Il papa ci prese gusto. Così il suo successore, Gregorio III, con la scusa che S. Pietro era il santo protettore e l’eroe eponimo delle città di Ravenna, Rimini, Fano, Pesaro, Senigallia e Ancona, mette le mani avanti e in una lettera del 739 a Carlo Martello, maestro di Palazzo dei re franchi merovingi, dinastia fondata da re Clodoveo convertito al cattolicesimo, usa l’espressione “populus peculiaris beati Petri”: vale a dire, “popolo peculiare di S. Pietro”.
E siccome il successore di S. Pietro è il papa, ecco che il senso vero di quelle parole è che il papa considera i territori di quelle città come territorio soggetto al papa. Tre anni dopo il fin troppo generoso Liutprando regala al papa, “donazionis titulo”, le città di Vetralla, Palestrina, Ninfa, Norma, Palestrina e Vetralla, più un pezzo di Sabina, dopo averle strappate al ducato di Spoleto, longobardo pure quello. E così, grazie ai regali di Liutprando di terre e città al papa, la Res Publica di S. Pietro dell’VIII secolo non è più solo “patrimonio di S. Pietro”, cioè “patrimonio dei papi”, ma anche una entità politico territoriale autonoma, dotata di un suo governo.
L’appetito, si sa, vien mangiando. E ai papi dopo le donazioni del lombardo, pardon, del longobardo Liutprando gli viene un tale appetito di terre e potere da creare il falso testamento dell’imperatore Costantino, datato 321, nel quale si leggeva che Costantino aveva lasciato in eredità al successore di S. Pietro, all’epoca papa Silvestro I, non solo il palazzo del Laterano, sede dell’imperatore quando passava da Roma, ma anche l’intero impero romano d’Occidente, compresa ovviamente la sua capitale Roma, e qualche diocesi africana o mediorientale.
Per arraffare quanti più territori possibili e allargare quello che ormai era il loro Stato, papa Stefano II si recò in Francia per chiedere l’appoggio di Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello, contro i longobardi che definì “genia fetentissima”. In cambio della disponibiltà a invadere l’Italia per battere i longobardi, che puntavano a unificare l’Italia, papa Stefano II tradisce non solo i longobardi della storica donazione, ma anche i merovingi che avevano convertito la Francia al cristianesimo: appoggia infatto il colpo di Stato di Pipino il Breve e nel 751 lo incorona re dei franchi.