ROMA – Pietro Orlandi è partito per Londra, accompagnato da una troupe di “Chi l’ha visto?” per tentare lo scoop del secolo, perché di questo si tratterebbe se davvero sua sorella Emanuela, la bella ragazzina vaticana sparita nell’83, fosse rinchiusa in un manicomio di quella città. Come è noto, a sostenere quella che vorrebbe essere l’ultima verità del famoso mistero vaticano è un sedicente ex 007 del nostro servizio segreto militare. Ex non perché in pensione, ma, come ha spiegato in seguito lui stesso, cacciato dal Sismi, a suo dire, per non avere eseguito un ordine “troppo sporco”. Qualificandosi come Lupo Solitario, il sedicente ex agente segreto la scorsa settimana ha telefonato al programma televisivo Metropolis, di RomaUno. In studio erano presenti Pietro Orlandi e il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci per presentare il loro libro “Mia sorella Emanuela”, nel quale Pietro racconta i suoi ricordi di Emanuela e le ormai quasi trentennali vane speranze di ritrovarla. Il sottotitolo del libro – “Il rapimento Orlandi: voglio tutta la verità” – indica però che si parte da un presupposto sbagliato: è infatti ormai chiaro che non si è trattato di un rapimento, come dimostrato non solo nei miei due libri sull’argomento (il secondo, edito nell’ottobre 2008, si intitola “Emanuela Orlandi. La verità”), ma come dimostrato soprattutto dall’assoluta incapacità dei “rapitori” di esibire la benché minima prova di avere davvero in mano la ragazza. Un particolare, tale assoluta mancanza di prove, che distingue – smascherandolo – il caso Orlandi da tutti gli altri rapimenti non solo italiani, che già da soli sono centinaia. Emanuela è scomparsa, certamente contro la sua volontà, ma non è detto sia stata rapita, può essere rimasta vittima di un incidente, imbarazzante e i motivi per i quali il suo cadavere non si trova o non viene fatto trovare possono essere i più vari.
Riguardo la “pista” del Lupo, gli inquirenti sono convinti che si tratti dell’ennesima bufala, ma Pietro non demorde ed è partito. Perché? Lo ha spiegato lui stesso: “E’ un tentativo che bisogna fare per non lasciare dubbi. Stiamo partendo armati di pessimismo, perchè, in fondo è solo una segnalazione, ma non ce la sentiamo di restare nel dubbio: prima o poi ci sarà una volta buona!”.
Il primo viaggio finito con un buco nell’acqua è stato 18 anni fa. L’immancabile “supertestimone” aveva fatto sapere che Emanuela viveva in un convento del Lussenburgo, pista colta al balzo dai magistrati. Pietro infatti racconta: “Ricordo la prima volta che ho tentato un viaggio del genere, nel Lussemburgo. Era il 1993, ero accompagnato dalle forze dell’ordine. Mi è rimasta impressa quell’esperienza più di altre, perchè allora eravamo tutti convinti di andarla a riprendere: l’ennesima delusione, la più brutta finor.” Tornando all’oggi, Pietro aggiunge: “Anche se c’è solo una probabilità su mille che si trovi lì, non voglio lasciare nulla d’intentato: la nostra ricerca della verità, per quanto dolorosa e difficile, non si fermerà mai. Nonostante sia molto scettico e non mi faccia illusioni, davanti a situazioni d’incertezza e trepidazione come questa, noi familiari non abbiamo altra scelta: vincono le ragioni del cuore.Ne abbiamo sperimentato tante, non ci si può più arrendere adesso, anche perchè i responsabili di tutto questo devono sapere che non rinunceremo mai”.
Pietro Orlandi è stato anche in Turchia, a parlare con Alì Agca, il terrorista dei Lupi Grigi turchi, l’uomo che nell’81 attentò alla vita di papa Wojtyla sparandogli all’addome alcuni colpi di pistola. Agca è uno degli uomini meno attendibili del pianeta, vista la marea di panzane che ha rifilato un po’ a tutti, specie durante il processo che si concluse con la sua condanna all’ergastolo. Graziato dal presidente della Repubblica nel 2000, è stato poi tenuto in carcere in Turchia e infine rilasciato. A Pietro Orlandi ha ovviamente detto di sapere tutto su sua sorella, anche dove si trova e come andarsela a prendere. E’ perfino parso credibile, agli occhi di Pietro. Che però la sorella non l’ha comunque trovata, nonostante le mirabolanti parole del Lupo Grigio Agca. Ora tocca al Lupo Solitario….
Uno dei motivi per i quali gli inquirenti non credono alle sue parole è che ha nominato una banca, la Antonveneta, come crocevia di strani maneggi di danari scoperti da Ercole Orlandi, padre di Emanuela e Pietro, all’epoca della scomparsa di sua figlia. Che si tratti di una balla lo dimostra il fatto che l’Antonveneta è nata ben 13 anni dopo l’epoca di cui parla il sedicente 007. Un altro motivo è che nella sua telefonata “Lupo” prima ha nominato la clinica psichiatrica Queen Margaret e poi invece ha fatto il nome del Queen Elizabeth II. Ma Pietro non demorde: “Prima proveremo la’, poi in altre strutture analoghe: non abbiamo un itinerario preciso”.
Al Queen Elisabeth II si è già recata a razzo una troupe televisiva del Tg2. A quanto si dice, qualcuno della struttura ha confermato che, in effetti, una ricoverata di nome Orlandi c’è stata. Ammesso che sia vero, è chiaramente impossibile che venga chiusa in un manicomio e registrata con il suo nome una persona che è stata rapita. E in ogni caso il cognome Orlandi è molto diffuso. Basta dare un’occhiata agli elenchi telefonici di una qualunque città, e non solo italiana. A Roma, ripeto, c’è una Emanuela Orlandi che abita in via di villa Chigi. Ma procediamo. Un Queen Elizabeth II Hospital in Inghilterra c’è, ma non a Londra. Dove invece c’è un Queen Elizabeth Hospital Woolwich. Il problema è che nessuno dei due è dotato di strutture adatte al raccontino del Lupo ex 007. Non vi esistono strutture psichiatriche, quelle cioè dove si curano i matti o vi si rinchiudono a forza quelli che per matti si vuole far passare. Basta dare un’occhiata a Internet via Google per vedere che c’è sì un reparto di Neurologia ( http://www.nhs.uk/Services/hospitals/Services/Service/DefaultView.aspx?id=92057 ), ma cura malattie come l’Alzheimer. Tra le migliaia di pazienti, può benissimo essercene stata una che sia chiama Orlandi o che ha un altro cognome famoso, senza tuttavia averci nulla a che fare. Le omonimie a volte giocano brutti scherzi: il Cesare Battisti fuggito prima in Francia e poi in Brasile non è il famoso patriota, giornalista, politico socialista e irredentista italiano fucilato dagli austriaci a Trento il 12 luglio 1916, ma un ex terrorista condannato per alcuni omicidi degli anni ’70.
La strana telefonata fatta a Metropolis, evidentemente da qualcuno che sapeva ci sarebbero stati proprio quei due ospiti, Orlandi e Peronaci, somiglia molto a un espediente pubblicitario a favore del loro libro, così come somiglia molto a una trovata pubblicitaria a favore del libro e del film “Romanzo criminale” la telefonata del luglio 2005 a “Chi l’ha visto?”, mandata in onda a settembre, che ha riesumato la faccenda della tomba di Enrico “Renatino” De Pedis nella basilica di S. Apollinare, già archiviata come priva di lati oscuri dal magistrato Andrea De Magistris dieci anni prima. Le parole del Lupo Solitario sembrano lo sbocco di quelle del telefonista, anonimo pure lui, che il 4 maggio ha telefonato a “Chi l’ha visto?” per ricicciare la vecchia tesi già naufragata nel nulla: “I casi Gregori e Orlandi sono collegati”, dove Gregori di nome fa Mirella, sparita anche lei, tre settimane prima di Emanuela, senza lasciare nessuna traccia e nessuna rivendicazione degna di tale nome. Come riportano i giornali, il nuovo anonimo telefonista di “Chi l’ha visto?” ha “rivelato” che: “a proposito del caso Orlandi e Gregori, le due scomparse sono opera della stessa mano. Un’esca interna al Vaticano, nel caso Gregori, ed un informatore, sempre interno al Vaticano, nel caso Orlandi: basta che andiate a rivedere la storia e, sopratutto, cercate di riparlare con (….) amica di Mirella Gregori, lei sa chi è stata l’esca che l’ha fatta rapire, Ok? Vi richiamerò”. Ovviamente non ha più richiamato, ma i puntini usati per non dire il nome dell’amica della Gregori sono superflui. E’ scritto nei giornali dell’epoca, nei miei libri e in una marea di siti internet che l’amica si chiama Sonia De Vito e che, interrogata come testimone, è stata sospettata dai magistrati di reticenza, ma le prove non ci sono. Insomma, anche questo anonimo rilancia nel ventilatore notizie vecchie e stravecchie, che miracolosamente, come certi cibi disidratati messi sotto il rubinetto, riacquistano di botto spessore…
Chi sia Lupo Solitario non è dato sapere. Eppure Peronaci, il coautore del libro “Mia sorella”, lo ha intervistato. Una combinazione alquanto suggestiva. In ogni caso, per capire che l’asserito ex agente segreto non è molto credibile, è istruttivo leggere l’intervista pubblicata sulle pagine romane del Corriere della Sera:
Ma perché dice la verità a rate? Se riuscisse a far ritrovare viva la ragazza sarebbe un grandissima benemerenza.
«Lo so, ma a che rischi si va incontro?» .
Rischi?
«Eh eh, lo sai benissimo…».
Intende la pista dei soldi «da ripulire in Vaticano» , come ha detto l’altra sera in diretta tv a Romauno?
«Esatto».
Lupo, il collega Argo 3, da lei definito «mercenario» , un anno fa avrebbe visto Emanuela: aveva i capelli rasati. Altri particolari?
«La si può riconoscere perché qualche cosa di come era prima le è rimasto».
Che lingua parla?
«Un inglese farfugliato: ha la voce impastata per i tanti sedativi che le fanno prendere».
Al fratello, Pietro Orlandi, consiglierebbe di salire su un aereo e andare a verificare?
«Intanto di stare attento a come si muove».
In che senso?
«Suvvia, giornalista! Questa è una faccenda un po’ strana, io non mi fido neanche delle mutande che porto. Attenti alle persone che si vanno a toccare. Ci sono in ballo troppi soldi».
Meglio non alimentare speranze?
«La speranza sì, ma senza far casino. Il fratello può andare là, prendersela e portarsela a casa. Ma senza creare un polverone e toccare centri di potere».
Il Sismi. Lei era a busta paga fino al 2000, giusto? Poi è andato in pensione.
«Macché, non prendo neanche quella, mi hanno buttato fuori a calci nel sedere».
Ha compiuto reati?
«Reati no, piuttosto ordini da me eseguiti che non sono piaciuti. Guardiamoci in faccia! Io rischio la galera e anche la vita qui in Italia, mentre in Brasile sto bene, sono tutelato» .
Oltre al giallo Orlandi, lei sostiene di essersi occupato del caso Calvi. Ha già rivelato che nel calzino del banchiere impiccato sotto il ponte dei Frati Neri c’era un biglietto: «Tanti auguri da Lupo» . Ulteriori dettagli?
«I quattro sassi in tasca al morto. A che cosa servivano?»
Come zavorra (nuova risata).
«Macché, l’acqua era alta 20 centimetri! I sassi erano il segnale per delle persone che il lavoro era stato portato a termine».
Altre inchieste scottanti?
«Il caso Moro».
Pure lì ha pestato qualche callo?
«Sì, ma tanti, tanti… Mmh, chi era il capo dei servizi all’epoca? Cossiga. Lo stesso che aveva promesso a Moro che non gli avrebbero torto un capello. E infatti poi è morto».
E dunque? «Morto per mano dei servizi, non delle Br»
E in tutto ciò il ruolo di Lupo?
«Te lo dico quando ci vediamo».
Non teme di essere intercettato?
«Non me ne frega niente, da un momento all’altro possono spararmi. Io non voglio parlare con nessuno. A fine mese torno in Brasile: vengano a trovarmi e dico tutto».
Torniamo a Emanuela. Ieri aveva detto che stava telefonando a dottori e infermieri a Londra, ma non rispondevano.
«Esatto. E oggi sto ritentando, mi hanno detto di chiamare alle 20.30 tramite i nostri canali, niente mail o Skype che sono intercettate. gente dei servizi, di certe strutture, e a noi italiani, fino al 2000, ci hanno invidiati…».
Poi, come dice lei, l’hanno esiliata.
«Quando mi guardi in faccia capisci».
Ha ferite sul volto?
«No, ma ho un proiettile in pancia e uno nel sedere, una spalla e due gambe rotte».
Accipicchia.
«Tutte cause di servizio».
Per quale motivo aveva detto di essere un killer professionista?
«Ci sono persone che vengono pagate per fare lavori sporchi. Io ero uno di quelli. Andiamo, giornalista, tu lo sai… Ci sono i film, ma la realtà è diversa. É più cruda».
Da notare che oltre all’errore sulla banca Antonveneta e sul nome dell’asserito manicomio, il sedicente Lupo Solitario commette un altro errore, imperdonabile per un agente segreto anche se ex: Cossiga all’epoca del sequestro Moro non era affatto il “capo dei servizi”, ma il ministro degli Interni. Si tratta di un ministro che, se può avere una qualche autorità – forse – sui servizi segreti civili (all’epoca si chiamavano Sisde), non aveva assolutamente nessun potere su quelli militari, il Sismi di allora. Senza contare che chi ha davvero notizie utili per risolvere i gravi casi di cronaca nera non li spara in diretta tv o in strampalate intervistine, giocando così sulla pelle del dolore altrui, ma le fa avere ai magistrati o alla polizia o ai carabinieri. Specie se si è stati 007. E magari in forma pur sempre anonima, se non vuole finire sotto i riflettori.