L’Aquila: ieri sbudellavano gli indovini, oggi “giustiziamo” i sismologi

L’Aquila: ieri sbudellavano gli indovini, oggi “giustiziamo” i sismologi

ROMA – Tutto il mondo, tutti gli scienziati del mondo, a partire da quelli americani e giapponesi che qualcosa di terremoti ne sanno, sono rimasti sorpresi, letteralmente a bocca aperta. A noi italiani non è consentita analoga sorpresa di fronte alla sentenza che condanna a sei anni di galera i sismologi che una settimana prima del sisma de L’Aquila dissero, pubblicamente dissero che le scosse piccole e medie registrate in precedenza non significavano automaticamente un grande terremoto in arrivo.

Non possiamo stupirci perché questa sentenza è molto “ambientale” per usare un termine che fu dei magistrati che indagavano su tangenti e mazzette. Parlarono allora di corruzione ambientale per esprimere in qualche modo il fatto che il comportamento tangentizio non solo era diffuso ma era anche indotto, indotto dal costume e dalla cultura, insomma dall’ambiente sociale tutto.

Analogamente l’ambiente, il costume e la cultura dominanti in Italia oggi hanno indotto questa sentenza. Per cominciare a capire l’ambiente occorre partire dall’applauso che ha salutato la lettura della sentenza e dalle voci dei cittadini aquilani subito fuori l’aula del Tribunale: “Sei anni? Pochi!…Ci hanno rassicurato e poi siamo morti dentro casa”. Partire dal commento alla sentenza del sindaco Massimo Cialiente: “Volevamo questa sentenza per capire” e dalle parole di Stefania Pezzopane all’epoca presidente della Provincia: “Sono vicina agli aquilani traditi e umiliati, quelli erano venuti per rassicurarci”.

Applausi, parole e pensieri e anche emozioni da cui si deduce, dentro i quali sono incistate e incastonate le seguenti certezze/bisogni/pretese. Prima: che esista una invulnerabilità del cittadino di cui qualcuno deve farsi garante. Seconda: che se questa garanzia non viene assicurata allora qualcuno sia chiamato a espiare la colpa. Tre: che la colpa sia sempre individuabile e sempre collocabile e imputabile in un territorio fuori dalla propria responsabilità individuale e collettiva.

Sono i connotati tipici e inconfondibili di un pensiero magico. L’Italia contemporanea non se ne accorge ma da temo il suo “ambiente” culturale è quello del pensiero magico-mistico. Ha scritto Mario Tozzi su La Stampa: “Una sentenza con cui l’Italia si allinea finalmente con gli altri paesi del mondo dove gli scienziati sono condannati dai tribunali teocratici e il terremoto è considerato un castigo divino…”. Sì, certo ma il salto, anzi l’immersione, non è nelle teocrazie contemporanee che pure non mancano, l’immersione è a ritroso nella storia.

La sentenza de L’Aquila è stata già tante volte scritta ed eseguita nel corso dei secoli: quando un indovino, un aruspice, un lettore di viscere o volo di uccelli diceva che il presagio era fausto e invece poi il grano non cresceva o la battaglia si perdeva o la sposa del capo non faceva figli maschi, allora quell’indovino spesso e volentieri lo facevano a fatte. Perché? Perché per sua bocca con tutta evidenza non aveva parlato la divinità ma il maligno. A dire il vero greci e romani che pure interrogavano i segni, dalla pratica di punire chi non dava responsi secondo le loro aspettative si erano emancipati. Noi no, noi italiani contemporanei siamo tornati più indietro: al supplizio dell’aruspice che non ci ha portato la buona novella.

Il nostro “ambiente” culturale infatti non prevede e contempla l’idea di scienziato. Per i più scienziato è qualcosa che ha del mago, anzi meno, qualcosa del governante, comunque uno con cui fai un contratto e da lui compri una merce. Tipico il rapporto del paziente con il medico: se non c’è guarigione ci deve essere incapacità o negligenza, morire di malattia è sempre in fondo “errore” del medico. E i Tribunali fanno da cassa di risonanza a questa cultura, sempre più la accolgono e ne fanno sentenza.

Anzi la prima cassa di risonanza è l’informazione: quelle interviste ai parenti e amici delle vittime sempre corrive e golose della caccia al colpevole, quei titoli e quella prosa ormai di routine, la routine delle ricamatrici che sferruzzavano sotto la ghigliottino aspettando la prossima testa staccata…

Non ci sono scienziati, non ci possono essere in un ambiente in cui viene sistematicamente violate e irrisa la regola logica per cui ciascuno può avere la propria opinione ma non è che ciascuno possa avere i propri fatti. Eppure la comunicazione politica e gran parte di quella informativa, in tv e sulla carta stampata, è costruita sulla orgogliosa e stolta rivendicazione di “ciascuno ha i propri fatti”.

Non ci possono essere scienziati in un ambiente culturale in cui tutta la classe dirigente sistematicamente nega ogni rapporto con il reale alla propria predicazione o “narrazione”: Berlusconi ma anche Vendola e Grillo e Bersani non scherza. Non ci possono essere scienziati in un ambiente culturale in cui l’unico comandamento da tutti osservato e riconosciuto è mai assumersi una responsabilità in proprio.

In questo ambiente ci possono essere solo dei funzionari del popolo o del principe che lisciano il pelo agli umori della gente e fanno sorridere la Corte. L’ambiente è quello delle tribù, quello tribale dove scrittura e lettura erano attività esoteriche (quasi ci risiamo). Quello dove l’indovino va punito o perché si è prestato a macchinazione e inganno del principe a danno del popolo, cioè lo sapevano che stava arrivando il terremoto ma l’hanno nascosto perché il potere è sempre malvagio, crudele e, quando gli capita l’occasione, assassino. O va punito perché fallace e incapace e quindi con tutta evidenza separato dalla magia buona e quindi inquinato da quella nera.

Questo è l’ambiente e quindi la sentenza purtroppo non può sorprenderci. Non possiamo dirci stupiti come il resto del mondo perché questa sentenza è la ciliegina sulla torta della nostra diversità dal resto del mondo, quello post tribale e post magico almeno.

Gli scienziati e gli umani di semplice buon senso ora avvertono: nessuno vorrà più avere questi incarichi, nessuno parlerà più con la stampa e la pubblica opinione e, soprattutto, con questi giudici e magistrati, si dovrà dare ordine di evacuazione tutte le volte che c’è sciame sismico? Preparino subito i bagagli gli abitanti del Pollino, si mettano in colonna tutti quelli dell’Appennino.Anzi no, perché magistrati e giudici in quel caso con adeguato e analogo consenso di popolo di stampa e di forze politiche incriminerebbero per procurato allarme.

Ma questi son sofismi da scienziati appunto e la tribù non ha bisogno di ragionamenti, vuole, anela ad uno “zot” sui malvagi che scongiuri il ripetersi del male. L’ha avuto ed ora è soddisfatta, oltre tutto è una tribù civilizzata: non è neanche andata a distruggere e a dare alle fiamme il palazzo dei sismografi.

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Mino Fuccillo