Dovremmo quindi rassegnarci, in questa situazione, a ulteriori spremiture per pagare un debito costosissimo mentre la Germania può finanziare il suo a tassi inferiori a quelli dell’inflazione, con il fattivo concorso di investitori italiani e di altri paesi in difficoltà ? Credo si possa percorrere un’altra strada, oltretutto limitando al massimo l’imposizione di nuove tasse. La via è quella di imporre, a chi è in determinate condizioni patrimoniali e/o reddituali, l’acquisto di debito pubblico italiano, in altre parole quella di un massiccio prestito forzoso. Una proposta del genere è stata avanzata un paio di mesi fa da Jean Paul Fitoussi e Gabriele Galateri di Genola.
Dobbiamo essere consapevoli che le tensioni sui titoli pubblici italiani derivano più da problemi di liquidità che da problemi di solvibilità , che cioè gli indicatori fondamentali del nostro paese rivelano una capacità di fondo a far fronte al pur ingentissimo debito, beninteso a tassi ragionevoli, ma che la zoppicante costruzione su cui si basa l’euro, senza una banca centrale in grado di concedere liquidità illimitata in particolari frangenti, sembra fatta apposta per alimentare speculazione e panico fra gli investitori.
Acquistare, per amore o per forza, titoli italiani ridurrebbe questa debolezza strutturale del sistema finanziario europeo e, oltretutto, potrebbe persino non rivelarsi un cattivo affare. Un prestito forzoso eleverebbe il “cover ratio”, cioè il rapporto tra titoli pubblici richiesti e offerti, favorendo il contenimento dei tassi e la riduzione dello spread.
Se un terzo delle esigenze di rifinanziamento del debito pubblico da oggi a tutto il 2012 (circa cento miliardi) fossero soddisfatte da un prestito forzoso al tre per cento, un tasso che proteggerebbe dall’inflazione corrente i capitali costretti a sottoscriverlo, lo scenario attuale, non esente da un rischio default, cambierebbe totalmente.
E se l’ambiziosa operazione fosse condotta congiuntamente a serie riforme del sistema previdenziale, a liberalizzazioni e privatizzazioni, a un radicale ripensamento del mercato del lavoro privato e pubblico (flexsecurity), gli investitori obtorto collo alla fine non pagherebbero un euro e comunque assai meno di quanto verrebbe loro a costare una patrimoniale, altrimenti prima o poi inevitabile, o altri giri di vite fiscali.
Quanto alla “base” su cui calcolare il contributo di ciascuno al prestito forzoso, ritengo opportuno che si faccia riferimento sia al patrimonio che al reddito. Si potrebbe cioè stabilire che tutti coloro che hanno un patrimonio superiore, supponiamo, ai 500 mila euro, debbano investire in titoli pubblici l’uno o il due per cento della ricchezza eccedente quella soglia (tra 15 e 30 mila euro per un patrimonio di due milioni di euro).
Inoltre anche coloro che percepiscono annualmente un reddito superiore, supponiamo, ai 60-70 mila euro dovrebbero destinare una percentuale dell’eccedenza a investimento nel debito di Stato. Senza escludere la possibilità di una terapia con effetti ancora più immediati e drastici: prestito forzoso in percentuale dei depositi bancari o in cifra fissa quando si posseggano determinati beni di lusso.
Qualcuno griderà che si tratta di interventi “comunisti”, degni del più bieco socialismo reale. Ma è vero esattamente il contrario: con un’operazione di questo genere si potrebbero salvare al cento per cento i patrimoni della classe media ed evitare nuove raffiche di manovre “lacrime e sangue”, nonché assurde “trasfusioni di sangue” fra un paese con problemi di liquidità e un altro apparentemente più solido. Piuttosto il vero problema è quello di avere un governo con la solidità , l’autorevolezza e la credibilità necessarie per far intendere agli italiani che l’operazione prestito forzoso sarebbe nell’interesse di tutti e non rappresenterebbe l’ennesimo scippo ai danni delle loro tasche.
