Prestito forzoso: comprare i Btp, per legge o per amore

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ROMA – Nella sfortuna di essere incappato in una tremenda crisi economico-finanziaria internazionale, il governo Berlusconi quater ha avuto un grande stellone: nel 2009 e nel 2010 gli interessi che ha dovuto pagare sul debito pubblico sono stati di circa 71-72 miliardi annui, molto meno che negli anni precedenti.

Nel 2011 quell’importo è salito, a causa di un sensibile aumento dei tassi, ma l’anno prossimo, se lo spread (il differenziale d’interesse) rispetto ai bund tedeschi dovesse mantenersi ai livelli odierni o addirittura aumentare (ipotesi tutt’altro che da esludere), vale a dire attestarsi sul cinque per cento o più, il costo complessivo degli interessi sui titoli di Stato italiani potrebbe salire a una novantina di miliardi: quasi 20 più che negli anni scorsi, una decina più del 2011, otto più delle previsioni che si facevano ancora all’inizio dell’estate scorsa sulla base di un rendimento del 4,8 per cento sui titoli decennali.

Sono infatti circa 330 miliardi i titoli che fra oggi e il 2012 dovrebbero venire rinnovati ai nuovi, esosi tassi (ora ci stiamo avvicinando al sette per cento) e il maggior costo della nuova provvista comincerebbe a incidere sul complessivo servizio del debito. Inutile aggiungere che se la situazione dovesse perdurare per qualche anno tutti i nostri titoli pubblici (che hanno una vita media di circa sette anni) sarebbero gravati dai maggiori interessi e la situazione diverrebbe esplosiva.

Ma limitiamoci alla prospettiva, non troppo lontana, di dover spendere l’anno prossimo in interessi 20 miliardi più che nel 2009 e 2010. Si tratta di un importo all’incirca pari a quello di una media legge di stabilità: nuovi tagli alla spesa pubblica e al welfare e nuove tasse basterebbero solo a coprire l’aumento dei costi per piazzare il debito; altri ancora ne servirebbero per raggiungere il pareggio di bilancio promesso nel 2013 e ancor più per avviare un processo di riduzione del debito. Uno scenario apocalittico: a questo ci ha portati l’irresponsabile politica del Caimano. E’ chiaro che nelle prossime settimane e mesi dovrà intensificarsi la discussione – e possibilmente le decisioni – per individuare nuovi i comparti di spesa ridimensionabili e le modalità per conseguire nuove entrate. La velocizzazione dell’eliminazione delle pensioni di anzianità e dell’aumento dell’età di pensionamento femminile, la firma di un accordo con la Svizzera per tassare i capitali italiani esportati in quel paese, qualche forma di patrimoniale: da queste scelte sarà difficile poter continuare a sfuggire.

In questo quadro agghiacciante, nei giorni scorsi un imprenditore toscano, Giuliano Melani, s’è comprato una pagina a pagamento sul “Corriere della sera” per invitare gli italiani che amano il loro paese ad acquistare titoli di Stato, nell’interesse loro oltre che dell’Italia, contrastando in qualche misura le pesanti tendenze all’aumento degli interessi e soprattutto la carenza di compratori, solo in parte e provvisoriamente compensata dagli acquisti della Bce e di altre istituzioni.

Tendenze che, peraltro, sembrano destinate ad accrescersi, anche per le nuove regole che non consentono più alle banche di considerare i titoli italiani “risk free” ma obbligano invece a contabilizzarli ai prezzi di mercato, ciò che indurrà diversi istituti, nostrani e stranieri, ad alleggerire la loro posizione in Btp.

L’appello di Melani ha avuto non pochi riscontri positivi, in primis da parte di alcune importanti aziende di credito che hanno promesso di non applicare commissioni per l’acquisto di titoli pubblici in un apposito “Btp day”. Il “Corriere” sta facendo una campagna sulla benemerita iniziativa e sarebbe opportuno che altre grandi testate percorressero la stessa strada, evitando meschini calcoli di primogenitura e concorrenzialità.

In ogni caso, non ci illudiamo: la scelta volontaria di sottoscrivere Buoni del Tesoro potrà riguardare qualche centinaio o qualche migliaio di italiani, forse qualcuno in più dopo le promesse dimissioni del Cavaliere, ma è assai improbabile che possa incidere in modo determinante sullo spread e sul collocamento del debito.

L’Italia ha livelli di ricchezza privata pro capite e di risparmio superiori a quasi tutti gli altri grandi paesi e anche un patrimonio pubblico cedibile notevole. Inoltre sta conoscendo una crescita delle esportazioni invidiabile, più 28,8 per cento nel secondo trimestre 2011 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ha un rapporto deficit/Pil migliore della maggior parte dei grandi paesi, esclusa Germania e Cina, prevede nel 2012 un avanzo primario pari al 2,6 per cento del Pil contro lo 0,8 della Germania il -2,1 della Francia e il -6,3 degli Stati Uniti.

Come dicono gli economisti, i “fondamentali” italiani sono piuttosto buoni. La grande e ricca Germania da un paio di mesi ha dovuto ridurre le sue previsioni di crescita del Pil (dal 2,9 nel 2011 all’un per cento o allo 0,8 nel 2012) e diversi altri indicatori economici segnalano peggioramenti. Il livello di indebitamento di Berlino (intorno all’85 per cento del Pil ma secondo alcuni commentatori in realtà questo dato andrebbe corretto e supererebbe il cento per cento) è inferiore al nostro ma nient’affatto trascurabile.

Dovremmo quindi rassegnarci, in questa situazione, a ulteriori spremiture per pagare un debito costosissimo mentre la Germania può finanziare il suo a tassi inferiori a quelli dell’inflazione, con il fattivo concorso di investitori italiani e di altri paesi in difficoltà? Credo si possa percorrere un’altra strada, oltretutto limitando al massimo l’imposizione di nuove tasse. La via è quella di imporre, a chi è in determinate condizioni patrimoniali e/o reddituali, l’acquisto di debito pubblico italiano, in altre parole quella di un massiccio prestito forzoso. Una proposta del genere è stata avanzata un paio di mesi fa da Jean Paul Fitoussi e Gabriele Galateri di Genola.

Dobbiamo essere consapevoli che le tensioni sui titoli pubblici italiani derivano più da problemi di liquidità che da problemi di solvibilità, che cioè gli indicatori fondamentali del nostro paese rivelano una capacità di fondo a far fronte al pur ingentissimo debito, beninteso a tassi ragionevoli, ma che la zoppicante costruzione su cui si basa l’euro, senza una banca centrale in grado di concedere liquidità illimitata in particolari frangenti, sembra fatta apposta per alimentare speculazione e panico fra gli investitori.

Acquistare, per amore o per forza, titoli italiani ridurrebbe questa debolezza strutturale del sistema finanziario europeo e, oltretutto, potrebbe persino non rivelarsi un cattivo affare. Un prestito forzoso eleverebbe il “cover ratio”, cioè il rapporto tra titoli pubblici richiesti e offerti, favorendo il contenimento dei tassi e la riduzione dello spread.

Se un terzo delle esigenze di rifinanziamento del debito pubblico da oggi a tutto il 2012 (circa cento miliardi) fossero soddisfatte da un prestito forzoso al tre per cento, un tasso che proteggerebbe dall’inflazione corrente i capitali costretti a sottoscriverlo, lo scenario attuale, non esente da un rischio default, cambierebbe totalmente.

E se l’ambiziosa operazione fosse condotta congiuntamente a serie riforme del sistema previdenziale, a liberalizzazioni e privatizzazioni, a un radicale ripensamento del mercato del lavoro privato e pubblico (flexsecurity), gli investitori obtorto collo alla fine non pagherebbero un euro e comunque assai meno di quanto verrebbe loro a costare una patrimoniale, altrimenti prima o poi inevitabile, o altri giri di vite fiscali.

Quanto alla “base” su cui calcolare il contributo di ciascuno al prestito forzoso, ritengo opportuno che si faccia riferimento sia al patrimonio che al reddito. Si potrebbe cioè stabilire che tutti coloro che hanno un patrimonio superiore, supponiamo, ai 500 mila euro, debbano investire in titoli pubblici l’uno o il due per cento della ricchezza eccedente quella soglia (tra 15 e 30 mila euro per un patrimonio di due milioni di euro).

Inoltre anche coloro che percepiscono annualmente un reddito superiore, supponiamo, ai 60-70 mila euro dovrebbero destinare una percentuale dell’eccedenza a investimento nel debito di Stato. Senza escludere la possibilità di una terapia con effetti ancora più immediati e drastici: prestito forzoso in percentuale dei depositi bancari o in cifra fissa quando si posseggano determinati beni di lusso.

Qualcuno griderà che si tratta di interventi “comunisti”, degni del più bieco socialismo reale. Ma è vero esattamente il contrario: con un’operazione di questo genere si potrebbero salvare al cento per cento i patrimoni della classe media ed evitare nuove raffiche di manovre “lacrime e sangue”, nonché assurde “trasfusioni di sangue” fra un paese con problemi di liquidità e un altro apparentemente più solido. Piuttosto il vero problema è quello di avere un governo con la solidità, l’autorevolezza e la credibilità necessarie per far intendere agli italiani che l’operazione prestito forzoso sarebbe nell’interesse di tutti e non rappresenterebbe l’ennesimo scippo ai danni delle loro tasche.

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Alberto Francavilla