I più grandi giornali, le maggiori reti televisive e anche i siti web più autorevoli statunitensi si sono pubblicamente chiesti per un paio di giorni che ne sarebbe stato del pastore Terry Jones e della sua sceneggiata planetaria sul Corano da bruciare se la grande rete dell’informazione e della comunicazione non fosse allegramente corsa a pendere dalle sua labbra. La domanda conteneva una inevitabile sotto-domanda: se il mondo è rimasto appeso a un idiota non sarà anche perchè è diventato “idiota” la frabbrica e il mercato delle notizie, la domanda come l’offerta di informazione? La sotto domanda in realtà è ben più vasta, pertinente e importante della domanda relativa all’importanza data all’ingrosso al caso “Jones”. Soffermarsi sul “caso” svia e porta in un vicolo cieco. Il vicolo dove si discute l’opportunità e la praticabilità di una cosa sbagliata e impossibile: censurare le “idiozie” o almeno non gonfiarle. Censurare, insomma non “stampare” non si deve e semplicemente non si può. Dibattito chiuso perchè non si “polemizza con le notizie” e la “notizia” è, ormai da tempo che non esiste “tappo” possibile nel mondo del web, delle breaking news, della immediatezza e contemporaneità temporale.
La questione vera è altra e più difficile e dolorosa da affrontare: le “idiozie” non vanno taciute, vanno riconosciute come tali. E “l’immediatezza” obbligata e obbligatoria andrebbe limitata appunto alla dimensione temporale senza che si significhi abolizione e abdicazione alla “mediazione”, cioè, detto in parole semplicissime e crude, alla capacità di capire ciò di cui si sta parlando. Il sistema, la rete globale dell’informazione e della comunnicazione questo non lo fa più, non lo sa più fare. Non ritiene suo dovere e suo “must” riconoscere la natura e lo spessore della “notizia”. Se sia “idiozia” o no non lo riguarda. Qualche improvvisato maestro insegna e spaccia questa “indifferenza” per obiettività. Obiettività orizzontale e senza spessore ma pur sempre obiettività, aderenza, sia pur piatta, al reale. E invece non è obiettività, è incapacità. Il “reale” non è piatto e orizzontale, la realtà, quella vera, è sempre complessa e complicata. Anche solo per essere “vista” richiede valutazione categorie concettuali e culturali. Altrimenti si vede il lampo e non si sa se sia riflesso sull’acqua, miraggio o bomba che esplode o oro che luce. Se si dice che cinquanta agricoltori del “mezzowest” americano, tra una bevuta e l’altra, dopo una predica di un mezzo santone danno fuoco a un libro islamico, si dice cosa diversa dal : “Pastore battista brucerà in pubblico il Corano”. Quale delle due cose è “vera”? Cosa è “vero” tra l’annuncio nei giorni pari che una maxi epidemia minaccia il mondo e la notizia nei giorni dispari che l’epidemia è stata debellata? Sono entrambi “comunicati”, di nun centro di ricerca o di un’organizzazione sanitaria. Ma il sistema della comunicazione e informazione non sa, non vuole misurare e comprendere. Al fondo non vuole sapere e quindi neanche informare, vuole solo “comunicare”.
Perchè accada è vasta questione che investe perfino la storia e l’economia, le tecnologie e il costume. Qui preme individuare una, solo una delle cause: la rarefazione se non l’assenza nella grande rete della carta stampata, delle tv e del web delle “competenze per la vita”. Che sono: “Capacità di comprensione ed espressione, di risoluzione dei problemi, di interazione sociale, di ragionamento logico, di vivacità e curiosità intellettuale”. Abbiamo preso l’elenco pari pari da quello stilato dalla pedagogia internazionale come criteri per la valutazione di una buona scuola. Queste “competenze per la vita” nel percorso della formazione scolastica ed universitaria sono sempre meno garantite e ricercate. In tutti i paesi, in Italia ancor meno che in altri paesi. Non le insegna la scuola, tanto meno le insegna la scuola del giornalismo e della comunicazione-informazione. Per cui, ad esempio, la comunicazione-informazione comunica che classi scolastiche con 30 alunni danneggiano la didattica e lo studio. Falso: i paesi con i migliori risultati scolastici hanno classi con alto numero di alunni. Falso che il rendimento scolastico degli alunni sia funzione delle ore di lezione, ma la comunicazione-informazione comunica che il calo delle ore di lezione è porta aperta all’ignoranza. Succede, è solo un piccolo esempio, perchè il sistema, la rete della comunicazione-informazione raccoglie e trasmette, secondo il modello generale adottato anche nel caso Jones, il “comunicato” degli attori sociali della vicenda. Raccoglie, comunica e crede che il comunicato sia la realtà. Insegnanti, genitori e studenti comunicano l’allarme classi gonfie e ore calanti e questa diventa la realtà. Nessuno o quasi “filtra” il comunicato al setaccio di una competenza specifica o anche solo a quello delle “competenze per la vita”.
Ci si scambia la responsabilità, si dice che non è possibile distinguere se viene prima l’uovo della comunicazione o la gallina dell’informazione. E ci si ritrova alla fine tutti polli, polli che si credono faine, impegnati in un grande e planetario “Brucia la notizia”.