ROMA – Sperando che il flauto sia davvero quello di Emanuela Orlandi, cosa che stabilirà la ricerca del Dna in eventuali tracce di saliva, e sperando soprattutto che dopo il flauto si arrivi a sapere cosa è successo alla ragazza e per mano di chi, la cautela è d’obbligo anche perché, come è ben noto, le offerte di “rivelazioni” sulla vicenda non sono cosa rara. E’ successo anche a me.
L’anno scorso sono stato contattato via Facebook da un tizio, che chiameremo Massimo, desideroso di indicarmi il nome di una persona “che sa cosa è successo” e che “era amico e coetaneo di Emanuela Orlandi perché abitava anche lui in Vaticano”.
“Me ne ha parlato un mio amico”, mi ha spiegato Massimo quando sono andato appositamente a incontrarlo a Roma, appuntamento il 22 maggio 2012 vicino alla fontana di Trevi: “Mi ha detto che quel coetaneo e amico di Emanuela Orlandi si chiama Gianluca, vive a Roma e ha avuto la tentazione di raccontare tutto al Messaggero, ma poi ci ha ripensato. Il suo indirizzo di posta elettronica è gianinthewind@***.com”.
E così che il giorno dopo, 23 maggio, ho inviato una mail a Gianluca chiedendogli di poterlo incontrare e spiegandogli il perché. Il 25 la risposta:
“Buonasera Sig. Nicotri
“Mi lasci esordire con un piccolo moto di stupore di fronte alla Sua mail, perché mi giunge inaspettata. A mente fredda posso immaginare chi Le abbia fornito il mio indirizzo e il motivo per cui lo abbia fatto, che è nobile senz’altro, ma che ho sempre rifiutato, lo faccio da sempre, da quasi 30 anni.
La conosco, Sig. Nicotri, ho letto qualche Suo articolo e ho avuto modo di vedere qualche Suo intervento in televisione e, proprio questo pomeriggio, dopo aver letto questa mail, sono andato vedere il Suo blog. So che Lei tratta il caso di Emanuela Orlandi con molta abnegazione e testardaggine, nel senso buono della parola, e le cose che dice molto spesso vanno non lontane dalla verità. Ma la verità in tutta questa storia è un optional e se Lei mi chiede di poter parlare con Lei, io ho qualche remora a risponderLe positivamente. Questa storia mi ha segnato tanto, ha sconvolto la mia vita e quella di tante persone che hanno avuto modo, anche soltanto sfiorati, di viverla. Conoscevo Emanuela, era una mia amica, non più di quanto lo fossero gli altri cittadini in quel periodo adolescenti come me, ma molte volte si stava in gruppo, in piazzetta, a fare quattro chiacchiere o a “cazzeggiare”.
Da quel giorno tutto è cambiato, credo Lei lo sappia, e sono cambiato anche io, gradualmente. Oggi non vivo più lì, la mia vita è cambiata con me, e si svolge fuori dalle mura. Io non appartengo più a quel mondo.
Le mie confidenze, sono andate ben oltre, mi creda, non parlo mai di questa cosa, chi mi conosce e sa, non mi chiede, non mi domanda.
E’ vero, Sig. Nicotri, sono stato sul punto di dire ciò che sapevo e che mi porto dentro (ma non sono l’unico, mi creda) alla redazione di un giornale romano dove conoscevo una persona. Poi ho preferito lasciar stare, per tanti motivi, il primo è quello legato alla privacy mia e soprattutto della mia famiglia, dei miei figli.
Il vespaio nel quale lei fruga quotidianamente, con molto coraggio, è qualcosa che mi fa star male solo a pensarci. E su tutto c’è una 15enne, che aveva tutta la vita davanti, ed era mia amica. E forse, dicendoLe questo le ho detto quasi tutto.
Voglio dirLe anche un’altra cosa, Sig. Nicotri. Se lei tiene veramente a questa storia, e non come un puro atto giornalistico, ma prima di tutto come atto di umanità, Le consiglio di far andare il Suo sguardo più a fondo, nei posti che Lei ha visitato e dei quali parla. Perché se Lei guarda bene, scoprirà che in questa storia esisteva, non so se ancora oggi è così, una “riserva di caccia”. E magari scoprirà che proprio da lì è iniziato tutto.
La ringrazio per la Sua lettera, ma per il momento non mi sento di accettare il Suo invito Sig. Nicotri. Ho bisogno di rifletterci sopra. Da oggi però la seguirò con più interesse, con la speranza che un giorno non lontano qualcuno possa raccontare cosa è veramente successo.
Ho i Suoi contatti, sarà mia premura contattarLa se deciderò di incontrarLa. Nel frattempo confido nella Sua discrezione non facendo menzione di quanto scritto in questa e-mail ed eventualmente di un nostro futuro incontro.
Cordialmente”
Ho letto più volte la mail, facendomi mille domande pieno di dubbi. Poi ho risposto e il giorno dopo è arrivata una nuova mail:
“Buongiorno Sig. Nicotri,
può chiamarmi tranquillamente con il mio nome, Luca, ci mancherebbe altro. Rileggevo poc’anzi la Sua e-mail, l’ho riletta molte volte questa mattina. Mi parla delle riserve di caccia, e Le rispondo che è vero, tali posti purtroppo esistono in ogni ambiente e in tutti gli strati sociali, più o meno. Ciò che mi indigna e mi spaventa è che molte volte siano sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno alzi un dito. Questa si chiama omertà, ed è la parola chiave, quella che ha caratterizzato e che tuttora caratterizza questa vicenda.
Questo è ciò che mi provoca dolore, un dolore interiore feroce, l’aver visto e il continuare a vedere che non esiste pietà, non esiste coscienza. E’ stato, e continua ad essere solo un cercare di uscirne puliti, di dare a tutto ciò una parvenza “pulita”, mentre c’è tanta sporcizia, mi creda Dott. Nicotri, tanta sporcizia, morale soprattutto.
Questo preambolo, per dirLe che acconsento ad un nostro incontro, in una forma riservatissima che stabiliremo insieme nei prossimi giorni. Le chiedo subito, sin da ora, che desidero che il mio nome non venga mai fatto, e che ciò che Le dirò nella nostra conversazione venga sempre citato come fonte anonima. Questa è l’unica condizione, imprescindibile, che Le pongo. E so che Lei acconsentirà.
Tornando alla Sua e-mail, Lei mi chiede molte cose, alcune alle quali non so risponderLe, altre che necessiterebbero di più tempo, e non credo si possano spiegare in due righe.
Mi cita un indirizzo e Le rispondo di si. Quello è il punto di partenza e di arrivo, manca il punto intermedio, chiamiamolo così. Mi parla di Pierluigi “Piggi” Magnesio. Sono anni che non lo sento e non lo vedo, lui aveva quasi due anni in meno di me, se non erro. Mi chiede di Pietro, e farebbe bene a chiedermi non solo di lui.
E leggo molte cose, chiamiamole “esotiche”, che nulla hanno a che fare con ciò che è la realtà. Cose che sono state raccontate con un’unica finalità, Lei questo lo sa. Così come forse saprà o forse immagina, o forse ci è arrivato, che c’è una regia in tutta questa storia. Del resto parleremo a voce. Ho il Suo numero di cellulare, se me lo permette sarò io a mettermi in contatto con Lei all’inizio della settimana entrante per concordare le modalità dell’incontro.
Nel frattempo Le auguro un buon fine settimana.
Cordialmente
Luca”.
Ho deciso quindi di tornare a Roma e l’ho scritto al mio sconosciuto, ma almeno in apparenza promettente interlocutore, che il 30 maggio 2012 mi ha così risposto:
“Buongiorno Sig. Nicotri,
come promesso le scrivo per cercare di capire quando potremo incontrarci e soprattutto dove. Io preferirei un posto molto discreto, dove poter parlare e dove poterLe mostrare alcune cose. Come giorni Le posso dire che Domenica o Lunedì per me andrebbero bene. Se questi giorni si conciliano con i Suoi impegni, possiamo concordare un posto e un orario.
Immagino Lei abbia visto l’ennesimo coupe de teatre andato in scena domenica scorsa.
Attendo una Suo riscontro circa il nostro incontro.
Cordialmente
Luca”.
L’ennesimo “coupe de teatre”, anziché theatre, era la protesta organizzata da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, davanti alla basilica di S. Apollinare per reclamare la verità e lo sfratto della salma di Enrico De Pedis. Ho risposto a Gianluca che mi fissasse lui la data che preferiva, poi il 4 giugno sono andato a Roma avvertendolo prima. Non ho più ricevuto nessuna risposta.
Un ripensamento? Uno scherzo? Un tentativo di bidone rimasto a metà strada? Sta di fatto che “Gianluca” non s’è fatto mai più vivo e non ha mai più risposto alle mie mail pur avendolo io avvertito ogni volta che tornavo a Roma.
Forse Gianluca ha solo voluto prendermi in giro, magari era lo stesso Massimo, o forse ha avuto paura: le ho pensate tutte. Mi sono chiesto cosa fossero le “alcune cose” che aveva scritto di volermi mostrare. Forse il flauto, si potrebbe pensare oggi, o qualcos’altro.
Ci ho pensato a lungo. Se “Gianluca” fosse stato una mia fonte di notizie giornalistiche la deontologia professionale mi avrebbe vietato di fare il suo nome, anche se falso, ai magistrati. Ma “Gianluca” poteva essere considerato fonte giornalistica? No. Per il semplice motivo che le notizie che diceva di volermi dare non me le ha affatto date. E così ho passato tutto ai magistrati. Conclusione?
A quanto pare, solo un tentativo di darsi importanza millantando il possesso di notizie e “alcune cose” da mostrarmi in realtà inesistenti. Strano però che il tentativo sia rimasto incompiuto. Forse il millantatore s’è rivolto altrove? Forse voleva imitare “l’ex 007 Lupo”? Cioè quel Luigi Gastrini che ha rifilato un bidone allo stesso Pietro Orlandi facendolo correre a Londra con la balla rifilata per telefono in diretta televisiva che “tua sorella è viva e chiusa in un manicomio a Londra”. Spero vivamente che il flauto di “Chi l’ha visto?” sia quello giusto e che non ci sia di mezzo un altro “Gianluca” o magari lo stesso.