat di cui i politici hanno il codice di accesso e la gente si attende che lo usino. Per questo sono valutati, votati e in fondo altra funzione la società non riconosce loro.

Pian piano ma neanche tanto piano i politici si sono convinti che questa attività di maneggio e distribuzione di soldi pubblici sia non solo legittima come spesso è ma anche capace di legittimare quel che legittimo non è. Parlamentari, ministri, assistenti, assessori, governatori trovano naturale e in fondo “doveroso” avere rapporti di “stimolo” finanziario nei confronti di imprenditori, imprese, associazioni, interessi organizzati o, come si dice, territori. Non è tanto che i politici debbano “finanziare” la politica e per questo faccioano in modo che restino attaccate alle loro mani parte in fondo minima del denaro che maneggiano e distribuiscono. E’ che ritengono loro compito e funzione finanziare, stimolare con il denaro pubblico tutto o quasi tutto quel che esiste e si muove nella società. Ragion per cui se questo è il “fine” da tutti accettato e riconosciuto, la questione dei “mezzi” per ottenerlo è secondaria e comunque sempre opinabile.

Traduciamo in esempi non scelti a caso: se la politica nomina i manager della Sanità, se i partiti maneggiano e distribuiscono i 110 miliardi della Sanità, allora per impedire che un assessore regionale alla Sanità diventi un procacciatore di affari anche in proprio occorre affidarsi alla astratta categoria della “onestà”. Meno astratto e molto più concreto sarebbe un sistema dove i politici non procacciano e non procurano affari, neanche se onesti. Perché procurare affari non dovrebbe essere il loro mestiere. Se un governo locale si compra un pezzo di una strada, allora valutare se ha pagato il giusto o se ha distribuito un sovra prezzo traendone vantaggio rimanda ancora una volta alla categoria insondabile della “onestà”. Ma un governo locale perché compra azioni di una strada pagandole a un privato. Non dovrebbero essere letteralmente “affari” suoi, neanche se quel governo è il governo degli onesti.

Trenta anni dopo Enrico Berlinguer, Pier Luigi Bersani grida di non tollerare “macchine del fango” al lavoro contro il Pd e annuncia “querele” e forse perfino una “class action” degli iscritti al Pd contro…Contro chi? Filippo Penati e Alberto Tedesco sono sotto indagine e accusa. Il primo è uomo a tutto titolo del Pd e in carico a lui c’è la storia della strada comprata. Il secondo dal Pd è uscito di fresco e con rabbia, ma il Pd, e anche Nichi Vendola lo vollero alla guida della sanità pugliese. Possono essere innocenti o colpevoli, lo diranno i magistrati. Non può dirlo Bersani e infatti questo Bersani non fa. Giustamente dice: “Il Pd non fa ostacolo alla magistratura”. Giustamente indica le dimissioni di fatto di Penati e il voto del Pd al Senato favorevole all’arresto di Tedesco chiesto dalla magistratura.

Poi però, quando parla di querele il grido di Bersani diventa querulo. Perchè la “questione” non è difendere l’onore di un partito ma difenderne la funzione, di un partito e della politica tutta. Trenta anni fa Enrico Berlinguer diceva, chissà se l’avrebbe mai fatto davvero, che i partiti non devono nominare dirigenti e direttori Rai, distribuire e controllare i soldi della Sanità, comprare strade, fare affari. Diceva che il problema non erano i ladri, non era così ingenuo Berlinguer, diceva che le mani dei partiti, anche se oneste, non devono poggiarsi su aziende, imprenditori, affari. Non perché a Berlinguer facessero schifo i soldi ma perché se fanno affari, anche se non rubano, partiti e politica diventano altra cosa, cosa permeabile ai ladri.

E perché, anche se non rubano, anche se sono onesti, partiti e politica “bancomat” corrompono e sfibrano la società civile e loro stessi. Cosa avvenuta e consolidata in trenta anni. La destra berlusconiana ritiene questa e non altra la missione della politica e infatti ha portato in Parlamento la “società degli affari”. Se si limita alla conta dei non onesti Bersani può anche agevolmente vincere il confronto con la destra di governo. Ma la questione, morale e manuale, è quella di togliere dalle mani della politica la gestione degli affari. Fino a che il Pd o qualcuno per lui non dirà questo, sarà solo una gara a chi ha più onesti e meno ladri in un sistema in cui la politica è anche, anzi soprattutto, un “affare”.

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Mino Fuccillo