Serena Mollicone. Guglielmo, il padre: Denunciò la droga, Camorra la uccise

Serena Mollicone

FROSINONE – Serena Mollicone aveva 18 anni e abitava ad Arce, in provincia di Frosinone. Scomparve il primo giugno del 2001 e venne trovata morta due giorni dopo nel boschetto Fonte Cupa, dalle parti di Anitrella, la bocca e il naso tappati con carta assorbente, la testa in un sacchetto di plastica, le mani e i piedi legati con ben 16 metri di nastro adesivo e tenuti stretti anche con filo metallico.

Un delitto che ha tutta l’aria di una esecuzione, di una rappresaglia per tappare la bocca a Serena.

Il particolare della carta assorbente avrebbe dovuto indirizzare immediatamente le indagini verso gli uffici che nel 2001 la usavano ancora e che in paese certo non dovevano essere molti. Invece…

Eppure di ufficio sospettabile per quella carta assorbente ad Arce ce n’era almeno uno, quello contro il quale, come vedremo, punta da sempre il dito il padre di Serena, il maestro Guglielmo Mollicone, anche se per questo rischia querele.

Un altro particolare strano, che pure non avrebbe dovuto essere irrisolvibile, è quello del telefonino di Serena: avrebbe dovuto averlo con sé e dopo una settimana venne invece trovato in un cassetto della sua stanza da suo padre.

“Quel cellulare è stato messo apposta da qualcuno in un cassetto di casa nostra durante la veglia funebre”, spiega papà Guglielmo: “Un mio parente lo portò in caserma la mattina stessa dei funerali. I carabinieri ebbero così la scusa per aspettare che io fossi in chiesa, davanti alla bara bianca di Serena, e convocarmi in caserma senza alcun motivo, solo per una firma. Chi ordinò di prelevarmi? Perché? Le risposte sono evidenti”.

Ancora: Serena non fumava, eppure quel giorno fu vista dal carrozziere Carmine Belli mentre comprava un pacchetto di Marlboro Light davanti la stazione dei pullman. Per chi aveva comprato quelle sigarette la ragazza? Per qualcuno che era con lei? E in ogni caso: chi fumava Marlboro Light tra le sue conoscenze?

Come se non bastasse, nello stesso cassetto dove era stato trovato il telefonico di Serena verrà trovata una bustina di hashish dieci giorni dopo la sua morte. Evidentemente ce l’aveva messa qualcuno, molto probabilmente la stessa persona che ci aveva messo il telefonino durante la veglia funebre.

In questa vicenda non manca neppure uno strano suicidio: quello del brigadiere dei carabinieri Santino Tuzzi, trovato cadavere l’11 aprile 2008 all’interno della sua auto nella campagna del paese.

Un suicidio provvidenziale, dato che proprio le annotazioni di Tuzzi durante il suo servizio di portineria nel comando dei carabinieri di Arce indicano nella stessa caserma e nell’abitazione del suo comandante, il maresciallo Franco Mottola, l’ultimo luogo dove Serena è stata vista entrare viva.

Un ufficio, quello del comando dei carabinieri, dove la carta assorbente probabilmente non mancava dato l’uso dell’apposto tampone per asciugare l’inchiostro dei documenti e delle firme fatte a mano.

Partiamo da questo suicidio per intervistare papà Mollicone: che ne pensa della morte dell’appuntato?

“Una morte archiviata come suicidio. Ma Tuzzi era una persona seria, corretta. Non aveva alcun motivo per uccidersi. Indagò sull’omicidio di mia figlia ed è stato costretto a obbedire a chi era sopra di lui.

Proprio pochi giorni prima di morire, Tuzzi aveva dichiarato ai magistrati che il 1° giugno 2001, alle 11.30, ovvero il giorno in cui sparì, Serena si era recata alla caserma dei carabinieri. Invece di entrare negli uffici, però, fu fatta salire all’ultimo piano, dove si trovava l’appartamento del maresciallo Mottola.

La ragazza voleva denunciare Marco Mottola, il figlio del maresciallo, per spaccio di droga. Così testimoniò Tuzzi, il quale lavorò lì fino alle 14,30. E non la vide scendere”.

La morte del brigadiere è quindi collegata all’omicidio di Serena?

“Di omicidio per la morte di Santino Tuzzi ha parlato anche un suo amico e collega nelle prime dichiarazioni, poi ritrattate: Tuzzi sarebbe stato ucciso “perché conosceva il nome dell’assassino di Serena”. Per lo stesso motivo un altro militare venne trasferito subito dopo il delitto. Evidentemente anche quel militare sapeva, era in servizio con Tuzzi quando Serena fu uccisa. Tra l’altro abitava nell’appartamento attiguo alla caserma”.

Quando si è arrivati ad accusare qualcuno?

“Il 6 febbraio venne arrestato con l’accusa di avere ucciso mia figlia il carrozziere Carmine Belli, quello che dice di avere visto Serena acquistare le Marlboro. Venne arrestato perché trovato in possesso di un biglietto scritto da Serena. Due anni dopo però Belli venne assolto, con sentenza passata in giudicato”.

E poi?

“E poi il 27 giugno 2011 vennero iscritti nel registro degli indagati per la morte di Serena l’ormai ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, la moglie Maria. il figlio Marco, il carabiniere Francesco Suprano, l’allora fidanzato di Serena, Michele Fioretti, e la madre del giovane, signora Rosina Partigianoni. I loro DNA vennero confrontati con le tracce trovate sugli indumenti di Serena, sullo scotch e sul filo di ferro usato per legame il corpo. I risultati però scagionarono tutti”.

Ed è così che l’anno scorso la procura si decide a ordinare l’analisi del DNA di ben 272 persone per confrontarlo con quello prelevato da alcuni reperti trovati sugli indumenti e sul materiale utilizzato per “confezionare” il cadavere della ragazza. L’anno nuovo però è iniziato con una brutta notizia: i 272 esami si sono rivelati inutili. Come mai? Estraneità delle 272 persone sospettabili o qualcosa che non funziona come dovrebbe?

“Si sono rivelati inutili in quanto estesi a persone che nulla avevano a che fare con la morte di Serena. Troppe persone tra i 272 erano estranee a tutta la vicenda”.

Con quale criterio sono stati scelti i 272 nomi?

“Le persone sono state individuate dalla procura in base alle indagini precedentemente svolte, tante avevano solo conosciuto Serena. Dai 272 mancano personaggi molto importanti, tra i quali persone sicuramente fatte venire dalla Campania ed alcune polacche che in quel periodo si trovavano ad Arce e svolgevano il mestiere più antico, la prostituzione. Queste donne sono sparite da Arce il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Serena e non sono mai state cercate né interrogate. Perché sparire proprio allora? Di cosa avevano paura?”

E’ possibile ci siano stati errori nell’esame di così tanti DNA?

“No, non penso. Il problema è che non sono state chiamate molte persone che hanno realmente avuto a che fare con mia figlia”.

Con cosa dovevano essere confrontati i 272 DNA?

“Con i DNA trovati sui vestiti di Serena e sulle impronte trovate sul nastro adesivo con il quale hanno legato Serena”.

Reperti trovati quando? Subito dopo la scoperta del cadavere di Serena o anni dopo?

“Alcuni furono trovati quasi subito analizzando i vestiti di Serena, altri successivamente furono trovati dai carabinieri del Reparto Investigazioni Scientifiche, il famoso RIS. Da non dimenticare i licheni trovati sulla maglia di Serena trascinata per terra, lo stesso tipo di licheni trovati nel carcere mai inaugurato che si trova a 80 metri dalla caserma dei carabinieri di Arce. Questo importantissimi reperto è stato trovato solo due anni fa. Devo dire che i rilievi fatti in precedenza sono carenti in tutto”.

Possibile che le indagini vadano così a rilento tanto da scoprire tracce importanti con così tanti anni di ritardo?

“Le indagini vanno a rilento perché è coinvolta la caserma dei carabinieri di Arce del periodo in cui Serena è stata soppressa. Ricordiamo la morte misteriosa del brigadiere Tuzi, che aveva dichiarato che Serena la mattina del 1° giugno 2001 bussò alla caserma di Arce, che fu lui ad aprirle l’ingresso, che Serena venne fatta salire nell’appartamento del maresciallo Mottola e che non ne è più uscita almeno finché Tuzi è rimasto in servizio alla portineria, cioè fino alle 14,30. Tuzi doveva confermare quanto già detto e verbalizzato in un confronto col maresciallo Mottola, ma guarda caso è morto prima. Non aveva motivi plausibili per suicidarsi, è più probabile sia stato “suicidato”. I manovali che hanno trasportato il cadavere di Serena a Fonte Cupa sono ancora in giro e rischiano di fare la fine di Tuzi”.

Come mai lei venne invitato a seguire i carabinieri mentre era con altra gente per le esequie di sua figlia? Quell’invito pare un affronto, un modo per metterla pubblicamente in cattiva luce.

“Fu il maresciallo Mottola a organizzare quella scena pubblica mentre ero accanto alla bara di mia figlia, e lo fece per depistare le indagini. Un modo per seminare dubbi e sospetti su di me, il padre della vittima!”.

Il modo con il quale è stato trattato il cadavere di sua figlia a cosa le fa pensare? Vendetta, rappresaglia, violenza sadica o cos’altro?

“Il corpo di Serena è stato confezionato in quel modo seguendo i riti della camorra, per depistare le indagini e allontanarle dal luogo reale dove era accaduto il fatto tragico. Sicuramente qualche camorrista raggiunse Arce in quelle ore, non dimentichiamo che in paese è stata sequestrata nei giorni seguenti la villa di un capocamorra che aveva organizzato feste con carabinieri, assessori del Comune di Arce, il parroco e altri”.

Pare che Serena fosse attiva contro lo spaccio delle droghe nel paese. E’ vero? E può essere stata uccisa da chi aveva interesse a troncare questa attività di Serena?

“Mia figlia ha combattuto contro la droga e ha pagato con la vita questo suo impegno. In caserma c’è andata per denunciare lo spaccio di stupefacenti del figlio del maresciallo Mottola perché già sei o sette ragazzi erano stati uccisi dalle overdose”.

Lei in passato ha puntato il dito contro la locale stazione dei carabinieri. Oggi è rimasto dello stesso parere o i suoi sospetti hanno cambiato direzione?

“Sono sempre della convinzione che Serena è stata soppressa nell’appartamento del maresciallo Mottola. Dell’appartamento è sparita una porta, sicuramente quella contro la quale hanno sbattuto la testa di Serena. Sul pavimento infatti c’è un grosso alone,una macchia, provocata da acido muriatico: quello con il quale è stata cancellata la macchia di sangue di Serena. I morti per overdose sicuramente la droga la prendevano dal figlio dell’allora maresciallo Mottola”.

I mass media hanno seguito con attenzione ed efficacia l’intero caso o si sono limitati al troppo frequente sensazionalismo, spesso anche invasivo?

“I media nazionali hanno dato un grosso apporto alle indagini, alla prosecuzione delle indagini. “Chi l’ha visto?”, “Quarto grado” e altre trasmissioni hanno tenuto vivo il nome di Serena. Se si parla ancora di lei è perché c’è attenzione mediatica. Quando sui media calerà il sipario anche Serena, come tante altre ragazze, sparirà dal ricordo degli italiani”.

Perché lei chiede la riesumazione del cadavere del carabiniere Tuzzi?

“Perché venne seppellito subito senza una vera e prova indagine sui moventi che l’hanno portato al cosiddetto suicidio. Una tesi quella del suicidio, che ormai non è più accettata nemmeno dalla famiglia di Tuzi. Le conclusioni balistiche sono contrastanti, non s’è trovato il proiettile entrato e uscito dal sedile della sua auto dove si afferma che il brigadiere si è sparato. E’ più probabile che sia stato ucciso all’aperto e poi messo a sedere sul sedile”.

Perché non chiede la riesumazione per nuovi accertamenti anche per Serena?

“Non darei l’assenso, perché Serena è stata cinque giorni e cinque notti in mano ai medici legali. Oltre ad avere giustizia, ha diritto anche a riposare in pace”.

Lei subito dopo Natale ha lanciato un appello perché chi sa parli. Crede davvero che questi appelli servano?

“Gli appelli sono per le persone normali, per i vigliacchi credo che cadano nel vuoto. L’appello è rivolto a chi ha aiutato inconsciamente e a chi vuole togliersi dalla coscienza il macigno della corresponsabilità nel tacere”.

Ci sono ancora indagini o si va verso l’archiviazione?

“Ora, a distanza di ben 13 anni, indagano sugli amici di Serena. Il magistrato ha chiesto una proroga. Devono confrontare con quelli trovati i DNA prelevati ai familiari dei tre ragazzi morti per overdose. Non so ancora come finirà. So però che mia figlia non c’è più. E che da 13 anni io e l’altra mia figlia, Consuelo, chiediamo giustizia”.

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Alessandro Avico