ROMA – Nuova Rai di Renzi: spot su una sola rete, meno canone. Ma silenzio su Mediaset. Almeno la questione del taglio da 150 milioni di euro e la messa in vendita di Rai Way (i trasmettitori) si risolverà mercoledì prossimo con l’approvazione del dl Irpef che sancisce il dirottamento delle risorse (il Tesoro ha già trattenuto i 150 mln).
Sciopero (era stato convocato per lo stesso giorno) o non sciopero, visto che lo capirebbero solo a Viale Mazzini e dintorni. Solo una settimana dopo, il cda Rai, per ora prudente e allineato, potrebbe avviare un contenzioso fondato, perché, in effetti, il canone è una tassa di scopo e lo “scippo” di una sua parte da destinare ad altro, sia pur per ragioni di finanza pubblica, ne viola il principio.
Quanto vale Rai Way. La posizione drastica di Renzi è chiara: dovete tagliare 150 milioni (anzi me si sono già presi), potete tagliare sprechi e inutili e costosi duplicati (vedi le sedi regionali) oppure mettere subito in vendita i trasmettitori che valgono 170 milioni. I contrari in Rai, anche i ben disposti alla spending review interna, contestano il pessimo affare: se si attendesse una valutazione di Rai Way in vista di una sua collocazione in Borsa, i ricavi come minimo decuplicherebbero. Ma appunto bisognerebbe togliersi dalla testa l’idea di far cassa immediatamente.
A questo proposito, va detto che il danno (in termini di valorizzazione dei 23 mila trasmettitori) è stato già fatto 14 anni fa quando la Rai rifiutò di cedere una quota significativa agli americani di Crowne Castel per 800 miliardi di lire: il ritorno economico si sarebbe contato in centinaia di milioni di euro annuali per l’ottimo posizionamento nel mercato della telefonia, in quel momento al passaggio epocale. Allora, ad opporsi alla parziale vendita, fu Berlusconi, cui conveniva il mantenimento dello status quo televisivo.
Oggi, invece, il giocattolo Rai Way servirebbe a rafforzarlo Silvio Berlusconi perché, allora, la trattativa era con gli americani, oggi la società potrebbe acquistarla Mediaset o un’azienda della galassia, e dunque toglierebbe alla Rai il monopolio del segnale. Questo vorrebbe dire avere la produzione tv e non la trasmissione del segnale. Praticamente un puzzle che non può essere riempito. (Emiliano Liuzzi, Il Fatto Quotidiano)
Il piano Rai dei saggi convocati da Renzi. La questione tagli, dicevamo, ha una scadenza corta: ma per la fine del 2014 Matteo Renzi immagina (e per questo ha convocato una commissione informale di saggi che lavora con il sottosegretario Giacomelli) un riassetto complessivo del servizio pubblico: in agenda c’è la riforma del canone, il rinnovo della concessione che scade nel 2016. Il canone, questa l’idea per avvicinare la nostra maggiore azienda culturale (un colosso da 2 miliardi entroiti l’anno) agli standard delle tv pubbliche dei maggiori paesi europei, deve servire a finanziare due reti di servizio pubblico puro. Una terza rete si finanzierà con la pubblicità, elevando l’attuale limite di concentrazione pubblicitaria riservata alla Rai dal 12% al 18% di ogni ora.
Una Rai senza spot. Senza la pubblicità, la Rai dove attingerà le risorse per finanziarsi? Perché, è evidente, un ridimensionamento ci sarà (può incidere sulla dotazione di personale, dunque licenziamenti, o sul prodotto, quindi su programmi meno appetibili). I saggi hanno prefigurato una bozza di riforma del canone che diventerà una tassa progressiva.
A ottobre il governo Renzi varerà la riforma del canone, che sarà a importo variabile perché collegato alla capacità di spesa delle famiglie. L’evasione – si spera – sarà ridimensionata. Non solo. Ogni anno lo Stato garantirà un assegno alla sua televisione, un contributo diretto alle attività di servizio pubblico come quello che si è imposto in Europa. In Francia, i canali statali non trasmettono spot dalle ore 20 alle 6 del mattino, e dovranno tagliarli del tutto dal gennaio 2016. Come compensazione, lo Stato assicura un suo assegno, finanziato da un tassa sulle imprese che fanno pubblicità in tv e da una seconda tassa. Questa – pari allo 0,9% del fatturato degli operatori di tlc – viene contestata dall’Ue (fin dal 2010). (Aldo Fontanarosa, La Repubblica)
I tagli possibili, il silenzio su Mediaset. Di risparmio in risparmio alla Rai, l’unico beneficiario in solido negli ultimi vent’anni è stato il concorrente storico, Mediaset. Quando Ettore Bernabei, ultimo propugnatore di una Rai aggressiva e competitiva, staccava assegni pesanti ai big tv procacciatori di ascolti, la tv di Berlusconi subì il colpo. Risparmiare in Rai si può e si deve, ma è un fatto che ogni arretramento negli investimenti ha coinciso con un vantaggio corrispondente per l’unico concorrente del duopolio.
Appalti e sedi regionali. Se si vuole allentare la morsa dei partiti come tutti si affannano a denunciare, per ragioni di bassa clientela o di controllo di destinazione dei lavori (leggi a amici e sodali), basterebbe far lavorare i dipendenti interni e farla finita con gli appalti esterni per i quali la Rai continua a spendere un miliardo e trecento milioni (a fronte di migliaia di dipendenti). Sulle sedi regionali (a che serve quella di San Marino?) vale l’esperienza di Loris Mazzetti, autore di Che tempo che fa e di Glob.
Alla sola sede di Bologna ogni giorno vengono dati in appalto dai 4 ai sette servizi al giorno per un totale di un milione di euro; la produzione dei giornalisti è di due, tre minuti e, soprattutto, non producono più niente. (Emiliano Liuzzi, Il Fatto Quotidiano)
Via la legge Gasparri. Il riassetto non può che procedere (come in effetti stanno studiando i saggi) dalla cancellazione della Legge Gasparri che, aumentando a dismisura la torta sulla quale è previsto il tetto massimo del 20% di quota pubblicitaria per ogni soggetto televisivo, ha vanificato il tentativo di ridimensionare il gigantismo di Rai e Mediaset. Tanto è vero che servì solo a impedire che Rai Tre e Rete Quattro finissero sul satellite come imponeva l’Europa e come suggeriva una sana gestione dell’affollamento pubblicitario a garanzia della pluralità dell’offerta. E cioè, stante il dupolio, se rimpicciolisci uno, devi ridimensionare anche l’altro. Non si scappa. Sempre che si voglia un vero servizio pubblico e un mercato della pubblicità più aperto e che magari torni a sorridere anche all’editoria di carta, cannibalizzata dalla tv.