ROMA – Antonio Di Pietro vuole una nuova “legge Reale”, insomma una riedizione di quella varata da Oronzo Reale nel 1975: prevedeva, tra l’altro, l’uso delle armi in funzione di ordine pubblico. Di Pietro prospetta altro: nuove figure di reato, processi per direttissima, pene aumentate. Claudio Giardullo, funzionario di polizia del Silp-Cgil, dice che sbagliata è stata la scelta “politica” del Ministero dell’Interno: proteggere solo la “zona rossa” dei palazzi delle istituzioni e non tutta la città di Roma, dice che è stato applicato il “modello Genova”, modello fallito da un decennio. Parlamentari del Pdl se la prendono con i Pubblici Ministeri che non indagano e non sciolgono i Centri Sociali, Fini lamenta l’assenza del lavoro preventivo dei Servizi segreti, Cicchitto e Gasparri rimproverano Draghi e Montezemolo rei di “simpatia” verso le ragioni degli Indignati, Vendola vuole i “violenti all’inferno”, Bersani attacca i “provocatori”… E’ pieno di Bartali il giorno dopo Roma occupata dalla criminalità politica, pieno di gente che intona “è tutto sbagliato, tutto da rifare” e punta l’indice su chiunque non sia se stesso. Indice che infallibilmente punta nella direzione sbagliata.
Il primo vero problema è a carico di chi ha manifestato. Manifestato con ottime ragioni, qualche argomento debole e una cultura incerta e tenue. Problema che la galassia dei manifestanti si sta lodevolmente ponendo, problema acuto e finora non risolto. Problema che si riassume nella secca alternativa: denunciarli o isolarli? Che non è la stessa cosa e nemmeno una diversa gradazione della medesima scelta. Denunciare i violenti vuol dire assumersi la responsabilità di dichiararli nemici e non solo ostacolo del movimento di protesta. Vuol dire agire, fare una scelta politica, scegliere di avere nemici in piazza e non obbedire più al riflesso condizionato del nessun nemico in piazza. Cercarli, denunciarli, individuarli è quel che finora non si è fatto, è atto politico. Isolarli invece è parola d’ordine assai più tenue, qualcosa che in concreto vuol dire poco, poco più di una dissociazione, restare nei confini del pilatesco in fondo “manifestanti che sbagliano”. E’ un bel problema per il movimento degli Indignati. Perché i violenti sono anche i figli della No Tav? Perché quel che si fa a Chiomonte viene accettato o almeno subito e quando la stessa cosa si fa a Roma va condannata? Qui, intorno a questa contraddizione, c’è un’area grigia, di cultura anche se non certo di azioni.
Il secondo problema è a carico della sinistra politica e delle opposizioni di governo. Problema di soggiacere o meno al riflesso condizionato e culturalmente pigro per cui è tutta e sempre colpa del governo. Sono in molti nell’opposizione a far torto e velo alla realtà, a non capire o far finta di non capire che stavolta la scelta della polizia è stata la migliore possibile. Semplicemente la polizia ha scelto: primo, non fare il morto. Polizia tutt’altro che “cilena” che viene criticata da chi “cilena” l’ha chiamata e “cilena” l’avrebbe richiamata se si fosse comportata diversamente. Presidiare in plotoni immobili tutti i chilometri del percorso? Ridicolo, tecnicamente risibile. E non risibili purtroppo sarebbero state le occasioni di scontro con chi la polizia voleva attaccare. Far partire cariche di polizia ad ogni palo divelto ed auto incendiata? Cariche dentro e ai fianchi di un corteo di centinaia di migliaia di persone? Sarebbe stato letteralmente un macello, macello di carne e di sangue. Alludere poi ad una scelta politica legata al fatto che far scatenare la violenza serviva per la prossima campagna elettorale varca i confini della paranoia travestita da astuto opportunismo politico.
Il terzo problema è a carico del governo e delle forze politiche di maggioranza. Il ministro degli Interni Maroni che annuncia “nuove leggi”, la destra che grida alla magistratura imbelle e che conia, spaccia l’equazione secondo cui chi è contro il governo alla fin fine è complice della violenza. Reazioni tra l’isterico e l’opportunistico, reazioni all’insegna del “che ci guadagno”. Simmetriche alle reazioni a sinistra all’insegna del “che ci perdo”. Reazioni di un ceto governante e non dirigente. Le leggi ci sono e comunque non è per via legislativa e di decreto che si mette in galera il fuoco che ha bruciato Roma. Galera meritano, se riconosciuti colpevoli, i pochi arrestati. Sperando non siano stati arrestati per caso. Galera va erogata, ma non è questo il problema e neanche la soluzione.
Il problema, il vero problema appare troppo complesso per la politica italiana, troppo urticante per i manifestanti legittimi e pacifici, troppo arduo per le opposizioni, troppo colto per il governo. Il problema è: perchè solo da noi e in Grecia? Perché solo a Roma e ad Atene e non nelle altre novanta città della protesta mondiale? Qualcuno ha detto perché c’è un immarcescibile e gassoso carattere venefico e velenoso della nostra vita pubblica, una sorta di carattere pubblico nazionale deviato. Tesi barocca. Altri hanno detto: è il riflesso della crisi scoperta troppo in ritardo, lo sconcerto e sgomento successivo all’averla negata. Tesi filiforme. Altri con molta immaginazione sociologica hanno evocato gli “zombies che vengono dal passato”. Tesi arzigogolata per non guardare in faccia il presente. Altri ancora hanno riscoperto l’Italia eternamente lassista con tutte le sue forme di devianza dalla legge: dalle tangenti sul pubblico denaro agli assalti ai cantieri della Tav: una mezza verità. Solo da noi e solo in Grecia perché solo da noi e in Grecia l’area del privilegio e del danno sociale sono così strettamente intrecciate. Da noi e in Grecia, in Grecia ancor più che da noi, la crisi economica e finanziaria, la crisi di sistema scopre e denuda il fatto che il risanamento, anche dovesse per quasi miracolo risultare socialmente equo, danneggerebbe aree di diritti acquisiti. Per dare lavoro, vita e speranza ai giovani cui tutto questo viene negato, qualcosa va tolto a chi di qualcosa, anzi di molto si è impossessato. Ed era questa la natura incerta e tenue del grande corteo, non la sua avversione alla violenza, ma il suo ospitare tutti quelli che dicono no a qualunque cosa.
La risposta più seria il giorno dopo non viene dai molti e troppi Bartali della politica, del governo e dell’opposizione e anche dei sindacati e del movimento. Viene da quelli che sul web stanno dando la caccia ai nemici di piazza. Va data loro identità, nome e cognome e vanno denunciati. E insieme va cercata l’identità culturale e sociale di ciò che è compatibile ed utile ad una redistribuzione della ricchezza, ad un rientro dal debito socialmente equo. L’inno all’insolvenza e la cultura di un paese fatto da dieci, cento, mille diecimila Cobas non c’è bisogno di scovarli sul web o nei filmati. Non sono infiltrati e neanche violenti, sono avversari politici. Quando il movimento degli indignati italiani lo avrà capito, allora avrà il suo “servizio d’ordine” culturale, ideale e politico. L’unico che potrà produrre e tenere in piedi un “servizio d’ordine” anche in piazza. L’inspiegabile mistero per cui duemila fanno la festa a duecentomila e assaltano la polizia è tutt’altro che un mistero e tutt’altro che inspiegabile. Si spiega con una sola parola: egemonia politica. Oggi il movimento degli indignati egemonia non ha prima di tuttoi su se stesso e forse neanche vuol sapere cosa significa. Per questo il “blocco nero” se lo sbrana. E il mistero militare è tale solo per chi la polizia davvero “cilena” non l’ha mai vista.