La notizia che il Dna di Danilo Restivo non è quello trovato nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità a Potenza ha riproposto il caso di Elisa Claps, la ragazza di Potenza sparita 17 anni fa, perché, si è scoperto di recente nel sottotetto della chiesa, fu uccisa il 23 settembre 1993, in circostanze non ancora del tutto chiarite ma che certamente implicarono una violenza sessuale. Dell’omicidio è stato accusato Restivo, peraltro detenuto in Inghilterra perché accusa di analogo delitto, il quale, ma questo vuole dire poco, si proclama innocente.
Anche io sono convinto che Restivo non abbia ucciso Elisa e cercherò di argomentare le mie conclusioni.
Una premessa relativa alla professione giornalistica. Nel caso Claps si registrano comportamenti giornalistici simili a quelli che da 27 anni avvalorano molte chiamiamole incongruenze pur di tenere in piedi il “mistero” del “rapimento” – chiaramente mai avvenuto – della bella ragazzina del Vaticano Emanuela Orlandi.
E passiamo a Potenza, dove anche i sassi sanno che alla buonanima del parroco di quella chiesa, don Mimì Sabia, passato a miglior vita nel 2008, l’anima delle belle giovani stava a cuore moltissimo. Tanto che quasi ogni sera andava nell’istituto femminile delle canossiane in via Ciccotti 28 per confessare le irrequiete ragazze. Ma quelle confessioni dovevano avere dei risvolti fastidiosi se è vero che più d’una volta don Mimì è stato preso a male parole e a volte anche a botte dai fidanzati delle ragazze, che più che confessate sembrava fossero importunate. Ancor oggi le monache di via Ciccotti sono in allarme: lo si capisce subito, non appena si vada da loro o anche solo si telefoni per chiedere una informazione qualunque senza essere già ben conosciuto: di cosa hanno paura?
Il sottotetto dove sono stati trovati i resti della povera Elisa è raggiungibile solo ed esclusivamente dalla canonica, cioè dall’abitazione del parroco, come ripete anche don Marcello Cozzi, coordinatore per la Basilicata dell’Associazione Libera, che si dice sia da anni vicino alla famiglia Claps: «Ma come è possibile che nessuno, in tutti questi anni, si sia accorto della presenza di un cadavere nel sottotetto raggiungibile solo attraverso i locali della canonica?”. Già, com’è possibile?
Don Cozzi non si chiedere però per quale motivo il parroco attuale, il sacerdote brasiliano don Vagno, abbia evitato accuratamente di avvertire la polizia quando è stato scoperto il cadavere, mesi prima che la scoperta diventasse di dominio pubblico, preferendo invece tentare di avvertire l’arcivescovo. Tentare, perché, dice l’attuale parroco, “non ci sono riuscito”. Ma guarda te che strano! E cosa temeva l’attuale parroco che lo ha spinto a non rivolgersi alla polizia e a preferire avvertire l’arcivescovo? E perché don Vagno è stato spedito di corsa via da Potenza per sottrarlo alla curiosità dei giornalisti con la motivazione ufficiale di un “ritiro spirituale”? Va bene che a quanto pare la cononica fosse anche la sede di un circolo – culturale? – chiamato Newman, presieduto da tale Rocco Galasso, ma come si può credere che don Vagno si sia solo preoccupato di proteggere il buon nome del circolo e del suo presidente Galasso?
Oggi l’indice dell’accusa, e anche del legale della famiglia Claps, è puntato contro Danilo Restivo, però a mio giudizio il quadro degli inizi non è tale da fare dire con fermezza, a chi abbia a cuore il principio del giusto processo che è alla base di una democrazia moderna, chee Restivo abbia ucciso Elisa Claps. Vogliamo forse credere che il parroco Sabia lasciava la sua abitazione sempre aperta per permettere che chiunque andasse a fare i comodi suoi nel sottotetto del suo duomo?
Che ci fosse un clima omertoso attorno alla scomparsa di Elisa Claps lo ammette oggi perfino l’arcivescovo di Potenza, Ennio Appignanesi: “Il clima omertoso lo percepii subito”, ha dichiarato alla stampa l’arcivescovo, per poi però subito aggiungere, a proposito del preteso via vai peccaminoso in direzione del sottotetto: “Forse don Sabia confidava troppo nella responsabilità dei laici e dei giovani che frequentavano la canonica”.
Qui però va chiarito una particolare: ma l’arcivescovo di Potenza chi è? Ci sono giornali, come La Stampa, che indicano in Appignanesi l’arcivescovo, però Gildo Claps, fratello di Elisa, in un comunicato si è scagliato contro Galasso, don Vagno e contro “l’arivescovo di Potenza monsignor Agostino Superbo”. Ma allora: Appignanesi o Superbo? Possibile che i giornali trattino anche un caso come questo con tanta superficialità?
Proseguiamo. Si usa dire che Elisa quel fatale 13 settembre abbia incontrato Restivo nella piazza davanti la chiesa, e magari ci si spinge a dire che avesse con lui un appuntamento. Bene. Cosa vogliamo credere: che la ragazza abbia seguito il ragazzo “strano” su fino alla canonica, poi su per le scale per andare anche nei locali sopra la canonica e che abbia infine saltato il muretto per addentrarsi nel fatale spazio buio e inaccessibile? Ma se fosse davvero così, per quale motivo poi avrebbe dovuto rifiutarsi al desiderio di Restivo? Forse Elisa era convinta che stava andando nella parte ineccessibile del sottoscala per leggere un giornale o per fare due chiacchiere? Qualche dubbio è giustificato: se ci è andata è perché sapeva che ci andava per fare sesso. Se ci è andata. Ma davvero qualcuno pensa che una ragazza sana di mente avrebbe seguito a quel modo e fino lassù un tipo “strano” come Restivo per poi, per giunta, dire “No!”? Se ci è andata, non è più sensato pensare ci sia andata seguendo una persona di cui si fidava ciecamente ?
Proseguiamo. Facciamo finta che l’abbia accoppata Restivo. Va bene che è un tipo “strano”, ma dovrebbe essere anche scemo a lasciare lì il cadavere, perché se non si è il parroco o qualcosa di simile, cioè comunque uno che lì ci abita o quasi, si ha il timore e la certezza che il cadavere verrò scoperto, quindi lo si fa sparire, ma da un’altra parte.
Perché escludere che invece l’abbia uccisa il parroco? Questa ipotesi spiegherebbe meglio tutta una serie di cose, quali ad esempio:
– perché il cadavere è stato portato o lasciato lì;
– perché in seguito sono state tolte dalla parte del tetto sovrastante il cadavere varie tegole, in modo da far “evaporare” meglio il fetore delle decomposizione e quindi non suscitare sospetti in chi fosse passato vicino;
– perché don Vagno si è guardato bene, per mesi, dall’avvertire la polizia;
– perché lo stesso don Vagno ha cercato invece di avvertire l’arcivescovo di Potenza, quale che esso sia, Superbo o Appignanesi.
Non sto dicendo con certezza che Elisa sia stata uccisa dal parroco, ma che ragionando per indizi e con un po’ di senso della provocazione, tra lui e Restivo è più probabile che non sia stato Restivo.
Ma lasciamo la tristezza della cronaca e passiamo alla grandosità della tradizione. Che il clero se la sia sempre fatta da padrone in Basilicata, come del resto in gran parte del Sud, lo testimonia una bella processione, quella del 2 luglio a Matera, la città dei famosi “sassi”, che vale davvero la pena di andare a vedere. Nonostante il caldo feroce, il 2 luglio viene portato in lunga ed estenuante processione il pesante carro della Madonna della Bruna, protettrice della città. Il corteo di solito parte dalla cattedrale, in centro, ma da quattro anni la cattedrale è chiusa per restauri e quindi il corteo parte dalla chiesa di S. Francesco d’Assisi, per arrivare alla chiesa del Piccianello e viceversa. La statua della Madonna sta su un grande carro, coloratissimo, elaboratissimo e addobbatissimo, che stranamente è fatto di cartapesta, e vedremo il perché. Anche gli angeli e le statue dei santi che arricchisono il carro sono di cartapesta, e vedremo il perché. L’itinerario è decisamente lungo, ma nonostante il caldo, la processione è seguita da una marea di gente, con tanto di squilli di tromba, cavalieri e adrenalina che man mano sale, e vedremo il perché.
Verso il tramonto finalmente la statua della Bruna viene riportata teatralmente in cattedrale, dopo i rituali tre giro del carro sul sagrato, sul punto più alto della città, mentre il carro viene ancor più teatralmente portato sulla piazza della “stracciata”. Sul luogo, cioè, dove a un certo punto i cavalieri vanno via dando così il segnale alla folla, che assale il carro e i suoi addobbi, angeli, santi e madonne, per ridurre tutto in pezzi e assicurarsene almeno un brandello da esibire nel proprio negozio o nella propria abitazione come portafortuna per i prossimi 12 mesi. La scena è sconvolgente, anche perché in nessun’altra parte del mondo cattolico e cristiano, se non qui, il 2 luglio nella piazza di Matera, può capitare di vedere immagini “sacre” fatte furiosamente a pezzi da una intera folla come fosse un branco di lupi affamati o impazziti.
Che c’entra questa strana processione con i soprusi del clero che per secoli ha angariato il nostro Meridione? C’entra, eccome: la processione è nata infatti secoli or sono come transfert della violenza dei contadini sfruttati come bestie dai vescovi. Non potendo i contadini assaltare le chiese e fare a pezzi il vescovo di turno, perché sarebbero poi stati falcidiati loro dal tribunale dell’Inquisione e delizie simili, ecco che la loro devozione popolare ha trovato un modo originale per sfogare comunque la propria rabbia e il proprio bisogno di violenza e giustizia contro la prepotenza sfruttatrice del clero: una affollata e suggestiva processione annuale che nel pieno dei riti contadini dei raccolti estivi permette al popolo di fare a pezzi almeno i simboli del potere del clero. Una cosa simile poteva succedere solo a Matera, perché solo a Matera la gente è stata ridotta ad abitare per secoli nei famosi “sassi”, cioè nella miriade di grotte dove avevano anche le chiese e che solo in tempi recenti sono diventate, quelle sopravvissute al cemento dei palazzi, luoghi di ammirazione per turisti in cerca di folklore.
Matera non è molto distante da Potenza. I cui abitanti però, meno contadini e molto più cittadini, tant’è che non hanno mai usato i “sassi” come abitazione, preferiscono tapparsi la bocca. Ecco perché a proposito dell’uccisione di sua sorella Gildo Claps accusa tutti, dall’arcivescovo in giù, di ipocrisia.