E dunque la Sakineh statunitense che risponde al nome di Teresa Lewis e di cui tutti ci siamo bellamente strafregati, è stata puntualmente giustiziata, con una iniezione letale dopo averla legata come un Cristo donna a un lettino a forma di croce per poterle infilare il veleno nelle arterie. Pudicamente, o meglio ipocritamente, è stato scritto di “un cocktail di barbiturici che le ha fermato il cuore”. Insomma, un po’ come se fosse andata al bar e avesse bevuto un cockail sbagliato, o meglio: il cocktail della Giustizia… Made in Usa. Più esattamente, in Virginia. Quando l’hanno uccisa in Europa erano le 3 di notte. Anche in Francia, e la signora Carla Bruni sposata Sarkozy se la dormiva beatamente come il filosofo maestrino di pensiero Bernard Levy, che si mobilita solo se c’è da dare addosso all’Iran.
Non voglio certo mettere sullo stesso piano Stati Uniti e Iran in materia di repressione di libertà: in America il dissenso è libero e nessuno rischia la condanna a morte perché non la pensa come il regime, cosa che invece si verifica di continuo in Iran.
Voglio però ricordare a tanti moralisti a senso unico che non è vero che tutto il bene sta da una parte sola e tutto il male dall’altra. E voglio anche mostrare come i professionisti dello sdegno internazionale si indignino in modo diverso secondo il colore del reprobo.
Dico anche subito, a scanso di equivoci, che ho firmato l’appello a favore della Sakineh di Teheran, perché sono contro qualunque tipo di pena di morte.
Alla pari della coetanea iraniana Sakineh, Teresa Lewis è stata condannata a morte per avere in qualche modo collaborato all’uccisione di suo marito. Nel caso Lewis, il marito Julian e il figliastro Charles, sono stati uccisi nel 2002 allo scopo di incassare i soldi di una polizza di assicurazione, 250mila dollari, e fuggire con l’amante. Intervistata in carcere dal Washington Post, Teresa ha ammesso le sue responsabilità ed espresso rimorso senza accampare scusanti: “Non ho premuto il grilletto quel giorno, però feci del male, lasciai che due persone fossero uccise. Questo lo so. Ho tradito due persone che amavo. Ma ho paura della morte, vorrei continuare a vivere”.
Questa condanna a morte ha vari lati orribili, oltre a quello intrinseco ad ogni condanna capitale. Il primo è che Teresa è una ritardata mentale, il suo quoziente di intelligenza è solo 72: vale a dire, appena due punti sopra l’incapacità di intendere e di volere. Il secondo è che la sua domanda di grazia è stata respinta proprio perché per quei due miserabili punti: “Teresa Lewis non rientra nella definizione legale di una ritardata mentale”, ha seraficamente dichiarato il governatore Robert McDonnell. La definizione legale scatta infatti a quota 70. Ma è il terzo lato orribile il più incredibile e orribile di tutti: mentre lei è stata condannata a morte, gli autori materiali del delitto – tali Shallenber e Fuller – sono stati invece condannati NON alla pena capitale, bensì all’ergastolo. Incredibile, ma vero. Orribile, ma vero.
Ci sono tutte le apparenze di una sentenza discriminatoria verso le donne. Il giudice Charles Strauss ha definito Teresa “la testa del serpente”.
Come si vede, i casi della Sakineh iraniana e della Sakineh statunitense di nome Teresa Lewis sono pressocché identici, ma il secondo è più grave. E’ più grave sia per l’handicap della Sakineh della Virginia sia per il fatto che a differenza della Sakineh iraniana è stata uccisa per davvero. Nella nostra beata indifferenza. Non ha detto “bah” neppure l’eroica signora Carla Bruni in Sarkozy, che credo avrebbe fatto meglio a firmare prima di tutto contro la decisione di suo marito di spingere i rom a togliersi dai piedi della Francia. Per non parlare di Bernard Levy, l’organizzatore della campagna a favore della Sakineh di Teheran: per quella della Virginia ha preferito girarsi di là.
Su Carla Bruni non c’è molto da dire: scegliersi la causa umanitaria “giusta”, indovinata, aiuta la propria immagine, la promuove, provoca buona pubblicità.
Su Levy vale però la pena aggiungere qualche parola. Questo autentico fissato contro l’Iran è uno dei massimi teorici dell’impossibilità di usare con Teheran qualsiasi carota, qualsiasi deterrente che non sia la guerra o almeno una grandinata di bombe. Ecco cosa ha dichiaratol il 22 agosto del 2006 al Wall Street Journal, ovviamente glissando sul fatto che le armi atomiche finora le ha Israele e non altri in Medio Oriente: “C’è una differenza radicale tra la Repubblica islamica dell’Iran e gli altri governi con armi nucleari. Questè differemza è dovuta alla visione apocalittica del mondo degli odierni governanti dell’Iran. Questa visione […] condiziona chiaramente la percezione e le linee politiche di Ahmadinejad. La minaccia di una rappresaglia [nucleare] contro l’Iran è inefficace di fronte al complesso del suicidio e del martirio che affligge oggi parte del mondo islamico […]. In questo contesto, la reciproca distruzione assicurata, cioè il deterrente che ha funzionato così bene durante la Guerra Fredda non avrebbe alcun significato […]. Per gente che la pensa a quel modo non sarebbe un freno, ma al contrario un incentivo”.
Questa idiotissima tesi dell’aspirazione al suicidio atomico di buona parte dell’Islam, e comunque dell’Iran è falsa in modofacilmente dimostrabile dimostrabile: finora infatti il regime iraniano, per quanto detestabile come tutti i regimi teocratici, ha mostrato una grandissima elasticità e capacità di compremessi e moderazione pur di NON offrire né agli Usa né a Israele la scusa buona per attaccarlo. Anche perché l’Iran porta ancora le ferite degli 8 anni di guerra scatenatagli contro dall’Iraq di Saddam, aizzato dall’Occidente, ed è in piena ricostruzione e rilancio. Meno propensi al suicidio di così…