Pensioni d’oro. Giovannini, pura demagogia…Nicotri scopre di essere ricco

Pensioni d’oro. Giovannini, pura demagogia…Nicotri scopre di essere ricco

ROMA – Le pensioni d’oro, ammesso che tali siano, e l’insistenza con cui un pezzo del Governo e della sinistra, guidato dal ministro del Lavoro Enrico Giovannini, si ostina a inveire contro quella fascia di pensionati non possono che essere fonte di sconcerto.

I provvedimenti che in questi giorni sconcertano sono due. Uno viene spacciato come necessario per “l’equità sociale”, l’altro come necessario per rendere meno indecentemente affollata la situazione carceraria. Purtroppo però entrambi i provvedimenti non hanno nulla a che vedere con gli obiettivi dichiarati, si tratta solo di demagogia allo stato puro, per giunta pericolosa. Del secondo abbiamo già scritto. Parliamo ora del primo: il protrarsi del blocco del parziale adeguamento all’inflazione delle pensioni non da fame, cioè superiori ai 3.000 euro lordi, pari a meno di 2.000 netti, 65 euro al giorno, cifra degna di Paperon de Paperoni che il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Enrico Giovannini vuole assolutamente colpire. Si tratta di un provvedimento sicuramente incostituzionale, perché cozza contro l’eguaglianza di tutti i cittadini, principio in base al quale la Corte costituzionale mesi fa ha già bocciato il provvedimento che tagliava con un prelievo rafforzato le pensioni sopra i 90 mila euro lordi l’anno. Sopra cioè i 7.500 euro lordi al mese, che netti calano più o meno a 4-4.500. Ma Giovannini anziché occuparsi degli stipendi, delle buonuscite e delle pensioni stellari dei boiardi di Stato insiste a prendersela con i ranghi medi: e così nelle ultime ore ha partorito una variante: sterilizzare dal 1° gennaio dell’anno prossimo non per intero le pensioni superiori ai 3.000 euro, ma “solo” la parte oltre i 3.000 euro lordi al mese.

Il meccanismo escogitato da Giovannini è il seguente: la rivalutazione sarà piena, cioè del 100% dell’inflazione, se l’assegno vale fino a tre volte la pensione minima; al 90% fra tre e cinque volte il minimo e il 75% fra cinque e sei volte il minimo. Oltre tale soglia, la perequazione viene sterilizzata. Per chiarire meglio il meccanismo: chi percepirà una pensione di 4.000 euro lordi godrà dell’indicizzazione fino a circa 3000 euro lordi, mentre i restanti 1.000 non saranno più rivalutati. Perderanno quindi potere d’acquisto rispetto all’inflazione: dopo una decina d’anni l’effetto sarà tale da rendere l’intera pensione il fantasma di quello che era. E’ un po’ come decidere che in Italia non devono più esserci pensioni superiori ai 3.000 euro al mese. Oppure, o meglio anche, che chi le percepisce è un nemico del popolo di bolscevica memoria….

Per salvare la faccia, il ministro Giovannini giura che i risparmi che ne deriveranno per le casse previdenziali saranno usati “in un’ottica di solidarietà”, belle parole che non significano nulla. Anche perché quelle che il ministro si accanisce a definire in blocco “pensioni d’oro”, cioè superiori ai 3.000 euro lordi al mese, sono poco più di 600.000 su un totale di 23,4 milioni di pensioni e con una incidenza di 34 miliardi di euro sui 270 complessivi. Cose che Giovannini sa certo molto bene, visto che fino allo scorso marzo era presidente dell’Istat, cioè dell’istituto che in Italia si occupa di statistiche di tutti i tipi a partire dal calcolo dell’inflazione ufficiale.

Il ministro del Lavoro in fatto di lavoro deve saperne però poco se si illude di poter creare posti di lavoro in numero significativo per i giovani utilizzando i quattrini trattenuti ai pensionati “d’oro”. Creare un posto di lavoro decente a contenuto tecnologico di buon livello, un posto di lavoro cioè che può avere un futuro, costa cifre notevoli, la trovata di Giovannini è invece meno di un pannicello caldo. Destinato a raffreddarsi rapidamente. A conti fatti, più che altro un robusto investimento pubblicitario personale per il ministro… Che forse da bravo tecnico all’italiana punta come il tecnico Mario Monti a restare seduto nel mondo politico parlamentare. Per creare posti di lavoro ci vorrebbero una politica e una strategia apposite, di lungo respiro e con investimenti adeguati, vale a dire massicci. Nulla di tutto ciò si vede in concreto all’orizzonte.

Il ministro del Lavoro e l’intero governo Letta in tema di pensioni non hanno il coraggio di affrontare di petto il problema e agire di conseguenza: vale a dire, di alzare l’età dell’andata in pensione a 69-70 anni, come hanno invece capito bene in Germania cominciando a regolarsi per tempo. In Germania però hanno politiche capaci di creare lavoro per i giovani anche lasciando al lavoro gli occupati oltre i 65 anni anziché cacciarli prima, e dove quindi nessuno sente il bisogno di aizzare i giovani contro chi osa vivere a lungo per giunta senza fare la fame. In Italia invece si punta a metter i giovani contro gli anziani e gli anziani contro altri anziani. Deve essere la conseguenza del giovanilismo imperante da anni….

E’ ridicolo, oltre che indecente, che ci si preoccupi delle differenze di pensioni e non delle differenze di stipendi! A creare danni al tessuto produttivo, bancario e finanziario dell’Italia è anche l’ingordigia di manager e amministratori vari che si auto attribuiscono stipendi e buonuscite molto milionarie, più altri benefici economici da nababbi, senza neppure che ci sian un qualche rapporto con una loro effettiva capacità professionale. E’ come permettere di auto strapagarsi a generali che invece di pensare a vincere battaglie e guerre pensano solo alla propria carriera e al proprio portafoglio, oltretutto perdendo le battaglie e le guerre… La perdita di posizioni dell’Italia nel mondo industrializzato dimostra che i nostri manager sono in gran parte generali incapaci di vincere. Ma molto capaci ad arraffare.

Il problema vero è che, duole dirlo, i danni al bilancio dello Stato in tema di pensioni vengono proprio dalle pensioni basse, per il semplice motivo che nella gran parte si tratta di pensioni gentilmente regalate dai governi dei decenni passati a masse di impiegati, prevalentemente pubblici, autorizzati ad andarsene in pensione anticipata, anche ad appena 40 anni d’età. Era un ottimo modo per pasturare, a spese del contribuente, l’elettorato e fare il pieno di voti alle elezioni. Per quale motivo questa costosa furbizia dei partiti del bel tempo che fu la devono pagare i pensionati di oggi che una pensione più decente ce l’hanno perché sono rimasti al lavoro fino all’età pensionistica? Perché la sbornia delle pensioni d’anzianità la devono pagare i titolari di pensioni di vecchiaia?

Parlare d’equità sociale per queste faccende è una bestemmia. Particolarmente scandalosa in bocca a un ceto politico che di soli privilegi personali consuma un enorme multiplo di quanto vuole spremere ai pensionati “d’oro”, che in realtà, eccetto poche centinaia, non sono neppure d’argento, ma del famoso “oro di Bologna che diventa rosso dalla vergogna”. Per Giovannini io, per esempio, avrei una pensione d’oro, sarei cioè ricco, peccato che non me ne sia mai accorto perché non è vero: pagato l’affitto, le varie bollette e i costi dell’università statale a mia figlia per arrivare a fine mese devo stringere anche io la cinghia.  Oltre agli enormi sprechi dovuti ai privilegi del ceto politico, che qualcuno chiama anche “casta”, ci sono altri fiumi di danaro che si lascia scorrere indisturbati:

– gli sprechi dovuti all’inefficienza della pubblica amministrazione in quasi tutti i settori, compresa l’amministrazione della giustizia. In quanto a efficienza della pubblica amministrazione siamo un fanalino non solo d’Europa.

– Tra gli sprechi e l’inefficienza della pubblica amministrazione va sottolineato l’enorme numero di generali e ammiragli delle nostre forze armate, che per il rapporto con il numero di militari sottoposti non trova eguali in tutto l’Occidente.

– la corruzione, che oltre a divorare cifre gigantesche corrode divora la qualità e le capacità della vita politica, industrale, bancaria, ecc, insomma dell’intera vita sociale.

l’evasione fiscale, stimata nell’astronomica cifra di più o meno 700 miliardi di euro.

– I soldi drenati dalla criminalità organizzata, che oltre all’economia e a molti italiani danneggia lo Stato e quindi l’erario in vari modi.

– Le regalie a vario titolo alla Chiesa e al Vaticano, dai finanziamenti alla scuola privata, facente capo di fatto alla Chiesa, fino alle esenzioni Imu e alle bollette dell’acqua del Vaticano.

Certo, mettere mano a questi cahier de doleances significa farsi dei nemici in grado di difendersi perché molto bene inseriti nella realtà sociale, produttiva, occupazionale, ecc., nemici quindi in grado di reagire organizzando forti proteste. I pensionati, invece, anche se “d’oro” sono ormai “fuori dal giro”, cioè fuori gioco. Non possono organizzarsi nei luoghi di lavoro perché non ne fanno più parte, e questo è il motivo per il quale fino ad oggi sono rimasti a terra tutti i tentativi di creare e far crescere il partito dei pensionati, capace anche di eleggere dei propri parlamentari. Oggi però grazie al web, ai social network, ecc., un partito dei pensionati può essere possibile. Non s’è forse basato soprattutto sul web il movimento creato da Beppe Grillo? Già prima che se ne accorgesse il suo guru Gianroberto Casaleggio era chiaro che la realtà virtuale del web poteva essere utilizzata per creare alcune realtà reali, sia in fatto di amicizie e relazioni personali sia in fatto di associazionismo.

Ho letto su alcuni stimatissimi giornali, che per carità di patria non nomino, che sarebbe segno di buon senso andare a colpire i pensionati “d’oro” non nel mucchio, ma tra coloro che hanno molto lucrato grazie al sistema retributivo finché è esistito, cioè fino al 1995, anno in cui è stato sostituito dal sistema contributivo. Vale a dire: col primo sistema si andava in pensione con un vitalizio calcolato sulla media degli stipendi percepiti a fine vita lavorativa, a prescindere da quanto si era effettivamente versato in contributi previdenziali; col secondo sistema invece la pensione viene calcolata in base al totale dei contributi effettivamente pagati agli istituti previdenziali, INPS, ecc., nel corso della propria vita lavorativa: né più e né meno come gli interessi su un conto corrente bancario vengono calcolati sulla cifra effettivamente depositata in banca e non con altri criteri immaginifici.

In effetti, può parere sensato prendersela con chi ha goduto della pacchia durata fino al ’95, ma c’è un ma: è legittimo e senza grave danno per la credibilità e la popolarità dello Stato che questo si rimangi gli impegni presi fino a ieri con i suoi cittadini diventati pensionati e li calpesti retroattivamente risalendo indietro di decenni? Visto che parliamo di buon senso, è sensato che mentre ci si strappa i capelli invocando la non retroattività della legge Severino, che dichiara decaduti i parlamentari colpiti da condanne definitive, ci si stracci le vesti pretendendo la retroattività multidecennale della bastonatura a danno di cittadini italiani ormai in pensione?

Poniamo la domanda in altro modo: sarebbero felici i giornalisti e i parlamentari paladini di un tale “buon senso” se di punto in bianco i loro stipendi fossero rivisti al ribasso per “equità sociale” rimangiandosi regole e contratti nazionali? Sarebbero felici come inquilini se si vedessero stracciare sotto il naso il contratto d’affitto in vigore per poter aumentare il canone d’affitto “per equità sociale”?

Gli antichi romani seguivano l’imperativo “pacta sunt servanda”, cioè che i patti vanno rispettati. Per Bismarck invece “i patti vengono firmati per essere stracciati al momento opportuno”. Che tipo di comportamento si addice di più a una società civile di un Paese civile? Forse quello di Bismarck, che si regolava così con i nemici della sua Germania? I propri cittadini possono essere visti quindi come nemici, specie quando non possono difendersi perché in pensione? Come che sia, i metodi di Bismarck, non hanno portato fortuna alla sua Germania…

Il brutto sbocco di questo brutto argomento è l’aizzare contro una fetta di pensionati quella che non è affatto “equità sociale”, ma solo invidia, odio e disprezzo verso chi è più fortunato. Di questo passo il ministro della Sanità invocherà l’”equità sociale” aizzando i malati contro i sani di salute, oppure i sani di salute contro i malati perché fanno spendere un sacco di quattrini allo Stato per dare loro la dovuta assistenza sanitaria. Il ministro del Lavoro aizzerà i disoccupati contro chi ha un lavoro, ovviamente con l’eroico aiuto del ministro o del dipartimento della Gioventù, che per non essere da meno non vorrà resistere alla tentazione di una così facile demagogia. Il ministro della Pubblica Istruzione aizzerà contro i liceali chi va in scuole di rango inferiore e contro gli universitari chi non può permettersi di iscriversi all’Università. E via di questo passo verso l’idiozia e il baratro della frantumazione della coesione sociale. Con tutti i pericoli che ne possono conseguire.

E che il risultato sarà solo una maggiore dose di invidia e odio tra gruppi sociali risulta chiaro dal fatto che la Corte Costituzionale ha già rilevato l’incostituzionalità del trattenere più quattrini del dovuto a chi ha una pensione superiore ai 90 mila euro lordi l’anno, pensione – si noti bene – frutto delle cifre versate agli enti assistenziali e non frutto di ruberie o regalie. E’ quindi chiaro che le mene del ministro Giovannini e dei demagoghi, giornalisti “de sinistra” compresi, che per bassi motivi di bottega personale lo appoggiano con entusiasmo, sono destinate a cozzare contro il muro dell’incostituzionalità. Con il risultato, visto come questi politici di basso conio guidano la danza in questione, di fare odiare anche la Corte Costituzionale dalla gran massa di non “pensionati d’oro”.

Complimenti, davvero un bel risultato. Alla faccia dell’”equità sociale”. Che il ministro Giovannini deve avere scambiato per equinità sociale. O più probabilmente per asineria sociale.

Published by
Alberto Francavilla