La signora Patrizia D. B. è la persona che la notte del 21 dicembre 1983 accompagnò l’allora suo amico Marco Fassoni Accetti, il fotografo romano che si è auto accusato per il rapimento di Emanuela Orlandi, a cercare di recuperare il Ford Transit con il quale lui aveva investito mortalmente il 13enne Josè Garramon. A causa dell’urto con il ragazzo il furgone era andato in panne e Fassoni Accetti, prima di tornarsene a Roma con il pullman di linea, lo aveva nascosto tra i cespugli per evitare che glielo rubassero.
Per l’uccisione di José Garramon, Marco Fassoni Accetti è stato condannato per omicidio colposo e si è fatto un anno di carcere. Quando ormai la prescrizione è calata su tutta la vicenda, il fotografo sostiene che Josè gli fu lanciato apposta contro il Ford in corsa da una “fazione vaticana” nemica di quella per conto della quale lui sostiene che stava compiendo una non meglio specificata “azione” contro il magistrato Severino Santiapichi, giudice impegnato in processi importanti, che abitava da quelle parti.
Patrizia D.B. ha però demolito il racconto di Fassoni Accetti, ridotto a parto della sua fervida fantasia, con una lunga e dettagliata deposizione al magistrato Giancarlo Capaldo, alla quale hanno fatto seguito alcuni incontri con me. In particolare la donna ha affermato che il fotografo:
– investì per caso il ragazzo e non se ne rese neppure conto;
– non stava conducendo nessuna “azione” contro né Santiapichi né altri;
– neppure sapeva chi fosse Santiapichi e tanto meno dove abitasse;
– apprese dell’esistenza e della vicinanza della casa del giudice solo dall’interrogatorio del magistrato Domenico Sica, chiamato dai carabinieri perché titolare all’epoca di quasi tutte le inchieste sul terrorismo rosso;
– non firmò neppure lui nessun verbale perché quando Sica a un certo punto seppe da Patrizia che erano lì per recuperare un furgone, e quindi non per Santiapichi, se ne andò senza stilare nessun verbale per il semplice motivo che non c’era proprio nulla da verbalizzare in fatto di terrorismo e affini. La faccenda era infatti di competenza di altri magistrati, addetti ai reati comuni.
Quando ha saputo che aveva testimoniato davanti al magistrato del caso di Emanuela Orlandi – e incontrato me – Fassoni Accetti è andato su tutte le furie. Ha telefonato più volte alla sua ex amica per cercare di capire cosa avesse detto al magistrato e a me e per darle qualche non disinteressato “consiglio”. Dopodiché le ha scatenato contro una marea di post e commenti malevoli, sia su Blitzquotidiano sia su pagine Facebook dedicate al caso Orlandi, post e commenti tutti fatti scrivere alle sue attuali amiche Dany Astro, Sara P. ed Elisa S.. Le quali, ignorando qualsiasi solidarietà femminile, sono arrivate a sostenere in coro senza arrossire che il racconto di Patrizia è dovuto al suo essere “una donna delusa in amore”: cioè a dire, a suo tempo piantata in asso proprio da Fassoni Accetti.
Patrizia D. B. ha iniziato a rispondere per le rime. Ecco la sua replica più significativa, che dà conto di cosa effettivamente successe quel 21 dicembre di 30 anni fa. Tra i commenti a quel mio articolo ci sono alcune altre brucianti battute della rissa fra le donne di oggi e di ieri di Marco Fassoni Accetti:
“Caro Nicotri e cari tutti, Sono Patrizia D.B. e sono stata chiamata più volte in causa in questo articolo, e mi sento quindi in obbligo di rispondere e chiarire definitivamente questa polemica sterile su “Sica sì–Sica no”, anche per correttezza nei confronti del dr. Nicotri. Nicotri ha riportato esattamente un MIO VISSUTO. Ha trascritto ciò che io vivamente ricordo di quell’alba del 21 dicembre 1983, e che gli ho raccontato. L’unico refuso che segnalo e mi preme dire è che io sono INCENSURATA e ho la fedina penale PULITA, quindi non ero “schedata” ma solo SEGNALATA come estremista di sinistra, e dati i tempi che correvano ciò rientrava in una normalità. Confermo che sono stata fermata, in compagnia di Marco Accetti, alle 4 del mattino del 21 dicembre 1983 dai carabinieri del Comando di Ostia, mentre nella pineta di Castel Porziano eravamo intenti alla ricerca del suo furgone “perduto”; furgone accidentato che l’Accetti abbandonò lì dopo che nel pomeriggio aveva avuto un GUASTO, e questo era ciò che io sapevo in quel momento. Portati in caserma perché sospettati di essere “brigatisti”, venimmo perquisiti e subito separati e interrogati individualmente.
Dopo una breve deposizione, mi misero in una stanzetta in compagnia di un carabiniere nella “infinita” attesa che venisse il MAGISTRATO a interrogarmi, e questo mi fu annunciato chiaramente dal carabiniere. Il Magistrato venne e mi interrogò facendomi per quasi due ore domande esclusivamente sulla politica e relative ai brigatisti, chiedendomi anche se conoscevo Severino Santiapichi e il motivo per cui ero andata vicino casa sua; e comunque mai in quelle domande mi fu ventilato o alluso a qualcosa relativo ad un probabile “investimento stradale”, e mi era chiaro e logico che l’accusa del mio fermo -e dell’Accetti- era di “sospetti brigatisti rossi” . Solo verso le ore 7.30/7.45 del mattino, quando nel ri-raccontare la mia giornata del 20 dicembre, io spontaneamente parlai del furgone guasto dell’Accetti, rottosi nel pomeriggio in pineta, e qui il carabiniere che assisteva al mio interrogatorio davanti al Magistrato, mi interruppe e mi chiese delucidazioni sul furgone, informandomi su di un investimento mortale, successo lì in pineta, ad opera di un pirata della strada. Se io non avessi spontaneamente nominato il furgone, i carabinieri alle 8 di quel mattino ancora ignoravano la presenza del furgone rotto in pineta, e di conseguenza non avevano ancora collegato l’Accetti all’incidente mortale.
Quindi, dato che fui io a rivelare l’esistenza di un furgone rotto in pineta, do per scontato -perché non può essere altrimenti- che anche Marco Accetti inizialmente fu sottoposto a interrogatorio sul terrorismo rosso dal Magistrato venuto in caserma appositamente per questo, e poi, dopo la mia rivelazione, interrogato dai carabinieri esclusivamente sull’incidente stradale …e quindi arrestato. Il Magistrato di quella lunga notte passata nel comando dei carabinieri di Ostia, era DOMENICO SICA. E questo lo ricordo benissimo e mi rimase impresso nella memoria semplicemente perché ERA UN BELL’UOMO, che io nei mesi seguenti seguii guardandolo al telegiornale e sui quotidiani… Per quanto riguarda la polemica dell’interrogatorio “verbalizzato sì-verbalizzato no”, io leggo su un verbale dei carabinieri del 21 dicembre 1983, riguardo la mia persona, una frase a fine rapporto che recita “Forniva infine altre generiche indicazioni”: e per me in questa frase è stringato il “colloquio” sui Brigatisti che io ebbi con Sica.
Volevo infine rispondere alla sig.ra Paola che scrive: “Alquanto singolare appare la coincidenza che anche la ex compagna del testimone, Patrizia D.B., negli anni ’80, fosse anch’essa suonatrice di FLAUTO TRAVERSO…..” Signora Paola vedo che lei è molto informata sui miei studi tanto da citare anche gli anni, sicuramente queste informazioni le avrà lette su uno dei miei tanti curriculum vitae in circolazione su internet -io sono una persona pubblica- quindi se mi ha letto sa che mi occupo di TEATRO e avrà anche letto che sono una MUSICISTA che oltre al Flauto Traverso, suono anche il pianoforte, l’harmonium, il TRAVERSIERE, le percussioni su tamburo, i FLAUTI a becco, l’arpa medievale, e infine la SYMPHONIA (antico strumento medievale antecedente la ghironda) che è in assoluto lo strumento musicale che preferisco… quindi la “singolare coincidenza” sinceramente non la vedo, anche perché io personalmente , solo a Roma, conosco decine di FLAUTISTI!”.