ROMA – Chi, come, dove, quando, perché…le cinque doppie W del “bignamino” anglosassone sulla stampa, le “asticelle” dell’ asilo del giornalismo, più semplicemente la griglia minima di domande e curiosità che uno si fa e si fa venire quando gli dicono che qualcosa è accaduto. E quindi, perché? Perché Angela Merkel, la Germania, i paesi nordici dell’Unione Europea hanno dato a Monti e a Rajoy, molto più all’italiano che allo spagnolo quel che non volevano concedere?
Perché Mario Monti, il premier italiano, ha detto e poi anche fatto quel che nessuno si aspettava da un premier italiano: ha portato argomenti e numeri, problema e soluzione e soprattutto ha saputo far diventare il “suo” problema un problema per gli altri. Anzi il “problema” ha prospettarlo di traslocarlo in casa altrui. E’ stato drammaticamente semplice per Monti dire alla Merkel a i suoi tradizionali alleati( finlandesi, olandesi…): guardate che l’Italia non firma il documento conclusivo del vertice. E non lo fa neanche la Spagna. Quindi lunedì mattina l’intero mondo, finanziario e non, sa che siamo europei divisi e alla deriva. Quindi lunedì mattina sono guai pesantissimi per tutti: noi italiani e spagnoli ci facciamo male, malissimo sui mercati. Ma anche voi tedeschi e alleati ne uscite con le ossa rotte e poi se non volete che salti proprio tutto, dopo un lunedì così e i giorni che ne seguiranno, dovrete spendere molto di più, rischiare molto di più di quel che vi chiediamo adesso. Un tutto sommato breve calcolo del dare e dell’avere da parte della Merkel e la Merkel ha valutato e contato che dire no a Monti sarebbe costato di più, non a lei ma alla Germania. Quindi sì alla richiesta di Monti, con Rajoy accodato. Sì, con malumore della Cancelliera ma niente altro che sì poteva dire. Ecco perché, perché avesse detto no avrebbe sfasciato e i “cocci” sarebbero stati suoi.
E veniamo al “come”. Si è stabilito, è stato accettato il principio che i Fondi finanziari europei, quelli in cui tutti i paesi dell’Europa mettono soldi, possono se chiamati da uno dei paesi membri comprare i titoli di Stato di quel paese che il mercato non compra in quel momento se non chiedendo tassi altissimi e insostenibili. In pratica: se il mercato chiede alla Spagna il 6 e passa per cento per finanziare il suo debito e se il mercato dovesse chiedere all’Italia il 5 per cento o peggio, allora i Fondi europei comprerebbero quei titoli di Stato, il debito futuro italiano o spagnolo o di altro paese chiedendo tassi di interesse tra il 3 e il 4 per cento. Salva, taglia, calmiera spread: si può chiamarlo in tanti modi. La sostanza è sottrarre il paese che emette debito non al mercato ma all’impazzimento del mercato mettendogli dietro una garanzia che non è ancora quella dell’Europa unita in un solo Stato e in una sola cassa ma che è almeno quella di una cassa comune europea che paga alla bisogna. I Fondi oggi esistenti dispongono di circa 700 miliardi teorici di cui parte già impegnati (Grecia, Portogallo). Non è escluso possano e debbano essere rimpinguati. A quale livello di spread e di tassi un paese sarà legittimato a chiedere sostegno è ancora materia di trattativa. Ma una cosa è certa, il paese che lo fa non chiede “aiuto” e non si consegna per ogni sua scelta nelle mani di chi gli presta i soldi. Si appoggia invece su Fondi e risorse che tutti i paesi stanziano per questa finalità. Non è una differenza di lana caprina, è la differenza che c’è tra un debitore, un paese fallito e un debitore che si garantisce rispetto allo strozzino con un patto di reciproca mutualità tra debitori e creditori.
E il “dove”? Formalmente a Bruxelles, in realtà in quel “luogo” della politica e della società in cui Germania e Italia non potrebbero essere più lontane e diverse. Eppure ilo contatto è avvenuto proprio là, in una sorta di check point Charlie a cavallo di un Muro tra due culture e modelli di vita collettiva. La Germania tutta, non senza ragione, non riesce neanche a concepire che chi non mantiene impegni e parola non subisca conseguente danno e che questo processo non sia fondamentalmente sano e giusto. Quindi non vuole, potremmo dire “non può” prestare fiducia e soldi a chi svicola, elude, rimangia, cancella, sceneggia. Cioè l’Italia. Aggiungi imbroglia e fa Grecia. L’Italia tutta ha alle spalle almeno tre decenni di conclamata e certificata inaffidabilità. E’ un paese, solo un esempio, dall’altissima spesa pubblica in cui tutti piangono di non essere aiutati dal pubblico denaro. Un paese che in queste settimane ha più volte tradito la sua intenzione neanche tanto riposta: far “scucire” i soldi ai tedeschi e continuare a vivere come prima. In questo “luogo” di diffidenza e quasi incomunicabilità reciproca, in questo “dove” arriva l’accordo: l’accesso al salva, taglia, calmiera spread è consentito solo ai paesi in regola con gli impegni presi. Tradotto: solo se l’Italia pareggia il deficit entro il 2013. Tradotto ancora: chi vince le elezioni il prossimo anno non fa come gli pare o se lo fa esce dal corteo europeo. Chissà se in Italia questo “dove” è stato davvero visto e capito.
Resta il “quando”: subito, entro luglio. Che è presto ma è già tardi perché d’estate uno spread libero potrebbe, anzi è praticamente sicuro che lo farebbe, triturare le finanze di Spagna, demolire quelle d’Italia ed erodere quelle di Francia. E resta il “chi”. Il chi è sicuramente Mario Monti, primo attore e incredibilmente anche in certa misura regista di questi giorni e di questa fase europea. Mario Monti che risalva l’Italia. L’aveva già fatto a fine dello scorso anno, ma solo con tasse e tagli. Stavolta salva dallo spread…la “sua” Italia. Quella che pareggia il deficit tra 18 mesi, quella che fa davvero la spending review, quella che assume con meno contratti precari, quella che non incolla lavoratori al sepolcro di fabbriche morte, quella che mugugna e soffre ma le tasse le paga. Un’Italia di minoranza. Già lunedì contro la spending review è pronta a marciare e a fare barriera l’Italia dei sindacati e dei prefetti, dei medici pubblici e dei farmacisti privati, delle province e dei commissariati. E per “allentare la morsa” si è pronunciata l’Italia di Confindustria e dei commercianti e anche quella dei pensionati e degli avvocati. E l’ottanta per cento degli elettori del Pdl, parole e numeri di Berlusconi, è “contro il governo”. E quel che resta della Lega lo chiama “il governo della rapina”. E per Di Pietro è “da cacciare”. E per Grillo debito e deficit non sono da pagare. E per mezzo Pd e tutti e tre i sindacati interi la riforma delle pensioni e quelle del lavoro sono da annullare o almeno ammorbidire non appena si torna al governo. Qualunque cosa Monti abbia raccontato alla Merkel, quella che è pronta, convinta e cosciente di dover essere in regola nei prossimi mesi e anni è un’Italia di minoranza.
E anche a tempo, corto e determinato. Pare che in solo momento la Merkel abbia di fatto zittito Monti, quando nel vertice è stata posta la domanda: già, ma chi sarà il premier italiano a marzo 2013? Di nuovo Berlusconi di nuovo alleato con la Lega? Angelino Alfano? Insomma quelli il cui 80 per cento dell’elettorato è contro le garanzie che oggi l’Italia offre? Un qualche altro innominato in qualche modo appoggiato dai voti raccolti da 5 Stelle? Voti che arrivano sia dal Pdl sia da chi è contro banche, finanza e governi per definizione? Un Pier Luigi Bersani, appoggiato da Vendola che deve tener conto della voglia di rivincita della Camusso? Chi garantisce per l’Italia 2013? La Merkel raccontano abbia lasciato cadere la domanda. Ed è rimbalzata in terra pesante, senza nessuno che la raccogliesse. Un sussurro di Monti: “A Roma abbiamo dei problemi”. E un lampo, solo un lampo negli occhi della Merkel: se l’anno prossimo gli italiani riprovano a fregare tutti, se non rispettano gli impegni di bilancio presi, stavolta si impiccano con la corda che oggi si sono presa e ho dovuto dar loro. Infatti lo spread dei paesi fuori regola e fuori bilancio, sta scritto nel patto, non lo salva, taglia e calmiera nessuno.