Chi dice che possa essere sostituita la salma di mio marito con quella di Emanuela Orlandi secondo me ha qualche problema mentale. Mi pare evidente che se la ragazza fosse morta per responsabilità di qualche pezzo grosso della Curia l’avrebbero seppellita in Vaticano, dove non la potrebbe trovare mai messuno, anziché portarla altrove e correre i rischio che prima o poi qualcuno la possa trovare. Sono soltanto assurdità, come sono assurde tutte le accuse uscite fuori molto dopo la morte di mio marito.
– Ma la tomba di suo marito verrà aperta si o no? E quando?
Beh, il Vicariato ha dato l’assenso, noi l’abbiamo già dato fin dal giugno 2008. Tocca alla Procura muoversi, ma dal 2008 rinvia di mese in mese. Ho letto che secondo il procuratore capo, Giovanni Ferrara, la riesumazione non è attuale né concreta. Forse la tomba non l’aprono perché di “concreto” non hanno e non possono avere niente.
– Perché vi siete sposati in quella basilica?
Ci sposammo in quella chiesa perché, come lei già sa, nel 1986 mio marito conobbe in carcere don Vergari, diventato in seguito rettore di quella basilica. Io che lavoravo a pochi passi da S. Apollinare non avevo mai visitato quella Basilica, ma quando la vidi mi piacque molto, glielo dissi e così ci sposammo lì. Poi, come già detto molte volte, la frequentavamo spesso perché le messe vi venivano celebrate con il canto gregoriano, che a noi piaceva molto.
– Vi siete poi risposati anche negli Usa?
Sì, ci sposammo anche a Las Vegas, nell’ottobre 1988. Ma per gioco. E poi perché io ed Enrico ci amavamo e ci saremmo risposati cento volte.
– Lei esclude che suo marito possa avere aiutato il responsabile della morte di Emanuela a fare sparire il cadavere?
Lo escludo nella maniera più assoluta. Lo escludono gli stessi giornalisti se si legge tra le righe: dicono tutto ed il contrario di tutto.
– Come si guadagnava da vivere suo marito? Era o no un boss della banda della Magliana?
Mio marito non era uno stinco di santo, ma commerciava in mobili di antiquariato, in lampade Tiffany e in tutto ciò che riguarda in qualche modo l’arte e l’antiquariato. Forse si arrangiava, come ormai è chiaro dalle inchieste giudiziarie sempre più clamorose che in Italia si arrangiano un po’ tutti, e più stanno in alto più si “arrangiano”. Mio marito però non ha mai fatto parte di bande, come ha dimostrato in tribunale, e non s’è mai neppure sognato da lontano di uccidere o fare uccidere qualcuno. Ha sempre rifiutato di avere a che fare con il mondo della droga. Se fosse stato un boss ci sarebbero questi soldi di cui tutti cianciano ma che nessun magistrato, poliziotto, carabiniere o finanziere ha mai trovato, e così io e i miei cognati non saremmo costretti ancora oggi a continuare a lavorare. Che Renato non sia mai stato un boss e neppure un gregario della Magliana lo dicono le sentenze.
– Perché alcuni pentiti accusano suo marito solo così tanti anni dopo la sua morte?