ROMA – Missione soldi, senza se e senza ma. E’ quella dei due senatori e dei 24 parlamentari renitenti al contributivo, alla pensione a 65 anni. Missione soldi, è una scelta di vita. Il baricentro, la bussola, il faro, il valore “non negoziabile”: i soldi. Domanda: quei due senatori e quei 24 parlamentari sono ciascuno “uno di noi”, fanno come farebbe ognuno di noi se ne avesse l’occasione, oppure nel loro agire c’è qualcosa di più e di diverso dal comportamento sociale standard. E, se c’è, cosa è questo di più e di diverso?
I due senatori: uno, Luigi Lusi del Pd, gira a se stesso con novanta bonifici bancari 13 milioni di euro del “rimborso elettorale” ai partiti. In realtà rimborso elettorale proprio non è, i “rimborsi” sono sempre di gran lunga superiori a quanto i partiti riescono a documentare di spese elettorali. E’ finanziamento pubblico ai partiti, da anni lo chiamano “rimborso” solo per far finta di aver obbedito al referendum che il finanziamento aboliva. Nel caso di Lusi poi si tratta di “rimborso” a un partito morto, la “Margherita”. Morto sì politicamente, ma, come gli altri partiti spariti, vivo e vegeto nell’incassare. Comunque quella dei soldi ai partiti è altra e dolente questione. Qui interessa l’idea che il primo senatore dei due, Luigi Lusi appunto, ha di se stesso e della politica. A lui, tesoriere, arrivano i soldi. Lui li gira a se stesso e, non fosse per Bankitalia, nessuno lo scopre e in fondo nessuno si accorge. Si può fare, li può girare a se stesso e questo già la dice lunga sul binario di “trasparenza” su cui viaggiano quei soldi. Lusi lo sa che si può fare e infatti lo sa. Non gli interessa, non lo tocca e riguarda l’idea che cogliere l’occasione possa danneggiare, azzerare la sua immagine e carriera politica. Delle due l’una: o si sente invulnerabile oppure stima ne valga la pena. Su un piatto della bilancia i milioni di euro, sull’altra l’immagine e la carriera politica. Lui non ha dubbi, sceglie i milioni. Scoperto, resta coerente con se stesso, annuncia che rimborserà i soldi dirottati a se stesso, ma solo cinque milioni su tredici. Portare a casa i soldi, almeno una parte dei soldi è la missione, tutto il resto vale molto, molto di meno.
Il secondo senatore è del Pdl, Riccardo Conti. Non è povero, dichiarazione fiscale di circa 600mila euro. Non fa solo il senatore, ha soldi investiti in varie aziende. E’ un imprenditore, imprenditore di se stesso. E un  giorno realizza l’affare che deve aver costruito con pazienza, relazioni, fatica, sagacia. Compra, senza tirar fuori un euro, un palazzo alla cifra di 26 milioni e mezzo di euro. Lo stesso giorno in cui lo compra tramite una sua società lo rivende ad un ente previdenziale, quello degli psicologi, per 44 milioni e mezzo. Pagherà i primi tre milioni di acconto solo dopo aver incassato i primi sette di acconto della rivendita. Perfetto, geometrica potenza delle relazioni sociali. Perché Conti non fa certo tutto da solo: qualcuno, una società di “valorizzazione” del patrimonio immobiliare gli vende a 26 quel che evidentemente quello stesso giorno si può vendere a di più e qualcuno, l’ente previdenziale, ricompra da lui a 44 milioni quel che quello stesso giorno poteva esser comprato a meno. Conti non può non sapere che il giorno in cui qualcuno renderà pubblico il suo grande affare la sua immagine e la sua carriera politica rischiano di essere annichilite. Fosse anche tutto legalmente in regola, e mettiamo che lo sia, è evidente che le “relazioni sociali” di Conti senatore si sono incollate e fuse con quelle di Conti imprenditore. Ma se su un piatto ci sono 18 milioni di euro da portare a casa e sull’altro l’immagine, il ruolo e il senso del suo essere un senatore, Conti non ha dubbi su quale piatto della bilancia puntare. Portare a casa i soldi è la missione, il resto, se pure un resto c’è, vale molto, molto meno.
E i 24 parlamentari che hanno fatto ricorso contro la modifica del loro sistema pensionistico? Sono 24 ma dietro di loro sono molti di più che mugugnano e in silenzio più o meno contenuto tifano per i 24. Restiamo ai 24, anche sentiamo i, fiato del “tifo” parlamentare intorno a loro. Non tollerano, trovano ingiusto prendere la pensione a 65 anni se sono stati in Parlamento per una sola legislatura. Fino a ieri la prendevano prima, molto prima. Non tollerano, trovano ingiusto che la loro pensione sia calcolata con il metodo retributivo. Insomma non tollerano e trovano ingiusto quel che è imposto a tutti gli altri cittadini. Mica mugugnano solo loro, mica solo loro fanno ricorso. Mugugnano in centinaia di migliaia di italiani e a migliaia hanno pensato di fare ricorso. Ricorso ma a chi? I parlamentari lo sanno a chi: a se stessi. Sarà il Parlamento a giudicare del ricorso. Come fosse il sindacato scuola a giudicare del ricorso degli insegnanti o l’Ordine degli avvocati a giudicare del ricorso di chi non tollera di dover fare i preventivi ai clienti. Per ora i 24 hanno nascosto dietro una sostanziale omertà parlamentare spacciata per privacy i loro nomi. Ma sanno certo che prima o poi quei nomi, i loro nomi, saranno pubblici. E sanno che il paese intero, l’elettorato intero non li giudicherà né eroi né giusti, li giudicherà nel peggiore dei modi. Lo sanno ma non si fermano, al giudizio della pubblica opinione non tengono. Oppure ci tengono ma di fronte ai soldi, ai risarcimenti che arrivano se passa il ricorso…Portare a casa i soldi è la missione, addirittura il senso della propria identità .
I due senatori e i 24 parlamentari: sono “uno di noi”, sono lo specchio in cui guardiamo l’immagine riflessa di tutti noi? Attenzione prima di rispondere, soprattutto a se stessi. L’Italia straripa di missionari dei soldi senza se e senza ma. Ma qui, nei due senatori e nei 24 parlamentari e in tante altre storie di rapporto tra i politici e i soldi, se non un qualcosa di diverso dalla cosiddetta “gente” emerge e spunta qualcosa di più. Quel di più è la selezione alla rovescia con cui, da cui dagli anni novanta si forma il ceto politico. Venti anni a selezionare i peggiori, i più ignoranti, i più presuntuosi, gli uomini e le donne di minimo spessore culturale e civile, talvolta perfino umano. Venti anni così hanno reso possibili, addirittura “normali” quei due senatori e quei 24 parlamentari. Venti anni a selezionare statisti da baita e da bar che non hanno mai letto un libro, venti anni a selezionare neanche comparse ma solo “generici” da televisione, venti anni a selezionare funzionari dell’ossequio, venti anni a selezionare teatranti della lotta sociale. Venti anni a selezionarli così, ma chi li ha selezionati? I partiti politici certo, ma anche noi tutti. E quindi si torna all’eterno problema dell’uovo e della gallina: chi il primo?