Taormina, ex legale di Berlusconi: “Giustizia: qui si bara”

Carlo Taormina, docente universitario e avvocato, ha legato il suo nome a importanti e risonanti processi ed è stato sottosegretario agli Interni in un precedente governo Berlusconi. Ora, a distanza di dieci anni, dice che Berlusconi non sopportava la sua autonomia di giudizio e il fatto di non potergli ordinare l’elaborazioni di leggi ad personam con la disinvoltura padronale che avrebbe voluto, anche se nel caso della legge poi battezzata Cirielli sembra esserci riuscito.

Taormina si è poi dimesso dal governo e è uscito dal partito e di recente ne ha fondato tutto uno: “Lega Italia”, ” per contrastare la Lega Nord che ha corroso il governo diventando forza egemone perché il Pdl è composto da gente senza personalità, un po’ troppo prona agli interessi del padrone del partito”. Questo, secondo Taormina, ha avuto “conseguenze negative anche sull’economia e il Sud, che è diventato la discarica del Nord. Siamo ormai alla “Milano ladrona!”, cioè al “Nord ladrone!” o meglio alla “Padania ladrona!”. Lega Italia vuole essere un partito di centro destra con l’obiettivo di battere due realtà. La prima è lo stravolgimento del bipolarismo operato da Berlusconi, che ha abbattuto troppi paletti della democrazia compreso ormai anche il  Parlamento. Il secondo è strappare alla Lega Nord di Bossi la sua deleteria presa sul governo, ormai fin troppo condizionato dal senatùr Bossi e dai suoi fedelissimi cosiddetti padani”.

Alla osservazione che Giuliano Ferrara va alla Rai per difendere Berlusconi e viene pagato con i soldi di tutti gli italiani, Taormina risponde:

E’ scandaloso, ma ormai Berlusconi comanda su tutto, sa chi deve oscurare e chi invece non deve oscurare. Alla Rai e a Mediaset va solo chi dice lui, per gli altri c’è il pollice verso. E’ lo strapotere rovinoso di Berlusconi, che la sinistra non ha saputo evitare e la Lega usa pro domo sua.

Ferrara dice che anche Merzagora e altri politici avevano i loro vizi, anche sessuali, perciò Berlusconi ha diritto ad avere i suoi.

– E che c’entra? Quelle erano cose che restavano in ambito privato, non sfociavano nella ricattabilità, non influenzavano il governo e tanto meno l’intero parlamento fino a minarlo. Quello di Berlusconi è invece esibizionismo e patologia grave, politicamente pericolosa. Ricordiamo che di patologia ha parlato per prima sua moglie, scandalizzata perché il sultano le sue favorite voleva candidarle alle elezioni per spalmarle sui vari organi di rappresentanza politica e amministrativa, dal parlamento europeo a quello italiano, dalle Regioni ai Comuni.

Taormina è molto critico dei suoi successori alla difesa di Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, parlamentari eletti e pagati con danaro pubblico per fare i parlamentari, cioè gli interessi di tutti gli italiani, ma impegnatissimi a fare gli avvocati difensori del loro cliente Berlusconi, mentre fa un distinguo rispetto al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, dicendo:

– Alla lunga anche Alfano non ne potrà più delle pretese di Berlusconi e “sferrerà una zampata”. Anche perché Alfano viene da una famiglia di ottimo lignaggio professionale, ha perciò anche un nome e una tradizione da difendere. Sono convinto che prima o poi sbotterà”.

Taormina è poi ovviamente critico della “riforma della Giustizia”, riforma addirittura “costituzionale”, annunciata dal capo del governo. Berlusconi nega di volerla perché è influenzato dai suoi processi, compreso quello per la frequentazione con una prostituta minorenne nota come Ruby, ma Taormina è secco: “Ma non è così! E’ influenzato eccome, anzi ne è condizionato”.

Parliamo ora della riforma “epocale”.

– E’ la più epocale delle leggi ad personam e vi spiego perché. I tempi della riforma costituzionale non ci sono né esistono possibilità di intesa con le opposizioni che contano per raggiungere i due terzi che consentirebbero al Parlamento di varare le modifiche alla Costituzione senza passare per il referendum popolare. Sorprende, ma non tanto, la affermazione del guardasigilli Alfano quando rileva che, se non si dovesse arrivare alla riforma prima delle elezioni, significherebbe che la campagna elettorale del 2013 verrebbe effettuata denunziando agli elettori chi non abbia voluto che la riforma venisse approvata. Questo significa che obiettivo del governo non è quello di fare la riforma della giustizia ma di predisporsi uno strumento per vincere la prossima campagna elettorale per le “politiche”. E che si tratti della più epocale delle leggi ad personam è dimostrato proprio dalla impossibilità tecnica che la riforma costituzionale della Giustizia giunga in porto. Berlusconi vuole brandire l’arma della riforma con due finalità. Anzitutto, come ha cercato di fare con il processo breve, per spaventare l’avversario onde ottenere un salvacondotto giudiziario sullo schema di un ennesimo “Lodo Alfano” o di un “legittimo impedimento”, che l’opposizione a questo punto accorderebbe in cambio di un mero rallentamento dei lavori parlamentari sulla riforma della giustizia che basterebbe e avanzerebbe per non farla più. Insomma una sorta di strumento assai efficace tra la pressione e le trattative. In secondo luogo, l’arma della riforma della Giustizia potrebbe valere, in caso di condanna al “processo Ruby”, come alibi per dire in campagna elettorale che il Tribunale di Milano lo abbia condannato per punirlo per aver fatto la riforma della Giustizia.

Si parla di trattative per concedere a Berlusconi un salvacondotto in cambio delle sue dimissioni da primo ministro.

– Beh, in effetti verrebbe da consigliare alle opposizioni di cedere alla richiesta di un salvacondotto giudiziario a favore di Berlusconi piuttosto che, facendo un ragionamento cinico come spesso impone la politica, permettere di massacrare lo Stato e la nostra Costituzione, nata sul sangue della Resistenza ed assolutamente attuale, per quanto riguarda la Giustizia.

Scusi, ma il PdL continua a ripetere che questa riforma serve per far funzionare la macchina della Giustizia.

– La riforma costituzionale della Giustizia non servirebbe a rispondere alle esigenze di funzionamento della macchina giudiziaria in termini di ragionevole durata dei processi civili e penali e di giustizia delle decisioni perché nulla è previsto per modificare, sotto questi profili, codici processuali civili e penali. Non solo, ma l’inoltrarsi in una riforma Costituzionale della Giustizia, significa paralizzare qualsiasi effettivo intervento legislativo sui codici processuali, con la giustificazione che occorra attendere il tipo di riforma costituzionale con la quale si dovrebbero far i conti.

Inoltre, non si può costruire prima il tetto della casa e poi le sue fondamenta. L’organizzazione della magistratura sarà di un certo tipo o di un altro solo quando si sia a conoscenza delle modalità di disciplina dei processi. Fare un percorso inverso è un errore di metodo. Prima bisogna dare ai cittadini quel tipo di processo che risponda alle loro esigenze, poi delineare l’organizzazione della magistratura. Se, ad esempio, il pubblico ministero dovesse diventare l’avvocato dell’accusa, non avrebbe più senso parlare di separazione delle carriere a livello costituzionale, come, se, in ipotesi, i giudici fossero tutti scelti tra i comuni cittadini, ancora una volta non vi sarebbe bisogno di inserire in Costituzione la separazione delle carriere, perché nell’uno e nell’altro caso la separazione sarebbe insita nella scelta dei soggetti e nelle funzioni ad essi attribuite.

Ma perché è stata scelta la via della riforma cosituzionale anziché la via delle leggi ordinarie?

– In effetti, non c’è assolutamente bisogno di riforma della Costituzione per nessuno dei temi annunciati come oggetto del “progetto Alfano”. A parte le cose assolutamente incondivisibili sul piano tecnico, tutto può essere fatto con legge ordinaria e, se così si facesse, allora la riforma della giustizia si farebbe, mentre l’aver scelto la via della riforma costituzionale dimostra, non tanto una incompetenza, ma la volontà vera quando recondita di non fare nulla per l’ennesima volta.

Neppure per la separazione delle carriere?

– E’ falso che la separazione delle carriere debba farsi con riforma costituzionale e Alfano, pur se a denti stretti, l’ha dovuto riconoscere. La Costituzione, come da tempo osservato da non pochi studiosi, prevede, all’ultimo comma dell’art. 107, che il pubblico ministero sia disciplinato dalle norme di Ordinamento Giudiziario anche dal punto di vista delle garanzie. Questo significa che lo status e le garanzie previste in Costituzione riguardano solo i giudici, mentre spetta alla legge ordinaria scegliere le garanzie per il pubblico ministero e questo può comportare, non solo, ad esempio, che siano inamovibili solo i giudici, ma anche la possibilità della esistenza di un rapporto di gerarchia nella organizzazione del pubblico ministero, assolutamente incompatibile rispetto al giudice. Dunque, con legge ordinaria di ordinamento giudiziario, si può costruire una perfetta e buona separazione delle carriere.

Berlusconi vuole due diversi Consigli Superiori della Magistratura, uno per i pubblici ministeri e uno per gli altri magistrati.

– La istituzione di due C.S.M è una follia giuridica! Intanto se dovessero essere due, non potrebbero essere “superiori” entrambi. Ma a parte questa piccola improprietà, non è comprensibile come al vertice del potere giudiziario, perchè di questo si tratta secondo Montesquieu, non debba esistere un organo che rappresenti tutti gli appartenenti a quel potere, giudici e pubblici ministeri, posto che gli altri due potere dello Stato, legislativo ed esecutivo, hanno questo vertice, rispettivamente, nel Parlamento e nel Governo. A parte il fatto che con una modifica del genere, si rafforzerebbe fortemente l’anarchia e il potere dei pubblici ministeri, agevolmente capaci di tradurre una simile riforma in una fonte di costituzione di una casta inafferrabile.

Non sembra anche a lei che la volontà di rendere i magistrati responsabili anche in solido delle loro sentenze sia una pesante intimidazione dell’imputato Silvio Berlusconi?

– L’idea dell’Alta Corte di Giustizia per l’accertamento delle responsabilità dei magistrati è buona e se ne parla da tempo. Ma il medesimo risultato può ottenersi, con legge ordinaria, isolando di volta in volta, dal CSM eletto, i componenti che per il quadriennio saranno i giudici della sezione disciplinare, escludendo che possano esercitare altre funzioni e prevedendo, ad esempio, che la maggioranza dei giudici sia composta da membri eletti dal Parlamento. La responsabilità personale dei magistrati, poi, non casualmente introdotta nel nostro ordinamento con leggi ordinarie, può sicuramente essere modificata prevedendo il diretto obbligo risarcitorio in testa al giudice o al pubblico ministero che abbia sbagliato, posto che esiste un art. 28 della Costituzione, che dispone per tutti i funzionari e i dipendenti dello Stato, non essendo discutibile che tali siano pubblico ministero e giudici. Una legge ordinaria che andasse, dunque, in questa direzione, si limiterebbe ad attuare un principio costituzionale vigente ed anzi potrebbe, sempre con legge ordinaria, eliminarsi un’altra inquietante caratteristica del nostro sistema.

Oggi le cause penali e civili contro i giudici e i pubblici ministeri sono trattate e decise da altri giudici e da altri pubblici ministeri. Nulla si opporrebbe , dall’angolo visuale della Costituzione, acché la Sezione disciplinare del CSM, costituita e composta come organo che assolva alla sola funzione giurisdizionale sia individuata anche come l’organo di giustizia civile o penale quando sia coinvolto un giudice o un pubblico ministero. Opportune modulazioni potrebbero essere agevolmente costruite per garantire la impugnazione delle sentenze anche oltre il ricorso per cassazione.

In Francia il governo mi pare abbia potere di indirizzo sulle linee guida che stabiliscono quali sono le priorità dei reati da perseguire. Ora questo potere Berlusconi lo vuole anche per il governo italiano.

– Sul piano tecnico, è una contraddizione in termini affermare il principio di obbligatorietà dell’azione penale ed al tempo stesso ammettere che il Parlamento possa dire quali processi fare prioritariamente in un determinato anno. E’ vero che con la norma costituzionale tutto si può fare ma non deve ignorarsi, anzitutto la decenza, ma anche il fatto che esistono principi della Costituzione Repubblicana, la cui modificazione avrebbe un carattere eversivo, tale che la Corte Costituzionale potrebbe censurare comparando detti principi con quanto contenuto in una norma di modifica costituzionale. L’obbligatorietà dell’azione penale è il rovescio della medaglia del principio di eguaglianza e nessuno può negare che comprimere il principio di uguaglianza significherebbe fare un atto di eversione. La stessa cosa vale per il principio di obbligatorietà dell’azione penale. A ciò deve aggiungersi che attribuire al Parlamento il potere di dare le priorità con una legge, che sarebbe solo formale perchè attendere a questa operazione ogni anno significherebbe emanare un atto sostanzialmente amministrativo, comporterebbe anche un problema di assoggettamento del potere giudiziario ad un altro potere non sostanzialmente legislativo e quindi contro il principio della separazione dei poteri. Senza contare che queste priorità non potrebbero che essere dettate considerando la particolarità dei territori. Al Sud la priorità sarebbe la criminalità organizzata, al Nord la criminalità economica, ma ciò dimostra, appunto, che l’intervento del Parlamento sarebbe in realtà di carattere sostanzialmente amministrativo camuffato da atto legislativo. E senza contare, ancora una volta, che regole organizzative e dell’esercizio dell’azione penale potrebbero ben essere approntate con legge ordinaria, realmente, però, generale ed astratta.

Non solo si vuole privilegiare nella scadenza termini chi è incensurato, modo surrettizio per impedire la celebrazione dei processi a carico dell’attuale capo del governo, ma si vuole anche impedire ai pubblici ministeri di impugnare le sentenze di assoluzione. Che ne pensa?

– Che è semplicemente inaccettabile. Come già ha detto la Corte Costituzionale, impedire al pubblico ministero di impugnare la sentenza di assoluzione di primo grado è inaccettabile. Le regole del giusto processo passano per la parità delle parti e delle armi e non si comprende come una riforma che vuole la separazione delle carriere per attuare detta parità, possa poi giungere ad aberrazioni di questo genere. Anche qui il Governo intende superare la declaratoria di incostituzionalità già adottata dalla Corte Costituzionale con l’imposizione del contenuto dispositivo della norma abrogata attraverso la Costituzione ed è, questa, una forma di violenza assolutamente inconcepibile giacchè, tra l’altro, si stabilirebbe una contraddizione tra l’artt. 111 della Costituzione sul giusto processo e la norma che si immagina di introdurre.

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Marco Benedetto