ROMA – Il mistero Orlandi continua, sempre più implacabile. La sceneggiatura della nuova puntata, destinata forse ad animare intanto l’estate, questa volta viene ambientata in Brasile e porta la firma non di un millantatore come “l’ex 007 Lupo Solitario”, al secolo Luigi Gastrini, o di un fotografo e regista amatoriale decisamente fantasioso come Marco Fassoni Accetti, bensì di un ex carabiniere: Antonio Goglia, che proprio Blitzquotidiano ha tenuto a bettesimo e più volte ospitato quando nessuno lo prendeva in considerazione.
Nei giorni scorsi infatti Goglia ha preso carta e penna e ha depositato presso la segreteria del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, attuale titolare delle indagini sulla scomparsa della Orlandi, un regolare esposto che contiene la summa delle sue convinzioni, riassumibili in due parole: “Pista brasiliana”, che è appunto il titolo dell’esposto.
Snobbato tre anni fa dal giornalista Fiore De Rienzo di “Chi l’ha visto?”, preso sul serio dal collega Fabrizio Peronaci, che sul Corriere della Sera ne lanciava la pista dei “preti pedofili di Boston”, senza però fare il suo nome, mollato in seguito anche da Peronaci, che gli ha preferito il “supertestimone” Marco Fassoni Accetti, l’ex carabiniere Goglia rischia perciò davvero di diventare la nuova star dell’ultimo capitolo, per ora, dell’interminabile Emanuela Orlandi Show.
A onor del vero Goglia già due anni fa inviò un esposto al magistrato Capaldo con le proprie deduzioni riguardo “l’interpretazione del codice numerico 158 indicato dai sedicenti sequestratori per identificare la linea diretta con la Segreteria di Stato Vaticana”.
Oggi però Goglia ammette:
“Quello studio era, devo riconoscerlo, in una fase embrionale e imperfetta e l’entusiasmo di aver individuato il nucleo, l’Accademia Cultorum Martyrum, dal quale proveniva il messaggio dell’”Americano” nella telefonata del 4 settembre, precisato in quella del 6 settembre 1983, mi indusse ad inviare un esposto che giungeva a conclusioni, appunto frettolose e parziali”.
Ammesso l’errore, l’ex carabiniere nel suo recente esposto, corredato con 15 allegati, spiega che “La ricerca è tuttavia continuata durante gli ultimi due anni e mi ha portato a risultati talmente convincenti, a mio parere, da indurmi a scrivere un nuovo esposto contenente alcune risultanze”. A quanto pare, in Procura il nuovo esposto non è stato cestinato e ha, anzi, suscitato un qualche interesse. Vedremo.
Intanto, in attesa degli eventi e di una probabile nuova raffica di puntate di “Chi l’ha visto?” con il nuovo ospite a suo tempo snobbato da De Rienzo, è meglio lasciare la parola a Goglia e leggere cosa ha scritto.
“LA PISTA BRASILIANA”
Indagine intorno al movente e alla natura degli esecutori e dei mandanti dei sequestri di Emanuela Orlandi e Mirella Gregoricondotta in maniera autonoma da Antonio Goglia
“Lo studio individua la responsabilità dei sequestri di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori ponendola a carico di una non meglio identificabile “cellula eversiva brasiliana”, ispirata al Programma Minimo del Comité Brasileiro pela Anistia (CBA), Comitato Brasiliano per l’Amnistia.Detto gruppo eversivo pose in essere lo scellerato piano criminoso onde ottenere la grazia per l’attentatore della vita del Pontefice Giovanni Paolo II, Ali Agca, e per i suoi complici al fine di sfruttarne il significato politico e la portata propagandistica a sostegno della richiesta di amnistia “ampia, generale e senza restrizioni” che sarebbe stata l’oggetto e la richiesta principale della protesta del popolo brasiliano posta a fondamento dello “Greve Geral do 21 julho 1983” (Sciopero Generale del 21 luglio 1983).
L’ultimatum stabilito dai sequestratori di Emanuela Orlandi per la consegna di Alì Agca sarebbe scaduto alle ore 24,00 del 20 luglio 1983. La comunicazione verso il Brasile dell’”atto di clemenza” in favore del turco, insieme alla relativa portata propagandistica, sarebbe stata assicurate da Richard Roth, corrispondente da Roma della Columbia Broadcasting System (CBS) all’epoca unica televisione attrezzata per le comunicazioni intercontinentali, che trasmetteva servizi quotidiani sul Caso Orlandi.
I casi Orlandi- Gregori sono da me ritenuti opera della stessa non meglio identificabile “cellula eversiva brasiliana”considerando in particolare la conversazione telefonica intercorsa tra l’”americano” e l’Avv. G. Egidio in data 27 ottobre1983 e la lettera ricevuta ancora da quest’ultimo in pari data.
Svolgimento dello studio.
Da molti anni interessato al caso della scomparsa di Emanuela Orlandi, intrapresi un approfondito studio circa due anni fa collaborando in maniera estemporanea con i giornalisti Fabrizio Peronaci e Pino Nicotri.
Certo che qualche indicazione sulla “sparizione” potesse provenire dallo studio delle comunicazioni effettuate dai sedicenti sequestratori, la mia attenzione si focalizzò dapprima sul messaggio telefonico dell’ americano del 4 settembre 1983, precisato il successivo 6 settembre inerente la scelta della Basilica di Santa Francesca Romana per il contatto che i sequestratori stabilirono il giorno 20 luglio 1983 con i Frati Agostiniani del Convento compreso nel complesso monumentale.
L’analisi del messaggio telefonico mi indusse a ritenere che il riferimento fosse ad un episodio narrato da più di un autore (Montaigne, Orano, Pastor, Marcocci) relativo all’arresto, avvenuto il 20 luglio, il processo e il successivo rogo a Ponte S.Angelo di una confraternita di frati portoghesi del nuovo mondo avvenuto durante la Settimana Santa del 1578. Il martirio della “confraternita di S. Giovanni in Porta Latina, narrato e ricondotto da ciascun autore all’ uno o all’altro motivo, hanno, tuttavia, un tratto comune: il processo dei frati fu caratterizzato, e ricordato nei secoli successivi e fino ad oggi, per le severe sessioni di tortura alle quali furono sottoposti gli imputati onde estorcere loro la confessione “desiderata”..
Dunque, il messaggio dell’”americano” rammentava la tortura e la pena di morte inflitte ai religiosi con il consenso della Chiesa di Roma, e notiziava che la Basilica di Santa Francesca Romana era stata scelta per il contatto telefonico del 20 luglio, data dell’ultimatum, proprio per richiamare quelle atroci torture e la morte sentenziata dal Tribunale del Governatore con il consenso della Chiesa.
Riportai la notizia al Dott. Fabrizio Peronaci, il giornalista con il quale avevo collaborato per un breve periodo, rappresentandogli che la spiegazione fornita dai testi di storia antica sembrava collimare perfettamente con l’allusione contenuta nel messaggio. Il Dott. Fabrizio Peronaci mi rispose inviandomi una fotografia dello schermo del suo computer sul quale era ben visibile lo stralcio di una lettera nella quale poteva leggersi con riferimento a Mons. Pietro Vergari….
”è stato più recentemente il Cappellano della Pontificia Accademia dei Protomartiri,“Cultorum Martyrum”.
Si tratta di un’associazione molto chiusa, che si occupa di culto memoriale, ma della quale certi membri hanno attività ben poco religiose… cioè fanatiche.”…..Era una lettera inviata al programma “Chi L’ha Visto” nel novembre del 2005 da un Vescovo sudamericano, stando alla sigla posta in calce e ad alcuni errori di ortografia. La lettera è rimasta segreta al pubblico fino alla metà del mese di giugno quando è stata resa pubblica.
Si trattava di un piccolo successo. Della vicenda di Emanuela Orlandi, e ancor più della giovane Mirella Gregori, non si era mai saputo nulla. Questa era la prima certezza. Ecco l’entusiasmo di cui Le parlavo in precedenza con riferimento al precedente esposto.
I componenti del Comitato Direttivo dell’ Accademia Cultorum Martirum (1980-1987). Accademia del Culto dei Protomartiri e per la Conservazione della Liturgia Stazionale.
Buongiorno,
come si evince dalla documentazione ufficiale il direttivo del Collegium Cultorum Martyrum
all’epoca risultava così composto:
Rev. P. Colciago Virginio B. Magister
Rev. P. Fasola Umberto M. B. Curator
Dott. Bianchi-Cagliesi Lorenzo Crator
Comm. Marincola Giorgio Curator
Sig.ra Mazzitelli Rosa Curator
Ing. Santa Maria Mario Curator
Prof. Quacquarelli Antonio Curator
Mons. Piccioni Francesco Sacerdos
Rag. Rossi Enrico Ab epistulis
Sig. Marini Giovanni Arcarius
Sig. Zaccagnini Augusto ProcuratorMessaggio del Segretario “ab epistulis” dell’ Accademia Cultorum Martirum, Cavaliere della Repubblica Pierluigi Imbrighi che forniva solo i nomi dei componenti invitandomi,telefonicamente, a richiedere un appuntamento per l’esame dello schedario e delle note biografiche.
Gli elementi notevoli
Padre barnabita Virginio COLCIAGO, missionologo appassionato studioso e biografo di Padre Giovanni Semerìa filosofo e missionario fondatore di una missione a Haquaquecetuba, nelle terre più povere del Brasile. Autore, tra l’altro del saggio “Missionari Barnabiti in Brasile nel Settecento”;
Padre barnabita Umberto FASOLA, archeologo, esploratore della IV regione delle Catacombe di Sant’Agnese in Roma;
Padre barnabita Andrea Maria ERBA, Vescovo emerito della Diocesi di Velletri Segni, decano dei barnabiti, missionologo e missionario in Brasile. Benché non compreso nell’elenco dei componenti del collegio direttivo, la sua collaborazione e contiguità con esso è dimostrata da un saggio pubblicato per l’ Accademia Cultorum Martyrum dal titolo “I protomartiri cristiani”.
Inoltre, sua Eminenza Andrea Maria Erba è un Padre Barnabita come il Padre Virginio Colciago, Magister dell’ Accademia, e il Padre Umberto Maria Fasola. Erba è, soprattutto, connaturato alla cultura brasiliana, un rappresentante di spicco dei missionari dell’Istituto do Verbo Encarnado e della Congregazione della Vergine di Matarà. Al Vescovo emerito è dedicata una pagina di Wikipedia. nella versione Brasiliana, Dom André Maria Erba, dove è ritratto al fianco del Padre Barnabita brasiliano Miguelito Ferrara di Rio de Janeiro.
Nel marzo dello scorso anno contattai personalmente il prelato colpito da più di un ictus e ridotto al letto, con momenti di appannamento della coscienza, come riferito da segretario personale. Da me intervistato, circa una possibile responsabilità di soggetti brasiliani nel sequestro di Emanuela Orlandi, comprendeva subito ed esattamente il nome di quest’ultima individuandone immediatamente la vicenda e rispondeva….”non è vero”!…Sig.ra Rosa MAZZITELLI, cittadina brasiliana, tutt’ora vivente, residente in Porto Alegre.
Comm. Giorgio MARINCOLA, impossibile approfondire. Omonimo del partigiano nero (1923- 1945) che affermò «Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i Popoli del Mondo. Per questo combatto gli oppressori…».Mons. Piero VERGARI, anch’ egli non esplicitamente inserito nell’elenco fornito dal Cav. Pierluigi Imbrighi. Il suo legame con l’ambiente dell’ Accademia Cultorum Martyrum è, tuttavia, asserito, anche se in tempi più recenti, dall’estensore della lettera del novenbre 2005 al programma televisivo “Chi l’ha Visto”. Sul sito web del Monsignore, inoltre, è presente l’emblema dell’ Accademia dei Protomartiri. Da me recentemente raggiunto per posta elettronica, alla mia affermazione che sosteneva la colpevolezza di alcuni dei membri dell’ istituto per il Culto dei Protomartiri nel sequestro di Emanuela Orlandi, così rispondeva…..”Oramai sono tutti morti”… senza affermare, ma senza, tuttavia, negare.
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Nota interpretativaIl legame dei Padri barnabiti, o chierici regolari di S. Paolo, che componevano o erano a diverso titolo molto vicini all’Accademia Cultorum Martyrum, con il Paese sudamericano è molto forte e risale ai primi anni del XX secolo nel 1903 con la fondazione della prima missione. Moltissimi sono i brasiliani che sono entrati a far parte dell’ordine, fondamentalmente missionario, dei barnabiti. I Frati furono tra le principali vittime del regime dittatoriale brasiliano in quanto portatori di ideali di giustizia sociale e della teologia della liberazione invisa al regime. In grande numero finirono nelle carceri, nei manicomi giudiziari o uccisi dalle torture.
….In Brasile
L’approfondimento sui componenti del direttivo dell’ Accademia dei Protomartiri sembrava indicare una riflessione sul grande Paese sudamericano. Qui, sin dal 1964 si era instaurata una Dittatura militare (1964-1985) caratterizzata da una violento e cruento annullamento dei diritti civili ed umani. L’anno 1983 segnò l’inizio della ferma protesta popolare, trasversale, che coinvolse tutti i profili di attività della società brasiliana. In particolare operai, avvocati e religiosi.
Durante il regime dittatoriale fu applicato nei confronti dei dissidenti politici il Decreto lei 1002/69 recante il “Codigo do Proceso Penal Militar”.
Il brano di seguito riportato, tratto dallo studio della Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite – Civil and Political Rights, Including The Questions Of Torture And Detention – Report pursuant to Commission on Human Rights resolution 2000/43, attesta quanto asserito:
…..”Finally, the Special Rapporteur notes that with respect to criminal offences committed by military police officers, the Military Criminal Procedure Code (Decree-Law No. 1002/69 of 21 October 1969) provides that they must be tried by the military justice system.By Law 9299/96, jurisdiction has been transferred to ordinary courts in cases of intentional homicide (homicidio doloso) against a civilian. However, the initial police inquiry continues to rest with the military investigators, and so does the classification of whether a crime is considered “intentional homicide” or “manslaughter”. The crimes of bodily harm, torture and manslaughter, when committed by military police officers, continue to fall within the exclusive jurisdiction of military courts, which are composed of four military officers and one civilian judge. The crime of abuse of authority does not exist in the military criminal code, and hence cases on this count may be filed against military police officers in ordinary courts. Prosecutions in military court reportedly take many years as the military justice system is said to be overburdened and inefficient”….
Il codice “158”I dissidenti politici, ma anche i semplici sospettati o quelli indicati da denunzie anonime come “sovversivi” venivano notoriamente arrestati in stato di “incommunicado”, ovvero senza che nessuna comunicazione fosse data ai congiunti dell’imputato che, letteralmente, scompariva.
Di norma, l’arrestato era sottoposto alla procedura prevista al capitolo II del Decreto Lei 1002/69 rubricato …” do incidente de insanidade mental do acusado”… Detta previsione normativa stabiliva che, in caso di dubbi sull’imputabilità dell’accusato fosse condotta una perizia medico-psichiatrica per effetto della quale, ai sensi dell’articolo 157, l’accusato sarebbe stato internato in manicomio.
Una garanzia di giustizia era, tuttavia, prevista dal successiva articolo 158, norma che garantiva l’ “HABEAS CORPUS”prevedendo la sospensione del processo penale nel caso di indispensabile comparizione dell’imputato dinanzi al giudice o al collegio giudicante che ne avrebbe valutato le condizioni psico fisiche.Art. 158. A determinação da perícia, quer na fase policial militar quer na fase judicial, não sustará a prática de diligências que possam ficar prejudicadas com o adiamento, mas sustará o processo quanto à produção de prova em que seja indispensável a presença do acusado submetido ao exame pericial.
Nella realtà, sia nella fase militare che in quella giudiziale, non veniva rispettata alcuna procedura, ogni diritto civile ed umano era negato. Principalmente proprio quello dell’ “habeas corpus” che divenne l’oggetto della principale rivendicazione dell’O.A.B., Ordem dos Advogados do Brasil (Amnesty International, Rapporto tortura Anni ’80). Ma la “riconquista dell’ “habeas corpus” sostanziò, soprattutto, uno dei punti principali del “Programa Minimo de Açao del Comité Brasileiro pela Anistia” al quale si ispiravano I membri dell’organizzazione eversiva e per la realizzazione del quale agivano.
Nell’individuazione della responsabilità dei sequestri di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi a carico della “non meglio identificata cellula eversiva brasiliana” ha contribuito, oltre agli altri elementi, anche la convinzione che la scelta della numerazione “158”, quale riferimento inequivocabile dei contatti telefonici al gruppo dei sequestratori (telefonata dell’ americano del 5 luglio 1983, ore 12, 50), alludesse proprio alla necessità di ristabilire il rispetto dell’ ”habes corpus”richiamandone il numero, o codice, di riferimento nell’ambito del corpus normativo in cui era contenuto.
La “gruccia di pappagallo” o “pau de arara”.Domenica 28 agosto 1983 trapelò la notizia che l’Avvocato Gennaro Egidio aveva ricevuto una lettera dattiloscritta a firma di Emanuela Orlandi. Si specificava, peraltro, che il testo non era autografo, bensì redatto sotto dettatura essendo la giovane, da quel che si legge, legata su una sedia e bendata e, quindi, impossibilitata a scrivere. La missiva esponeva una sequela di atroci patimenti a cui la fanciulla era stata già sottoposta e annunziava le sofferenze ulteriori delle quali sarebbe stata oggetto se le condizioni imposte da i sequestratori non fossero state rispettate. Si trattava di un’ elencazione dei supplizi in uso in Brasile durante la dittatura tra cui anche la ruota e il tormento dei serpenti.
Tra le numerose pratiche disumane richiamate nel messaggio una colpisce in particolare l’attenzione del lettore accorto…..”sentivo che parlavano di una gruccia di pappagallo….”…
Ebbene, la “gruccia di pappagallo” è meglio nota con il nome di “pau de arara”.
Si tratta di uno strumento di costrizione e tortura ideato ed introdotto nel XVI secolo dai conquistatori portoghesi del Brasile nei confronti degli indigeni. Successivamente è stato utilizzato dalla polizia politica brasiliana (DOPS) durante la detenzione dei prigionieri politici. Questo strumento di tortura, soprattutto con la denominazione utilizzata, identifica in maniera univoca il Brasile. Allo stesso modo in cui il Colosseo identifica Roma e la Tour Eiffel evoca Parigi. Potrebbe obbiettarsi che l’estensore del testo conoscesse la pratica e l’abbia posta casualmente tra le altre, ma non può trascurarsi che anche gli altri elementi illustrati inducono e indirizzano la ricerca verso il Paese sudamericano.Contatti tra il Comitato Brasileiro pela Anistia (CBA) e il Presidente Pertini.
Il Comité Brasileiro pela Anistia, al quale i sequestratori ispirarono, secondo lo scrivente, la loro azione criminosa, ebbe più di un’occasione di incontro con i rappresentanti del governo italiano dell’epoca e con il Presidente della Repubblica Pertini per l’approfondimento degli obbiettivi esposti nel Programa Minimo de Açao.
In particolare, il Comitato ottenne l’organizzazione a Roma della II Conferenza Internazionale per l’Amnistia ampia, generale e senza restrizioni e per le libertà democratiche in Brasile che si tenne dal 28 al 30 giugno 1979 nell’Auletta di Montecitorio della Camera dei Deputati grazie anche all’impegno del deputato Lelio Basso, scomparso improvvisamente, compagno fraterno del Presidente Pertini. Alla Conferenza parteciparono tutti i Comitati brasiliani attivi in Europa e 15 parlamentari del Movimento Democratico Brasiliano.
L’impegno del deputato Lelio Basso, compagno fedele del Presidente Pertini, per il sostegno alle ragioni del movimento brasiliano per l’amnistia fu assoluto. Una ragione di vita. Il movimento brasiliano per l’amnistia era saldamente radicato ed appoggiato in Italia.http://theotoniodossantos.blogspot.it/2009/03/lelio-basso-e-america-latina.html
Anche la Lega Internazionale per il Diritto e la Liberazione dei Popoli partecipò attivamente alla battaglia per l’amnistia e il 28 ottobre si costituì a Roma il Comitato italiano per l’Amnistia con lo scopo di appoggiare la rivendicazione di un’amnistia generale senza restrizioni per tutti i prigionieri ed i perseguitati politici brasiliani dal 1964 (anno del colpo di Stato). Del Comitato facevano parte esponenti di forze politiche, movimenti giovanili, la federazione sindacale unitaria, le Acli, i gruppi parlamentari radicale, sinistra indipendente, Democrazia Proletaria e Partito di Unità Proletaria. Tra i parlamentari aderirono all’iniziativa promossa da Basso, Gian Carlo Pajetta e Dario Valori (Pci), Gaetano Arfè e Mario Zagari (Psi), Aldo Bozzi
(Pli), Giovanni Spadolini (Pri), Egidio Ariosto (Psdi).L’ultimatum del 20 luglio 1983- Propaganda- Richard Roth (CBS).
Nel messaggio telefonico del giorno dell’ultimatum, 20 luglio 1983, i sequestratori ribadirono in maniera chiara che il fine ultimo dell’azione criminosa che stavano conducendo era la propaganda che sarebbe derivata dall’adozione di un atto di clemenza nei confronti di Ali Agca e dei suoi complici, detenuti politici.
….”possesso di uno strumento di propaganda quale il detenuto Alì Agca è stato trasformato dallo stato di isolamento e della promessa di agevolazioni”….
La fondamentale rilevanza e risonanza, politica e mediatica, che avrebbe avuto la rinunzia dello Stato italiano a perseguire il detenuto politico Ali Agca ed i suoi complici. Questo lo scopo.
In Brasile, dalla fine degli anni settanta, erano nati diversi comitati e movimenti per l’abolizione della tortura e finalizzati all’ottenimento di un’amnistia ampia,generale e senza restrizioni. Tuttavia, il risultato raggiunto da queste organizzazioni spontanee di comuni cittadini, soprattutto avvocati degli scomparsi, religiosi in gran numero, sindacalisti era insoddisfacente. Infatti, nel 1979, il regime militare inviò al congresso nazionale un progetto di legge di amnistia che non realizzava le aspettative e gli obbiettivi della campagna: non era ampio, prevedeva un’amnistia ristretta e non proclamava alcuna avversione nei confronti della tortura e dei trattamenti disumani.
La lotta continuò durante i primi anni ottanta divenendo particolarmente accesa proprio nel corso dei primi mesi del 1983. La popolazione era esasperata essendo sottoposta ad ogni sorta di ingiustizia, affamata, privata dei più elementari diritti. Il culmine della tensione e delle opportunità per ottenere l’amnistia generale e l’abolizione della tortura fu raggiunta sul finire della primavera del 1983 quando fu proclamato il primo sciopero generale dal 1964, dall’inizio della dittatura.
Si trattava di un evento epocale ricordato e celebrato ancora oggi.
La data dello sciopero generale per l’amnistia senza restrizioni e per l’abolizione della tortura era quella del 21 luglio 1983!
Se in occasione di questo storico evento si fosse potuta ottenere la grazia e, quindi, la scarcerazione del più noto dei prigionieri politici,colui che aveva attentato alla vita del Pontefice, la spinta propagandistica alla causa dell’amnistia sarebbe stata enorme
L’idea di realizzare questo ambizioso, quanto scellerato, piano nacque quando lo sciopero generale era oramai nell’aria; così la cellula eversiva, ispirata al programma del Comité Brasileiro pela Anistia (CBA), decise prima il sequestro della giovane italiana Mirella Gregori, nel maggio 1983, e di altre due cittadine statunitensi (nota inviata all’Avvocato Egidio in data 27 ottobre 1983). Non riuscendo nello scopo i sequestratori alzarono il tiro pianificando il “prelevamento” della “cittadina vaticana” e fissando l’ultimatum per il rilascio del turco “strumento di propaganda” alle 24 del 20 luglio.
Se tutto fosse andato secondo i piani Richard Roth, il corrispondente da Roma della Columbia Broadcasting System (CBS) che trasmetteva nelle Americhe un notiziario quotidiano, avrebbe annunciato la notizia in Brasile in tempo per la grande, storica, manifestazione.Nota di coordinamento temporale.
L’”Operazione Agca, come sono definiti in più di un’occasione dagli stessi operatori il sequestro di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi, dura fino al 20 luglio 1983, con il messaggio conclusivo del 21 luglio e la conferma con l’Ansa del 22 luglio. Tuttavia, quale che sia stata la sorte di Emanuela, non essendovi dubbi su quella di Mirella, alcuni degli elementi che avevano partecipato all’operazione fanno successivamente pervenire i messaggi di cui si è detto in precedenza che attengono al tema della tortura, telefonate del 4 e del 6 settembre e lettera del 28 agosto all’ Avvocato Egidio, che consentono di comprendere, insieme al tema dell’atto di clemenza per il detenuto politico Agca, il senso delle richieste dei rapitori ed il movente del sequestro.
Anche la richiesta del gruppo “Turkesh”, disconosciuto dai veri sequestratori (messaggio ritrovato in un furgone del TG2 a Castelgandolfo il 4 settembre 1983), contenuta nel Komunicato n. 3 del 13 agosto, con la quale si invita il Pontefice a pronunziarsi sulla qualità di prigioniero e sulla dignità di essere umano di Ali Agca conferma la corretta interpretazione degli obbiettivi della “non meglio identificata cellula eversiva brasiliana.Conclusione
I rilievi esposti in queste pagine costituiscono solo una parte, quella maggiormente pregnante, degli indizi che sostengono la “pista brasiliana”, ma ogni particolare del carteggio inerente i sequestri trova in essa ricostruzione una spiegazione plausibile.
Tanto dovevo per dovere di cittadino, animato da desiderio di verità e da amore per la ricerca storica”.