ROMA – Con la sua recente proposta di istituire un’imposta patrimoniale, la Cgil ricalca una storica strada della sinistra, politica e sindacale, che però da qualche tempo non veniva piĂą frequentata.
Un aspetto del piano dell’organizzazione guidata da Susanna Camusso – ahimè forse l’unico – è certamente positivo: vengono accantonate le ipotesi, sulle quali si erano gingillati nei mesi scorsi “pezzi da 90” come Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo, di una patrimoniale straordinaria (un’una tantum assai consistente sulla ricchezza che, fra l’altro, potrebbe avere effetti molto pesanti sui consumi e sulla congiuntura), per privilegiare invece quella di un’imposta ordinaria (un prelievo annuale sulla base di un’aliquota molto bassa).
Nel concreto, la Igr della Cgil (scusate il bisticcio), così dovrebbe chiamarsi la nuova tassa, colpirebbe con una percentuale dell’un per cento annuo (o, in alternativa, dello 0,55) tutti i patrimoni netti (si detrarrebbero quindi i mutui e altre partite passive) superiori agli 800 mila euro. Concorrerebbero a formare il patrimonio imponibile i cespiti immobiliari, i depositi bancari, le azioni, le obbligazioni e i titoli di Stato (questi ultimi un tempo portavano la scritta “esenti da ogni imposta presente e futura”).
La “filosofia” cigiellina è quella del “togliere ai ricchi per dare ai poveri”. Infatti il ricavato della nuova imposta (stimato, a seconda dell’aliquota prescelta, fra i dieci e i 18 miliardi di euro annui, praticamente il valore di una legge finanziaria) dovrebbe essere destinato a redistribuire il carico fiscale a vantaggio di lavoratori dipendenti e pensionati, prima ancora che a ridurre debito e deficit pubblici (qualcuno ritiene che la patrimoniale potrebbe disincentivare il ceto politico dall’impegno a ridurre spesa e sprechi pubblici).
