Vaticano paradiso fiscale
Ior. Da includere tra i motivi delle clamorose dimissioni di papa Ratzinger ci sia anche l’oscura gestione della banca vaticana, il famoso e noto alle cronache non gloriose Istituto per le Opere di Religione, detto anche IOR. Su Blitzquotidiano ho già scritto due volte che l’opacità delle gestione dello Ior aveva fatto storcere il naso addirittura al Dipartimento di Stato Usa e agli ispettori di Moneyval. Quest’ultimo è il gruppo del Consiglio d’ Europa che valuta se siano efficaci o no le leggi e le iniziative dei singoli Paesi per scongiurare il riciclaggio bancario del danaro di origine criminale, compreso in particolare quello accumulato con il ricco e vasto commercio delle droghe.
A metà novembre 2011 Moneyval s’era presentato Oltretevere per documentarsi in vista della decisione se accogliere o no la richiesta dello Stato della Città del Vaticano di entrare finalmente nel salotto buono della “white list”. Vale a dire, degli oltre 70 Paesi – diventati 78 con il decreto dell’ 11 gennaio di quest’anno emesso dal nostro ministero dell’ Economia e Finanze – che rispettano le regole fissate dai 29 Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), tra i quali l’ Italia, in tema di trasparenza bancaria e lotta al riciclaggio.
L’ Ocse è composta da Australia, Canada, Finlandia, Francia, Irlanda, Corea del Sud, Olanda, Polonia, Svezia, Gran Bretagna, Austria, Cecoslovacchia, Francia, Ungheria, Italia, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Portogallo, Svizzera, USA, Belgio, Danimarca, Germania, Islanda, Giappone, Messico, Norvegia, Spagna, Turchia. Dopo la riunione del G20 del 2009 a Londra, l’Ocse, la cui sede centrale è a Parigi, aveva elaborato tre tipi di liste:
+ lista nera (elenco di Stati, territori o giurisdizioni che non si sono impegnati a rispettare gli standard internazionali);
+ lista grigia (elenco di Stati, territori o giurisdizioni che si sono impegnati a rispettare gli standard internazionali ma che, ad oggi, hanno siglato meno di dodici accordi conformi a questi standard)
+ lista bianca (elenco di Stati, territori o giurisdizioni che hanno seguito le regole internazionali, stipulando almeno 12 accordi conformi a queste regole).
Dopo i sei giorni di metà novembre 2011 passati a setacciare allo Ior la sua legislazione e i suoi modi di applicarla, il suo funzionamento come banca di Stato e le possibilità di aggirarne leggi, norme e regolamenti, i funzionari di Moneyval se ne sono andati raccomandando di cambiare addirittura la legge deputata a vigilare sull’origine dei capitali depositati allo IOR e la destinazione di quelli in transito. C’era cioè da apportare una serie di modifiche alla legge CXXVII, in numeri non romani detta anche legge 127, varata in Vaticano il 1° aprile dello stesso 2011 per poter bussare alla porta della “white list” e firmata dal governatore di allora, cardinale Giovanni Lajolo, e dall’allora segretario generale del Governatorato, Carlo Maria Viganò.
Messi alla frusta dalle raccomandazioni di Moneyval, i tecnici vaticani hanno messo a punto una nuova versione della 127, non senza fratture e mugugni. Il 25 gennaio 2012 il governatore dello Stato vaticano, cardinale Giuseppe Bertello, promulga la nuova 127, il cui nome ufficiale è niente di meno che “legge per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo”. Secondo alcuni rappresenta un bel passo avanti nell’opera di pulizia e riassetto delle attività finanziarie dello Stato pontificio, secondo altri invece è un passo indietro.
Cyber-crimine
I timori aumentano quando il 9 marzo 2012 viene pubblicato il rapporto Moneyval Ocse intitolato “Criminal money flows on the Internet: methods, trends and multi-stakeholder counteraction”. Le 90 pagine del rapporto insistono infatti molto su due argomenti:
– il “cybercrime”, cioè il crimine realizzato online, è sempre più diffuso ed è diventato la gigantesca lavanderia planetaria in grado di pulire gli enormi capitali realizzati con attività criminali;
– il “cybercrime” è talmente sviluppato e tentacolare da rendere assolutamente inefficaci i controlli e i provvedimenti di polizie e magistrature dei vari Paesi del mondo.
I contrari alla 127 targata Bertello sono capitanati dal cardinale Attilio Nicora, presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria, e dal presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi. Se ci sarà una nuova bocciatura da parte di Moneyval chiederanno la testa dei responsabili: cioè di chi dirige il Governatorato e la Segreteria di Stato.
Il 15 marzo, a soli sei giorni dalla pubblicazione del rapporto che allo Ior ha fatto fischiare più di un orecchio, gli uomini di Moneyval tornano Oltretevere per valutare le novità. E se ne vanno dopo appena due giorni rilasciando un lungo comunicato molto diplomatico, ma il cui succo è che le loro raccomandazioni non sono state tradotte in fatti realmente operativi.
Soprattutto per quanto riguarda proprio il lavaggio con trasferimenti via internet dei quattrini di origine sporca. Poiché le voci circolano anche sulla stampa, già il giorno dopo l’arrivo degli ispettori Moneyval l’ arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, si è fatto intervistare dall’ Osservatore Romano scandendo parole di fuoco: “La slealtà è alla base delle fughe di documenti che hanno avuto risonanza mediatica soprattutto in Italia”. Insomma, tra la falange di Bertello e quella di Gotti Tedechi è guerra aperta.
Per capire se la riforma Bertello funziona ci vorrebbe un rodaggio di almeno un anno, più o meno fino all’aprile dell’anno in corso, 2013. Invece la situazione è precipitata prima. Poiché Gotti Tedeschi ha fatto la fine che ha fatto già lo scorso maggio se ne deve dedurre che ha vinto il fronte di chi non vuole uno Ior del tutto lindo e insospettabile. Il fronte insomma di chi ancora oggi dà ragione alla buonanima di monsignor Marcinkus, negli anni ’80 boss dello Ior, noto per le ribalderie bancarie, che gli fruttarono un mandato di cattura dei magistrati milanesi rimasto ineseguito, e ancor più noto per il suo motto: “La Chiesa non si governa con le Ave Maria”.
Deve essere vero, visto che nel frattempo il Dipartimento di Stato Usa nel suo Rapporto Annuale sulla Strategia per il Controllo del Narcotraffico, con linguaggio meno diplomatico di quello di Moneyval ha infilato il Vaticano tra i Paesi con “giurisdizioni preoccupanti” per il riciclaggio dei proventi del traffico degli stupefacenti. Il Vaticano è ritenuto un Paese “vulnerabile al riciclaggio di denaro” alla stessa stregua dello Yemen, Romania, Vietnam, Albania, Egitto, Repubblica Ceca, Corea del Sud e Malaysia.
Prima Gotti Tedeschi. Ora lo stesso papa Ratzinger. Altro che Ave Marie…
