Mozzafiato Merkel, Maggiordomo Alfredo…Le comiche letali di Berlusconi

foto Lapresse

ROMA – Silvio Berlusconi racconta, Bruno Vespa annota e stampa la credibile scena. C’è un signore conosciuto dal premier più o meno per caso e per dovere di ufficio, fa il giornalista. Si chiama Valter Lavitola e telefona un sacco di volte al capo del governo. Questo signore sa che il capo del governo italiano non ama parlare al telefono con lui di cose che potrebbero essere intercettate e diffuse perché il signore è più volte sotto indagine per affari al di qua e al di là del confine del reato. Allora questo signore fa arrivare a Palazzo Grazioli telefonini panamensi in teoria a prova di intercettazione, con questi Berlusconi potrà parlargli liberamente. Li fa recapitare nelle mani del maggiordomo Alfredo, il maggiordomo di Berlusconi. Un giorno suona, squilla uno di questi telefoni, il maggiordomo Alfredo risponde ed entra, telefono in mano, nello studio del capo del governo italiano. Dice il maggiordomo: è Lavitola. Dice Berlusconi: è la ventesima volta che chiama. Dice il maggiordomo: presidente, ci vuole parlare? Dice il presidente: non ad uno di quei telefoni panamensi, perché “queste sono cose che fanno i mafiosi”. Dice il maggiordomo: presidente, ci parla? Berlusconi prende la telefonata e il telefono, convinto, sicuro che il telefono sia quello del maggiordomo Alfredo e non quello fornito da Lavitola. Il capo del governo italiano parla con Lavitola tramite un telefono panamense “a sua insaputa”. E’ questa la versione ufficiale, registrata e diffusa da Bruno Vespa alla vigilia dell’ultimo vertice europeo di Bruxelles.

Vertice che per Berlusconi comincia con l’annuncio dato ai giornalisti italiani: “Ho convinto la Merkel”. Ma quando lo dice Berlusconi con la Merkel non ha ancora parlato. Poi Berlusconi prosegue: “Ho già pronte cento misure per la crescita economica”. In tasca ha le pagelle scolastiche non su carta ma sul web e il biglietto del bus elettronico. Ancora: “Non sono mai stato bocciato in vita mia”. Poi fa sapere agli italiani e agli europei che “bunga-bunga” significa ballare ma che lui alle sue cene eleganti neanche balla “per rispetto di un antico fioretto” e che in Italia ci sono “porno giornalisti e porno magistrati” affetti da una sexual addition che li porta, a rigor di logica berlusconiana, a fare i guardoni.

E’ un premier coerente, un premier che ha fatto votare al suo Parlamento la certezza che Ruby fosse, almeno la notte in cui Berlusconi intervenne per lei e la tirò fuori dalla Questura, la nipote di Mubarak. Un premier che racconta, a vertice europeo iniziato, che in Italia “alcune Procure vogliono la rivoluzione”. Poi va a dire a Merkel e Sarkozy, a Van Rompuy e a Barroso: fidatevi di me. Fidatevi e fare tirar fuori ai vostri elettori e contribuenti i miliardi per comprare e garantire il debito pubblico italiano. Quel debito che la Merkel ha appena finito di definire “mozzafiato”, quel debito che la Merkel ha appena finito di dire non garantibile da nessun “muro” finanziario europeo se resta al 120 per cento del Pil. All’Europa e al mondo Berlusconi chiede di comprare 600 miliardi di titoli pubblici italiani nei prossimi due anni sulla fiducia. Fiducia nell’uomo che giura sulla nipote di Mubarak e sulla colpevolezza sbadata del maggiordomo Alfredo.

Ti puoi fidare di un uomo così che da anni dice tutto e il contrario di tutto, che giura sull’improbabile, che attesta l’improponibile, che vende di aver “convinto” gli interlocutori con cui non ha parlato e che invece lo stanno aspettando per dirgli che non si fidano più, neanche un po’? Sarkozy e la Merkel ridono di questa richiesta di fiducia. E insieme con loro ride tutta la stampa europea in conferenza stampa. Ridono della domanda stessa prima ancora che di Berlusconi, fidarsi di quel che dice il premier italiano? Roba da ridere. Tanto da ridere che nella conferenza stampa nella sala accanto “Mister Euro”, Van Rompuy, pubblicamente chiede all’Italia di ripresentarsi con carte “scritte”. Carte in cui ci sia scritto come l’Italia pensa di abbassare il debito, altrimenti i soldi, i miliardi dei cittadini e contribuenti europei all’Italia non arriveranno. E l’Italia farà la fine della Grecia perché, come la Grecia, l’Italia mente a se stessa, rimuove la realtà, insiste e resiste a continuare come prima, come più non si può.

In Italia in molti si offendono o almeno si dolgono dell’Italia che fa ridere quando si domanda della credibilità delle sua “assicurazioni” e garanzie. Lo fanno giornali e giornalisti serissimi che pure a Berlusconi governante non prestano da tempo più credito, lo fanno La Stampa e il Corriere della Sera. Giuliano Ferrara, mini Gabriele D’Annunzio del terzo millennio, convoca una “risata nazionale” anti francese. E certo nel sorriso compassionevole di Sarkozy, della Merkel e del resto d’Europa c’è alterigia gallica e preconcetto teutonico contro gli eterni italiani. Ma sentirsi offesi è tanto comprensibile quanto indice inequivocabile di coda di paglia. E’ l’Italia tutta ad avere una credibilità da ridere.

L’Italia che abolisce le Province moltiplicandole e cambiando loro di nome. L’Italia in cui l’intero sistema politico neanche si sogna di fermare la spesa pubblica, l’Italia che inventa tasse per rincorrerla la spesa pubblica. L’Italia che vuole i miliardi europei e poi grida e lamenta la sovranità violata fa ridere, amaramente sorridere. L’Italia che di “mozzafiato” conosce solo le hostess che adornano il congresso del partito di Scilipoti cui il premier fa a rendere omaggio e complimenti. L’Italia delle comiche, non finali ma letali. C’è poco da offendersi: risibile è un paese che pensa la sua dignità e credibilità siano gratuite anzi ” a scrocco” degli altri.

Dignità e credibilità hanno un valore e un prezzo, quello della verità. Ma la verità in Italia non è quotata, quasi nessuno vuol comprarla se costa anche un solo euro di tasca sua. Ridono di noi e presto, se non cambieremo i connotati del paese, le nostre abitudini acquisite come fossero eterni diritti, ci faranno piangere. E potranno legittimamente dire: chi è causa del suo mal pianga se stesso.

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Mino Fuccillo