A Roberto Saviano va riconosciuto il merito di avere contribuito a far prendere coscienza del problema della camorra a un sacco di gente, giovani soprattutto, facendone anche un argomento di discussione e dibattito pubblico in più sedi. Aver fatto prendere coscienza del problema non vuol dire averlo risolto, anzi c’è chi lo ritiene uno sforzo inutile e dannoso, inutile perché la malavita organizzata continua imperterrita nei suoi malaffari e dannoso perché proietta nel mondo una immagine di paese in mano a mafia camorra & affini cosa che obiettivamente non è vera più di quanto non lo sia per altri più “rispettabili” paesi come ad esempio gli Stati Uniti d’America.
Saviano peraltro non è l’unico. Ricordo che anche Giorgio Bocca ha scritto libri di grande successo che sensibilizzavano il lettore sui drammatici problemi del nostro Meridione, per esempio “Inferno – Profondo Sud, male oscuro”, che a ben vedere possiamo considerare l’antesignano del “Gomorra” di Saviano. Il successo di vendite di “Inferno” fu grande, con soddisfazione anche dell’editore, vale a dire della stessa Mondadori che ha pubblicato “Gomorra”. Ma proprio “Gomorra” è la migliore prova che “Inferno”, per quanto riguarda il cambiamento in meglio delle cose in Meridione, non è servito a nulla, il male oscuro del profondo Sud è anzi peggiorato. C’è di che pensare quindi che per il cambiamento in meglio del Sud o anche solo del Napoletano serviranno a ben poco anche i libri di Saviano. I successi editoriali non spostano la realtà di una virgola, se a modificarla non entra in azione la politica. I conti in banca di Bocca prima e di Saviano dopo nonché i bilanci della Mondadori hanno avuto infinitamente di più di quanto abbia avuto il Meridione al traino dei loro libri.
E’ curioso come in Italia se uno diventa un autore di successo cercano poi di farlo diventare un personaggio capace di chissà che. Susanna Tamaro a suo tempo ha scritto “Va dove ti porta il cuore”, titolo peraltro in singolare assonanza con una frase del maggiordomo del film “Matrimonio a quattro mani”, e ha avuto un enorme successo. Io non sono riuscito ad andare oltre la seconda pagina del libro, tanto mi è parso subito melenso, ma il problema non è certo questo: il problema è che della Tamaro si è voluto fare una icona, un guru, da spendere addirittura per dimostrare la superiorità della cultura europea quando perdendo un po’ il senso della misura è passata a scrivere per esempio “Anima mundi”.
Idem per Oriana Fallaci, giornalista dalle interviste grondanti il suo egocentrismo più che informazioni sui vari intervistati, per non dire della retorica quando per esempio si trattava di interviste a Gheddafi. Della Fallaci, quanto mai gratificata dal ruolo, si è voluto fare addirittura una Giovanna d’Arco dell’Occidente contro la pretesa barbarie dell’Islam e del mondo arabo in particolare. Il suo ripetere ossessivamente che di arabo di livello decente esisteva di fatto solo Averroè dimostrava peraltro più la sua limitata, forse volutamente limitata, conoscenza di quella parte del mondo, che non eventuali capacità alla Giovanna d’Arco. Oddio, in Italia abbiamo avuto il tentativo di fare assurgere a guru ed eroe del pensiero addirittura Adriano Celentano, che qualcuno anni fa voleva quasi santo subito affascinato dall’asserito fiorire di circoli e club che tale lo consideravano.
Ora tocca a Saviano. Ad agosto 2010 è nata la mobilitazione, per salvare la vita all’iraniana Sakineh condannata a morte in Iran e, a dire dei promotori della mobilitazione, minacciata di esecuzione della condanna tramite lapidazione. Ecco che Saviano sulla prima pagina di Repubblica lancia il grido di dolore: “Nessuno tocchi Sakineh!”. Assicurando inoltre che “chi lancia una pietra contro Sakineh la lancia contro tutte le donne”, tacendo però che la povera donna non era stata condannata a morte solo perché adultera, ma perché complice dell’uccisione del proprio marito. Di lì a poco negli Usa per lo stesso reato hanno eseguito la condanna a morte di una handicappata, Teresa Lewis, crocifissa al lettino per praticarle l’iniezione mortale, ma Saviano – e gli ispiratori della compagna pro Sakineh, o meglio anti Iran – s’è ben guardato dal gridare “Nessuno tocchi Teresa!”. E dall’aggiungere che chi crocifigge Teresa crocifigge tutte le donne…
Nei giorni scorsi ci sono stati scontri di piazza, a Roma, che hanno concluso la grande manifestazione degli studenti incazzati contro la riforma Gelmini. Una riforma che pare sia l’ultima sassata della progressiva lapidazione della scuola pubblica e quindi, con buona pace di Saviano, una sassata contro tutti gli studenti italiani e di conseguenza anche contro il loro futuro. O no? Saviano però, anziché gridare contro tale sassata, sulla prima pagina di Repubblica ha intonato un sermone per affermare che “la violenza è vecchia”, dove per violenza intendeva non la progressiva demolizione della scuola pubblica, e quindi del futuro di milioni di giovani, bensì la violenza di piazza.
Sì, certo, “la violenza è vecchia”, eppure è molto praticata dai militari occidentali in molte parti del mondo con la scusa dell’esportazione della democrazia né più e né meno come nei secoli passati è stata usata per esportare o imporre man mano “la vera religione”, “la civiltà”, il liberalismo economico e quant’altro. Tutte esportazioni a cannonate, utili in realtà per importare a prezzi stracciati i vari ben di Dio che ci allietavano la vita, dal pepe alle banane fino al petrolio. Già Atene aveva fatto l’errore di voler esportare la sua democrazia a Sparta, con il risultato che la devastante guerra del Peloponenso ha solo facilitato la lunga marcia di Alessandro Magno, ma tralasciamo.
Sì, lo so, sono provocatorio. Lo sono e a bella posta. Già Leonardo Sciascia storceva il naso di fronte a quelli che chiamava i professionisti dell’antimafia e Saviano è un professionista dell’anticamorra che praticando tale professione è diventato ricco, senza però che la camorra ne abbia ricevuto gran danno, stando alle inchieste giudiziarie che dimostrano il suo crescente stato di buona salute.
E mi sento provocatore anche quando sottolineo alcune esagerazioni diciamo così letterarie nei suoi scritti, ma lo faccio perché credo che uno come Saviano, con l’autorità che gli viene dal coraggio delle sue denunce, non ha poi certo bisogno di infiorettare più di tanto i suoi resoconti. Il caso che ho rilevato di recente è la contraddizione tra due versioni di uno stesso episodio, che mi infastidisce.
Il 27 maggio di quest’anno è comparso su Repubblica un articolo, tuttora reperibile con il link http://www.repubblica.it/cronaca/2010/05/27/news/saviano_camorra_lotterie-4363891/ , nel quale Saviano scriveva quanto segue: “4 – 15 – 21 – 35 – 59 – 73. Questi numeri non vi diranno nulla. Vi faranno pensare di certo al Lotto anzi al Superenalotto, ad una delle serie che quasi ognuno sogna di indovinare. Sei numeri e tutto può esser mandato a quel paese, mutuo, debiti, lavoro. E via da qui. Per sempre. Questi sei numeri furono estratti il 17 gennaio del 2008 facendo vincere più di 36 milioni di euro a circa trenta persone di un paesino dell’avellinese, Ospedaletto d’Alpinolo, che avevano giocato il sistema giusto. Ma la fortuna non riuscirono a godersela per molto. Ogni vincitore fu cercato casa per casa, avvicinato e costretto a versare una fetta della vincita. Immediatamente.
A chiedere la percentuale sulle vincite il clan Cava-Genovese di Quindici, sodalizio criminale che da sempre comanda nell’avellinese su cantieri, rifiuti, negozio, politica e ora anche sul Superenalotto. […..] Il clan quando decide di cercare i vincitori non ha certezza dei nomi. I trenta si nascondono, non danno nell’occhio, non festeggiano. Lo fanno per difendersi dalle richieste, dalle invidie, non pensano di rischiare di perdere addirittura una parte della vincita. Ma il paesino è minuscolo e lentamente emergono le prime rivelazioni. Ad aver giocato i sei numeri sono trenta sistemisti. […] Chi ha un sistema di numeri da giocare spesso cerca altri giocatori perché non ha tutti i soldi per poter giocare. E quindi gira spesso per convincere altri a partecipare all’impresa. È lì che il clan si muove. Inizia a individuare i “sistemisti” che cercavano di coinvolgere loro amici e parenti. E da loro arriva all’intero gruppo”.
Come si vede, un racconto da far gelare il sangue che, se certo non ha nulla di inventato nella sostanza criminale sottostante, però sembra contraddire la versione riferita, oltre due anni prima, esattamente il 18 gennaio 2008, dai corrispondenti locali. Si tratta di una versione molto diversa, come si può leggere ancora oggi sul link http://www.retesei.com/2008/14693.html del sito di Retesei. Le cose sarebbero andate così: “…l’intero paese è in festa, grande festa anche perché molti dei vincitori sono operai e disoccupati e, quei soldi sono una vera e propria manna caduta dal cielo. Sono passate diverse ore dalla vincita ma la titolare della ricevitoria, Adele ed il padre, sono ancora frastornati. Nel vicino bar Bristol è da ieri sera che si brinda di gusto. In paese tutti conoscono più o meno i nomi dei vincitori e molti di essi non fanno niente per nascondersi, come il signor Pasquale, che da ieri sera sta pagando da bere a tutti. Qualcuno pensa anche di organizzare una grande festa di piazza per celebrare degnamente questo avvenimento storico”.
Insomma, non solo non si nascondeva nessuno dei trenta vincitori, ma addirittura festeggiavano in pubblico e si davano da fare per organizzare anche una grande festa. I malavitosi non hanno dovuto fare molta fatica. Quei fortunati sfortunati sono stati degli incauti a mettere in piazza la loro vittoria e certo su al Nord sono più prudenti, quando vincono a qualche lotteria, a non metterlo in piazza, perché in giro, oltre alla camorra, ci sono anche i parenti, i creditori e il fisco.
Ma non è questo il punto. Il punto è nella domanda: che bisogno aveva Saviano di aggiungere particolari quanto meno confutabili? Non voglio togliere nulla ai grandi meriti di Saviano, devo dire che ora la sua stella brilla un po’ meno davanti ai miei occhi.