Prima di tutto quello della droga, grazie al quale soprattutto la “neve”, cioè la cocaina, ma senza trascurare l’eroina, l’hascish, la marijuana, l’oppio, il crak, ecc., era diventata la moneta corrente che non si svaluta mai, anzi, era – ed è – una zecca che genera in continuazione guadagni strepitosi. Tanto strepitosi da innescare ingordigie e appetiti crescenti. Crescenti al punto da diventare infine ingovernabili, tant’è che la banda della Magliana è finita in una marea di ammazzamenti e vendette incrociate e reciproche.
L’ultima fiamma della banda della Magliana è stata la banda della Marranella, che prende il nome della via dove abitava, a Tor Pignattara, un certo Salvatore Sibio, detto “er Tartaruga”, ma durò poco. Poi Roma è tornata ad essere quello che a partire dagli anni ’70 è sempre stata. Vale a dire? Lo ha spiegato bene il magistrato Lucia Lotti, che di inchieste come pubblico ministero ne ha condotte non poche: “Roma è l’epicentro dove si tessono le relazioni. A Roma ci sono le rappresentanze criminali”, come fossero le ambasciate o i consolati delle vere grandi bande criminali italiane che se la fanno da padrone in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, ma anche in Lombardia e in una fetta della Costa Azzurra.
Non dimentichiamo che la stessa banda della Magliana quando venne concepita, da Nicolino Selis nel carcere di Regina Coeli a Roma, venne concepita per imitare la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Selis era un malavitoso nato in Sardegna, ma cresciuto con altri ad Acilia, paesone della provincia romana da sempre ambita dalle grandi bande del Sud. Selis durante una licenza dal carcere venne ucciso all’uscita da un ippodromo romano, e il mondo delle corse dei cavalli era già il regno della camorra napoletana. Era il periodo in cui a Roma viveva sotto falso nome Frank Coppola, vero e proprio snodo della mafia, soprattutto quella del mandamento di Caccamo, e dei malavitosi romani, compresi i “cravattari”, cioè gli strozzini, di Campo dei Fiori, come per esempio Mimmo Balducci, morto ammazzato, e i killer di professione come Danilo Abbruciati, fulminato a Milano dalle revolverate di una guardia giurata a conclusione di un attentato fallito a un banchiere del calibro di Roberto Rosone.
A Roma è entrata alla grande anche la ‘ndrangheta, soprattutto quella dei Parrello, il cui “rappresentante” in zona, oltre a Candeloro Parrello fuggito a Roma da una faida della natia Calabria, era Salvatore Nigro, fornitore di “neve”, spesso 50 chili alla volta, alla banda della Marranella. Di Nigro s’è trovata solo l’auto, carbonizzata, nei pressi di Palestrina, lui invece è sparito, preda della lupara bianca. Fare il doppio gioco con la camorra del clan Messina, del famoso paese Casal di Principe, che prometteva “forniture” all’ingrosso più grandi e a prezzi minori, gli è costato caro.
Il Candeloro piazzato a Roma era figlio di don Gaetano Candeloro, un boss che insieme con Giuseppe Piromalli e Savrio Mammoliti aveva messo in piedi il triumvirato che gestiva i traffici criminali dell’intera piana di Gioia Tauro, sede del porto meno sorvegliato d’Italia e per questo il più interessato ai tranquilli traffici di armi. Ma a Roma di camorra c’era è c’è anche quella napoletana della Nuova Famiglia. Il loro “rappresentante” è stato – almeno fino all’ultimo suo arresto avvenuto nel 2009 – Michele Senese, inviato speciale nell’Urbe per dare la caccia agli odiati “soldati” di Raffaele Cutolo e della sua Nuova Camorra.
Tra i traffici dei vari “rappresentanti” romani delle camorre, mafie e ‘ndranghete non manca neppure quello degli immigrati clandestini. Oggi tutti parlano di Lampedusa e dei barconi di dannati della terra che vi sbarcano, ma gli sbarchi ci sono – senza clamore – anche ad Anzio e dintorni. Dell”‘infiltrazione delle organizzazioni criminali nel basso Lazio”, in particolare ad Aprilia, dedite non solo al crimine ma anche a ” tentativi di condizionare le consultazioni elettorali” nonché a “infiltrazioni in settori della pubblica amministrazione”, se n’è accorta anche la Commissione Parlamentare Antimafia, le cui conclusioni sono state citate per esempio in una interrogazione del novembre 2008 al ministro dell’Interno dai deputati del PD Sesa Amici e Olga D’Antoni.