Quanto alle banche italiane, esse sono esposte in misura abbastanza limitata al rischio Grecia (le due maggiori, ad esempio, Intesa e Unicredit, detengono rispettivamente 501 e 404 milioni di bond ellenici). Questa situazione ha prodotto, negli scorsi mesi e settimane, una pioggia di dichiarazioni più che ottimistiche sulla salute del sistema bancario nostrano, in quanto poco esposto al contagio greco. Ma non solo: le aziende di credito italiane, aggiungevano diversi commentatori, sono più solide di molte concorrenti europee anche perché sono maggiormente capitalizzate e in generale sono abbastanza vicine ai requisiti patrimoniali indicati dagli accordi di Basilea.
Ora, dopo il recente Consiglio brussellese, scopriamo che, secondo le stime dell’Eba (European Banking Authorithy), le banche tedesche nei prossimi mesi debbono procedere ad aumenti di capitale per cinque miliardi, quelle francesi per nove e quelle della Penisola per 14,7! Possiamo consolarci pensando che gli istituti spagnoli dovranno raccogliere 26 miliardi e quelli greci una trentina, ma è una magra consolazione. Come mai le magnifiche sorti del sistema bancario del Bel Paese non sono più tali? Come mai viene chiamato a una ricapitalizzazione così impegnativa un sistema che, oltretutto, in numerosissimi casi ha già provveduto a impegnativi aumenti di capitale? Le stime dell’Unione europea (i già citati 106 miliardi di ricapitalizzazioni, comunque poco più della metà di quanto è stato invece calcolato dal Fondo monetario internazionale così come dal Credit Suisse) tengono conto di un fattore che fin qui l’Italia pensava di poter dribblare: i titoli del debito sovrano dei paesi in difficoltà detenuti dalle banche non potranno più essere calcolati, agli effetti del coefficiente patrimoniale “core tier one”, sulla base dei prezzi di carico, come per lo più è stato fatto fin qui, a parte alcune previdenti svalutazioni per quelli greci, ma peseranno invece sui conti in base al prezzo di mercato, in genere molto più basso di quello di acquisto. In questo nuovo contesto i dolori non vengono più solamente da quel po’ di bond greci in pancia alle banche. Conta molto di più il malloppo ben più consistente dei titoli dei Piigs in genere. In particolare, le banche italiane detengono una montagna di titoli pubblici italici, circa 200 miliardi di Btp e simili (147 solo le prime cinque banche), proporzionata alla montagna del debito sovrano (oltre 1.500 miliardi in titoli).
E’ vero che i prezzi di mercato di questi bond non sono ai livelli di quelli greci e neppure dei portoghesi, ma è altresì evidente che una perdita tra il cinque e il dieci per cento del loro valore di mercato ha effetti assai più consistenti sui bilanci e sul patrimonio delle banche nostrane del dimezzamento dei titoli greci. L’intesa del Consiglio europeo sulla ricapitalizzazione delle banche che, oltre alla svalutazione dei titoli dei debiti sovrani dei paesi “periferici”, stabilisce anche un innalzamento cel “core tier one” al nove per cento entro giugno 2012, comporterà quindi nei prossimi mesi prevedibili difficoltà per molti istituti italiani. L’accordo di Bruxelles prevede che la ricapitalizzazione sia realizzata innanzitutto con capitali privati, dei vecchi soci o di nuovi “acquisti”.
