O come questa: ”la Corte Internazionale Criminale non dovrebbe indagare se l’invasione dell’Iraq è stata un crimine di guerra e accertare chi sono i responsabili?”. Il silenzio sul libro di El Baradei è ancora più strano alla luce del fatto che anche Hans Blix, lo svedese a suo tempo pure lui direttore dell’IAEA, ha pubblicato un libro, “Disarmare l’Iraq. La verità su tutte le menzogne”, che anticipa già nel 2004 le fresche accuse di El Baradei agli Usa di avere voluto la guerra a tutti i costi. Blix ha raccontato la vasta campagna di menzogne messa in piedi dagli Usa e dall’Inghilterra per fare accettare all’opinione pubblica la guerra all’Iraq, a partire dalle frottole sulle “bombe atomiche irachene”, che a Washington e a Londra sapevano bene non esistevano neppure come semplice ipotesi.
Così come Blix sapeva invece bene che a cercare verità scomode si rischia: tant’è che per per scrivere il suo libro non ha mai usato il computer, non ne inviava pezzi servendosi delle e-mail o della posta ordinaria e non ha mai spedito nulla neppure all’editore. Man mano che accumulava pagine scritte a mano, Blix le consegnava periodicamente a suo figlio Marten ogni volta che tornava a casa in Svezia, ed era Marten a curare in gran segreto i rapporti con l’editore. Precauzioni niente affatto eccessive: il vecchio capo degli ispettori dell’IAEA, l’australiano Richard Butler, ha rivelato in seguito che i servizi segreti di Stati Uniti, Inghilterra e Francia spiavano Blix e ne intercettavano le informazioni, pronti a diffamarlo per metterlo fuori gioco se avessero sospettato che stava preparando un libro sulla “fabbrica del fango” messa in piedi per giustificare l’invasione dell’Iraq.
Il silenzio sul libro di El Baradei è ancor più grave e imbarazzante alla luce del fatto che il premio Nobel per la pace è il possibile successore di Mubarak, in un Egitto che vorrebbe approdare a una democrazia degna del nome e liberarsi delle pastoie da regime corrotto troppo prono verso l’Occidente in generale. Ed è un silenzio che contrasta vistosamente con il baccano delle notizie che fin dal primo istante hanno accompagnato invece la “rivoluzione libica”. Che ormai, a due mesi dal suo inizio, mostra di essere non una rivolta di masse assetate di democrazia, bensì una ribellione circoscritta, preparata e armata dalla Francia e dall’Inghilterra timorose che dopo i rivolgimenti tunisini ed egiziani il “vento arabo”, arrivato perfino nel Barhein, mettesse a repentaglio i loro rifornimenti petroliferi. La cartina di tornasole di come stiano in realtà le cose in Libia la si può vedere in un particolare: a differenza di quanto accaduto al Cairo e a Tunisi, nelle immagini dei rivoltosi non c’è mai neppure una donna. Per non parlare del fatto che in tutti i video e in tutte le foto i rivoltosi appaiono sempre singoli o in gruppi piccolissimi, per giunta fin dall’inizio dotati di armi pesanti, cosa piuttosto strana per una “rivoluzione” spontanea.