La Germania e l’euro: non è tutta colpa di Angela Merkel

ROMA – E’ quasi un nuovo gioco di società. Nei salotti buoni qualcuno abbozza: “Certo che le odierne leadership politiche del Vecchio continente sono inadeguate, evasive, assenti”. Qualcuno glossa: “Vuoi mettere De Gaulle con Sarkozy o De Gasperi con il Berlusca?”. Un altro ancora incalza e arriva al dunque: “Che abisso fra Kohl e la Merkel!”. Il cancelliere tedesco, vero obiettivo di queste chiacchiere, tentenna di fronte alla crisi economica, paragona l’Italia alla Grecia, lesina gli aiuti fraterni agli altri membri dell’eurozona, fa la faccia feroce, invoca maggiore disciplina di bilancio dagli altri partner e minaccia default per i reprobi, salvo poi allargare in extremis i cordoni della borsa.

Ma è soprattutto il suo comportamento ondivago a giustificare le nostre critiche? In realtà poco ci cale che la politica di Frau Merkel sia oscillante. Assai di più vorremmo che non ci facesse pesare i suoi richiami all’ordine, al modello tedesco, e dettasse invece alla Germania una nuova stagione di convinto europeismo, di generosa e concreta solidarietà con i paesi maggiormente in crisi (tra cui il nostro), aderendo senza batter ciglio, o quasi, ai vari fondi di soccorso e ai loro rifinanziamenti. Così leggiamo anche l’ultima sconfitta elettorale della Cdu, nel Meclemburgo-Pomerania anteriore, dove fra l’altro la Cancelliera ha il suo collegio elettorale, come una giusta e sacrosanta “lezione” per le sue esitazioni, per il poco coraggio da statista “europeista” che ha dimostrato in questi anni e soprattutto negli ultimi mesi di crisi, dalla tragedia greca a quelle annunciate degli altri Piigs.

Errore, grave errore. Che Angela non abbia dimostrato un cuor da leone, è indubbio. Che la sua fede europea non sia altrettanto comprovata di quella di Kohl, è assai probabile. Ma che avrebbe potuto fare diversamente da quel che ha fatto, questo resta tutto da dimostrare. “L’euro fa bene alla Germania ma non alla Merkel”: s’intitolava così, nel maggio scorso, un articolo dell’economista Marcello De Cecco per “Affari & Finanza” di “Repubblica”. Perché l’euro faccia bene alla Germania è presto detto: l’economia di questo paese è trainata dalle esportazioni e la partecipazione, da partner “forte” che aumenta la sua produttività più rapidamente degli altri, a un’area a moneta unica come l’eurozona mette a disposizione un sicuro e vasto mercato di sbocco per i prodotti tedeschi (il recente rallentamento verificatosi anche per l’economia di Berlino dipende dalla crisi generale e anche dalla riduzione dei tassi di sviluppo di Cina e Usa, altri due grandi mercati per le merci tedesche: la Germania esporta in Cina quasi il 50 per cento del complessivo export verso il Dragone dei 27 paesi Ue).

Perché l’euro faccia invece male alla Merkel, come dimostrano cinque tornate elettorali su sei dei länder nell’ultimo anno, è invece meno immediatamente percepibile. La partecipazione alla moneta comune impone a Berlino vincoli di solidarietà e obblighi. Ma tali interventi di soccorso – che possono assumere le più varie forme, dal finanziamento ai fondi di stabilità agli acquisti, da parte della Bce, di titoli dei paesi deboli sul mercato aperto -, in mancanza dei quali l’euro sarebbe già defunto, vengono letti dalla grande maggioranza dei cittadini tedeschi come donazioni di sangue germanico ai paesi mediterranei, per giunta donazioni diseducative perché incentivano il “moral hasard” della finanza allegra.

Un recente studio di Ulrike Guérot e Mark Leonard, dell’European Council on Foreign Relations, ricorda che a suo tempo i concittadini della Merkel erano per l’80 per cento contrari all’introduzione dell’euro ma alla fine l’hanno a malincuore accettata come un ragionevole scambio per rendere più digeribile la “Deutsche Wiedervereinigung”, la riunificazione tedesca che aveva creato un colosso nel bel mezzo del Vecchio continente e contribuito a rompere, assieme alla crisi economica, l’equilibrio precedente basato sull’asse franco-tedesco, dove la Germania era gigante economico ma nano politico e la Francia potente politicamente ma debole economicamente. Oggi, un decennio più tardi, il 63 per cento dei tedeschi ha poca o nulla fiducia nell’Unione europea e per il 53 per cento essa non rappresenta il futuro.

La Germania, insomma, è probabilmente il più euroscettico paese dei 27 membri Ue, fatta eccezione, forse, per Finlandia e Ungheria. “Crescentemente”, notano i due studiosi citati, “l’Europa è vista come un problema per la Germania piuttosto che come la soluzione per i problemi tedeschi”. E aggiungono: “La crisi dell’euro ha provocato un’ondata di risentimento per i costi che si percepisce siano richiesti in pagamento alla Germania per gli altri… Mentre molti europei desiderano che la Germania salvi l’Europa, molti tedeschi ora vorrebbero essere salvati dall’Europa”.

Miopi egoisti, questi germanici, attenti solo al loro immediato particulare e privi di quel sentire europeo di cui invece noi italiani saremmo dotatissimi? O piuttosto giustamente orgogliosi di aver riassorbito gli ingenti oneri e scossoni della riunificazione e di essere riusciti, negli ultimi dieci anni, ad accumulare guadagni di produttività che li hanno riportati alla indiscussa leadership economica in Europa malgrado il “fardello” della ex Ddr. E orgogliosi pure di aver fatto tutto ciò con un debito pubblico molto inferiore a quello italiano. Come spiegare loro che il lavoratore italiano (per non parlare delle lavoratrici) si può permettere di andare in pensione qualche anno prima di quello di Wolfsburg? O che il politico italiano può continuare a mettersi in tasca uno stipendio doppio di quello tedesco, a partire dai rispettivi premier? O che la Germania dovrebbe accettare un nuovo forte aumento del fondo paracadute Efsf anche a rischio di perdete la sua tripla A di rating? E l’elenco di cose “inspiegabili”, a un orecchio tedesco, potrebbe continuare a lungo.

Frau Merkel si trova dunque a navigare tra Scilla e Cariddi. Con un occhio deve guardare e possibilmente salvaguardare l’interesse tedesco a conservarsi un mercato di sbocco per le sue merci importante come l’Unione: se ci fosse ancora (o se ritornasse) il buon vecchio marco, Angela sa bene che avrebbe subito negli ultimi tempi importanti rivalutazioni, tali da mettere in discussione le quote di esportazioni germaniche non solo in Europa ma anche verso Usa e Cina. Con il medesimo occhio deve sorvegliare l’esposizione delle banche del suo paese verso gli altri membri Ue: è stato stimato che nel complesso si tratti di 1.400 miliardi di euro, una consistente parte dei quali nei confronti dei paesi a rischio, i Piigs (solo verso l’Italia sarebbero quasi 120 miliardi). Il collasso di questi ultimi comporterebbe problemi di non poco conto per lo stesso sistema bancario e finanziario targato Deutschland. Inoltre deve mettere nel conto, fra gli “attivi”, il fatto che il vero e proprio accaparramento di bund tedeschi in corso da tempo ha implicato un abbassamento drastico dei tassi di interesse pagati e quindi un forte alleggerimento del servizio del debito tedesco.

Con il secondo occhio la Cancelliera deve monitorare il polso dei suoi concittadini, altrimenti rischia, ancor più di quanto appaia possibile già oggi, di perdere la poltrona fra meno di due anni. In questo mare procelloso, quello che sembra strabismo della Merkel, incapacità di decidere, scarso impegno europeistico, altro non è che un comportamento in larga misura dettato dalle circostanze, con piccoli margini di libero arbitrio. Morale della favola: chiediamo pure alla Germania qualche correzione a una “linea” troppo dura, ben sapendo, però, che dalla presente, deprecabilissima situazione non si può uscire con il salvagente berlinese ma solo rimboccandoci le maniche per convergere verso Berlino sui conti pubblici e per mandare a spasso non la Merkel ma qualcuno a noi assai più vicino.

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Warsamé Dini Casali