Nel frattempo però Marco Fassoni Accetti continua a pensare ad altro. Quando si è a corto di argomenti alle affermazioni sgradite si reagisce a volte con affermazioni azzardate o insulti. E’ quello che fa Accetti per tentare di confutare un altro mio inconfutabile articolo sulla sua vicenda. Ecco infatti i suoi due commenti del 5 febbraio al mio
articolo dedicato al suo rifiuto a sottoporsi alla perizia, voluta dai magistrati che lo accusano dei reati di calunnia e autocalunnia per la strabiliante e pantagruelica
montagna di “rivelazioni” e “confessioni” sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori:
Nicotri non ti smentisci mai con le falsificazioni: non vi fu alcuna omissione in nessuna piantina di un ” tratto di strada” che smentirebbe la mia versione. Hai una capacità che definisco “criminale” di invenzione”, crei dal nulla. Prendi le persone per stanchezza, infatti non mi attardo ad indicare tutte le altre inesattezze e sforzature presenti nell’articolo.
Ora per completezza di informazione dovresti pubblicare la cartina della pineta in oggetto, indicando la parte che sarebbe stata omessa, e allegando le prove documentate che tale omissione sia realmente accaduta.
Che la piantina di cui parlo esista lo dimostra il fatto che viene esplicitamente citata a pagina 14 della sentenza di condanna di Accetti emessa il 30 giugno 1986 per il reato di omicidio colposo. Reato consumato il 20 dicembre 1983 investendo mortalmente il 13enne Josè Garramon sulla strada che attraversa la pineta di Castelporziano (
https://www.blitzquotidiano.it/opinioni/nicotri-opinioni/marco-fassoni-accetti-la-sentenza-garramon-1823123/ ). A pagina 14 della sentenza emessa dalla Terza Corte della Corte d’Assise di Roma nel processo rubricato come Procedimento N. 27/85, leggiamo infatti nella sesta e settima riga del paragrafo intitolato “Campo dell’investimento”, che descrive il luogo e la strada dell’investimento, le seguenti parole poste tra parentesi: “si cft. la planimetria allegata alla relazione peritale”,
ove “cft” è l’abbreviazione di “confronti”.
La piantina confutata da Accetti dunque esiste. E che sia incompleta lo dimostra la lettura di quanto scritto a pagina 16 delle stessa sentenza a proposito dell’inversione di marcia che Accetti, alla guida del Ford Transit col quale poco dopo avrebbe ucciso il 13enne, sostiene di avere fatto per immettersi nuovamente sulla via Cristoforo Colombo, dalla quale proveniva, dopo essersi reso conto di avere sbagliato strada:
“L’imputato […] aveva percorso il viale di Castelporziano e aveva eseguito l’inversione di marcia dopo la
p.za del Cinghiale, in corrispondenza di uno spiazzo antistante la casa illuminata di Capitani Bruna in via di Villa Plinio, civico 54”,
ove “
p.za” sta per piazza, in realtà un piazzale non grande.
Il problema è che, come ho dimostrato con i miei articoli basati su più di una ispezione che ho condotto di persona sui luoghi citati, i magistrati NON hanno mai saputo, né dalle indagini né dalla planimetria citata, che Accetti per tornare sulla Colombo dal piazzale del Cinghiale NON aveva nessun bisogno di girare a destra per rifare i 1.200 metri di viale di Castelporziano a suo dire imboccato per errore e sul quale avrebbe poco dopo ucciso Josè Garramon: bastava infatti che andasse dritto una 20ina di metri e si sarebbe già trovato sulla Colombo! Impossibile che Accetti non abbia notato l’incrocio davanti al suo naso, per il semplice motivo che oltre a esserci un vistoso semaforo c’era il via vai di automezzi coi fari accesi che a quell’ora della sera – quasi le 19 del 20 dicembre – è incessante. Anche un cieco avrebbe notato il semaforo e il traffico davanti al naso.
Tanto è impossibile non averlo notato che Accetti è costretto ad ammetterlo. Ma per giustificare il suo ingiustificabile avere invece girato a destra ha avuto l’ardire di sostenere quanto segue su Facebook il 7 del febbraio in corso:
“Nicotri, continui a voler “apparire”, troppo “protaganismo”. Questi articoli sono carta straccia, in quanto sono 3 anni che ripeto di aver mentito sul fatto che avevo sbagliato strada, conoscevo bene quella pineta. Ma tu non puoi considerarlo in quanto verrebbe meno uno dei tuoi argomenti e la possibilità di riapparire”.
Si tratta di affermazioni già fatte da Accetti sia su Facebook che a commento dei miei articoli per Blitz dedicati all’uccisione di Garramon. Per esempio, a commento del
mio articolo del 12 ottobre 2015, alle 12:03 dello stesso giorno scrive:
“Nicotri, che delusione. Imiti la bionda presentatrice della RAI [Federica Sciarelli, NDR], con il semplicismo spaventosamente tendenzioso, il facile spensierato e veloce giudizio, il non rappresentare tutti gli elementi di difesa che ho evidenziato in più di due anni, la pretesa incivile di spacciare insinuazioni come prove, la mediocre banalità delle conclusioni. Oltre la sfacciataggine di presentare come novità quel che hai già propinato infinite volte. Parafrasandoti, sei troppo il giornalista corsaro “denoantri””.
La sostanza delle affermazioni di Accetti è che, pur sapendo benissimo che poteva tornare sulla Colombo direttamente dal piazzale del Cinghiale, ha preferito girare a destra e tornare su viale di Castelporziano perché aveva una “missione” da compiere per conto della propria “fazione vaticana”. Missione ai danni del magistrato Severino Santiapichi, che abitava più o meno tre chilometri più avanti su quel viale, per l’esattezza in località Infernetto. Da notare che secondo la sua “confessione” Accetti avrebbe parcheggiato Emanuela Orlandi, liberissima di muoversi, in un camper piazzato prima nella pineta e poi nei paraggi della casa del magistrato. Tanto libera di muoversi che Accetti è arrivato a “rivelare” come dopo “la scomparsa concordata”, e realizzata col consenso dei genitori (!!!), Emanuela se ne andasse beatamente a zonzo per Trastevere…
Fassoni Accetti sa che con lui sono stato buon profeta. In particolare, che le sue “confessioni” sarebbero finite con il suo rinvio a giudizio per autocalunnia l’ho previsto con due articoli. Il
primo del 29 luglio 2013. Il
secondo del 6 luglio 2015.