Nel 2010 il tasso medio di rendimento dei bond bancari è stato del 2,8. Oggi le stime più ottimistiche parlano per il 2011 del 3,1 ma già sono arrivati sul mercato titoli di aziende di credito con interessi che sfiorano addirittura il sette per cento (corporate bond), naturalmente per scadenze sopra i cinque-sei anni e per investimenti non inferiori ai 50 mila euro. Del resto circolano ormai Btp che offrono più del cinque per cento (e le garanzie del debito sovrano). Le banche si trovano quindi ad affrontare una situazione difficile, sia perché i risparmiatori non hanno certo ancora dimenticato gli shock degli ultimi anni e quindi possono essere più restii all’acquisto di questo tipo di titoli (negli ultimi tempi, ad esempio, si nota un certo ritorno all’azionario), sia per il maggior costo della raccolta. In più piove sul bagnato: la raccolta in Italia ha già mediamente un costo particolarmente elevato anche perché il rapporto fra prestiti e depositi è più alto che negli altri paesi più sviluppati, quindi la raccolta tramite bond svolge un ruolo più significativo.
La montagna di bond bancari – circa 650 miliardi, vale a dire, secondo le stime, tra il 10 e il 13 per cento della ricchezza finanziaria delle famiglie – è cresciuta anche per altri motivi. Le obbligazioni sono state emesse, più che per sostenere investimenti atti a migliorare la competitività del sistema, per finanziare acquisizioni e aumentare le dimensioni degli istituti: non sempre (o raramente) questo ha coinciso con incrementi dell’efficienza, più spesso ha portato alcune banche a raggiungere il livello dimensionale cosiddetto del “too big to fail” (troppo grandi perché si possano lasciare fallire), una sorta di “insicura assicurazione” sulla vita ma anche un aumento della rigidità e della debolezza del sistema.
Per completare il quadro, anche se indubbiamente si tratta di problemi non altrettanto rilevanti di quelli fin qui ricordati, occorre aggiungere che, secondo le valutazioni dei banchieri, negli ultimi quattro anni gli istituti italiani si sono trovati a dover fronteggiare una pioggia di circa 300 nuove norme “di sicurezza”, concernenti temi quali la trasparenza, la lotta all’usura o la portabilità dei mutui, emanate dalla Banca d’Italia piuttosto che dalla Ue o dallo Stato, che hanno inciso, difficile stabilire quanto, sui costi di gestione di un sistema bancario già assai dispendioso.
Si rammenti inoltre che negli ultimi mesi l’Associazione bancaria italiana ha sottoscritto accordi per prorogare la moratoria sui debiti delle piccole e medie imprese e per sospendere per qualche tempo il pagamento sulle rate dei mutui da parte delle famiglie in difficoltà. Misure tampone che hanno un costo per il sistema bancario ma servono anche a “coprire” una realtà diffusa di crediti di dubbia esigibilità. Per quanto tempo potranno funzionare questi “rinvii”? Inevitabile tornare a quanto si ricordava all’inizio: moltissimo dipenderà dai chiari di luna del ciclo economico. Se ripresa ci sarà e sostanziosa, ma i dubbi sono molti, i “rinvii” si riveleranno una tattica di successo. Altrimenti il rischio è che tanti crediti “incagliati” divengano definitivamente inesigibili. E per il sistema bancario saranno guai.
