Emanuela Orlandi, il flauto: mistero e sospetti sul “ritrovamento”

Emanuela Orlandi e il mistero del flauto

Dopo la performance di mercoledì sera a “Chi l’ha visto?“, le possibilità che il famoso flauto sia davvero quello di Emanuela Orlandi possono solo essere calate e non di poco. Vediamo in dettaglio il perché, anzi i perché, al plurale.

Innanzi tutto quel flauto è in ogni caso un corpo di reato a tutti gli effetti. Infatti o si tratta di un oggetto collegato a una truffa quanto meno tentata, cosa che in Italia è un reato, o si tratta di un oggetto che ha davvero a che vedere con la scomparsa di Emanuela Orlandi, cioè con un reato più grave visto che la scomparsa non è stata certo volontaria.

Il flauto in questione ha quindi a che vedere con almeno uno dei seguenti reati, uno più grave dell’altro: occultamento e/o distruzione di cadavere, sequestro di persona, stupro, omicidio. Essendo un corpo di reato, il dovere di qualunque cittadino, compresi i giornalisti di “Chi l’ha visto?”, era di segnalarlo agli inquirenti, evitando accuratamente anche solo di toccarlo, perché lo prendessero in consegna loro. Idem per la formella sotto la quale era nascosto, il contenitore, i fogli di giornale utilizzati per incartare il tutto e quant’altro.

Al pari di un oggetto usato per uccidere qualcuno: sarebbe ammissibile lasciarlo prelevare e andare in giro tra redazioni, giornalisti e familiari dell’ucciso? A suo tempo a L’Espresso ci fu un duro scontro tra l’allora direttore Giovanni Valentini e il segretario di redazione Primo Di Nicola perché quest’ultimo, avvisato dell’esistenza di un comunicato delle Brigate Rosse, anziché andare a prenderlo e consegnarlo al direttore chiamò i carabinieri. Valentini la notizia e il contenuto del comunicato la apprese solo dal lancio Ansa.

A “Chi l’ha visto?” sostengono di avere avvertito il magistrato, ma ciò non cambia molto la gravità delle cose e anzi rischia di creare problemi allo stesso magistrato. Il quale infatti avrebbe dovuto comunque sequestrare il flauto e tutto il resto. Lo ha fatto? Evidentemente no. Male. Molto male.

E anche se lo avesse fatto è impensabile che lo abbia poi dissequestrato per lasciare che la redazione del programma televisivo, fosse anche solo Fiore De Rienzo, lo portasse in giro a casa Orlandi e nel negozio del venditore La Greca per un eventuale riconoscimento.
In tv abbiamo visto che prima di toccarlo tutti si infilavano i guanti di plastica. Bene. Ma ci sono due ma. Il primo è che comunque chi si infila i guanti e non è del mestiere può lasciare tracce del proprio sudore o delle proprie impronte sulla parte dei guanti con la quale si tocca lo strumento, di fatto contaminandolo agli effetti dell’esame del Dna.

Il secondo ma è il seguente: c’è forse un notaio con almeno due testimoni che certifichi come a telecamere spente o assenti il flauto non sia stato toccato e manipolato anche se involontariamente? Pare proprio di no. Forse il flauto era in consegna a poliziotti o carabinieri della squadra scientifica che lo affidavano agli estranei solo per le scene riprese con le telecamere, restando però in loco a controllare? No, almeno stando a quanto s’è visto in tv: il flauto, con i giornali che lo avvolgevano . E sorprende che la conduttrice di “Chi l’ha visto?” abbia detto che sarebbe atroce si trattasse di una beffa. Più correttamente, avrebbe dovuto dire “di un’altra beffa”. C’è infatti poco da meravigliarsi dopo 30 anni di beffe, comprese quelle passate dal 2005 in poi anche per tale programma televisivo.

Infine: gli Orlandi e l’intera redazione di “Chi l’ha visto?” saranno anche tutti se non santi almeno correttissimi, ma come si fa a essere certi che almeno il beccuccio del flauto non sia stato contaminato magari per provare se funziona? C’è chi mi dice che per contaminarlo basta il fiato di chi dovesse avvicinarsi troppo parlando, perché quando si parla il fiato ha sempre tracce di saliva.
Insomma, quello che s’è visto ieri sera è uno spettacolo francamente inappropriato, non degno di un Paese civile. Non a caso si è infuriato in modo particolare uno degli iscritti alla pagina Facebook della petizione lanciata da Pietro Orlandi. Ecco infatti cosa ha scritto direttamente a Pietro Orlandi il signor Eleuterio Migliori, che, oltre a chiedere l’arresto del giornalista di “Chi l’ha visto?” al quale è stato rivelato il nascondiglio, non è comunque l’unico del gruppo Facebook a lamentarsi o a essere perplesso:

“Caro Pietro, mi dispiace dover in questa sede fare delle critiche pesantissime per fatti che vanno a VOSTRO/NOSTRO (noi che ci teniamo a conoscere la verità) discapito. In molti paesi civili del mondo il giornalista sarebbe stato arrestato in diretta per intralcio alle indagini. Aprire in quella maniera il pacchetto di carta, maneggiare (anche se con guanti) la scatola ed ANCHE il flauto ha potuto compromettere per sempre delle prove che mai più potranno essere recuperate. Le impronte digitali anche se toccate con guanti si sono compromesse. Cellule epiteliali o peli di chi ha incartato l’oggetto potrebbero essere stati perduti per sempre… cellule di saliva o epiteliali da cui estrarre il dna di Emanuela (se suo è il flauto) potrebbero essere state perse per sempre… il comportamento del giornalista è stato a dir poco scriteriato (senza criterio). … L’oggetto NON doveva essere nemmeno prelevato da dove stava e si sarebbe dovuta mandare la polizia scientifica che ha modo e maniera di muoversi. Prego chiunque di NON fare facili critiche alla Scientifica. Se solo sapessero le condizioni lavorative, capirebbero del perché a volte si commettono errori”.

Per poi rincarare la dose:

“Da un punto di vista giornalistico è stato uno scoop, da un punto di vista criminologico è stata una porcata. Io mi sono guardato bene dal parlare della sorella di Emanuela perché non esperta del settore e troppo emozionata per capire. Il giornalista sapeva bene cosa stava facendo. RIPETO: da un punto di vista delle indagini scientifiche è stata una porcata con il rischio di compromettere per sempre delle tracce”.

Per fortuna barare sul Dna è molto difficile, se non impossibile. O almeno così mi hanno spiegato alla Scientifica: “Se trovassero un profilo del Dna sarebbe unico nel suo genere, cioè diverso da quello dei familiari, quindi si capirebbe se ci si trova o no di fronte ad un Dna nuovo. Facciamo l’ipotesi che qualcuno contamini, di proposito o no, il flauto con tracce organiche degli Orlandi. Uno studio generale dei Dna estrapolati al fratello, alle sorelle e alla madre di Emanuela farebbe capire se il Dna univoco trovato sul flauto possa appartenere a una sorella. Perciò, escludendo altre sorelle delle quali non si conosce l’esistenza, rimarrebbe solo Emanuela”.

Stando a quanto ha detto la conduttrice del programma, Federica Sciarelli, a rivelare il nascondiglio col flauto non è stata la solita telefonata anonima e neppure una mail con mittente fasullo, ma un persona che si è recata apposta nella redazione di “Chi l’ha visto?”.
Strano che questa persona non sia stata almeno interrogata dalla magistratura. Infatti, non ha senso pensare che sapesse del flauto senza sapere nient’altro: chi lo ha messo lì, perché ne era in possesso, ecc. Mettere l’informatore sotto torchio appare il minimo del dovuto.

I primi a comprenderlo dovrebbero essere, oltre ovviamente a magistrati, polizia e carabinieri, soprattutto gli Orlandi: che se ne fanno di un flauto, fosse anche quello vero, senza sapere tutto il resto? Pietro si è più volte lamentato del fatto che io non ho mai voluto rivelare la fonte vaticana che nel 2003 mi ha detto di avere saputo – ammettendo ovviamente di non sapere se fosse vero o no – da due agenti dell’allora Sisde che Emanuela è morta in via Monte del Gallo la sera stessa della scomparsa. Ancor meno si capisce quindi il silenzio sull’informatore di “Chi l’ha visto?”.

Ancora ieri il giornale Leggo ha insistito a scrivere che il flauto è stato trovato dietro una formella della Via Crucis della famosa basilica di S. Apollinare, in modo da adombrare l’immancabile coinvolgimento dell’altrettanto immancabile Enrico De Pedis, sepolto nella basilica fino a metà dell’anno scorso, e della orma altrettanto imamncabile banda della Magliana.

Il problema è che in S. Apollinare una Via Crucis NON esiste neppure! Basta fare un banale controllo, magari anche solo con una telefonata in sagrestia o all’Università della Santa Croce del contiguo Palazzo di S. Apollinare. A inventarsi la pista fasulla di S. Apollinare è stato il Tguno, che l’ha diramata in rete sul suo sito appena mezz’ora dopo l’annuncio del 3 aprile dato da “Chi l’ha visto?”. Questa volta però la basilica non è rimasta zitta: “Chi si occupa delle relazioni esterne ha subito reclamato con la Rai, che ha dovuto togliere dal suo sito Internet quella strana falsa notizia”, spiega infatti don Pedro, il rettore attuale della basilica.

Ripeto quanto detto nei giorni scorsi: speriamo. Speriamo che il flauto sia quello giusto, anziché un flauto magico o il solito piffero per i soliti pifferai. E soprattutto, speriamo che porti alla soluzione del caso. Lo merita Emanuela, lo meritano gli Orlandi e tutti coloro che hanno a cuore questa troppo misteriosa e anomala vicenda. Non resta che aspettare il responso del Dna, come pure ho già detto. Ma stando a quanto è dato vedere pare che purtroppo neppure questa volta ci sia troppo da sperare. Godot forse non arriva neppure alle 5 di oggi.

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Marco Benedetto