In effetti da almeno un paio di decenni si nota un aumento della polarizzazione dei redditi e della ricchezza: il cinque per cento delle famiglie al top possiede una quota del patrimonio complessivo crescente, viceversa avviene per la fascia bassa. Inoltre si è fortemente ridotta la quota di reddito complessivo che va al lavoro dipendente.
Ci si dovrebbe però chiedere se la strada giusta per diminuire le disuguaglianze sia colpire determinati patrimoni (e sottolineiamo determinati) o non piuttosto far pagare a tutti le imposte sul reddito che fra l’altro si contraddistinguono per una progressività più marcata (purtroppo solo teorica, considerato che i redditi più elevati e da lavoro autonomo riescono spesso a sottrarvisi), come Costituzione vorrebbe.
Il piano Cgil fa il verso all’impôt de solidarité sur la fortune (Isf) francese, istituita nei primi anni Ottanta da François Mitterrand e che l’attuale maggioranza di governo a Parigi vorrebbe “riformare” perché la considera colpevole di ingenti fughe di capitali all’estero (ancorché l’imposta si applichi anche al patrimonio estero accertato dei cittadini francesi) oltre che di entrate assai inferiori alle aspettative.
“Imposta sulle grandi ricchezze” è il nome attribuito alla patrimoniale made in Corso d’Italia. Ma ci si deve chiedere se gli 800 mila euro siano realmente una “grande” ricchezza. Basti pensare al valore di mercato di un appartamento di media-grande ampiezza (abitato da una famiglia di medio-grandi dimensioni: la Cgil non fa però differenza tra famiglie mononucleari e famiglie numerose e questa ci sembra una pecca di non poco conto) in un quartiere semicentrale di Milano, Roma o di qualche altra primaria città : spesso e volentieri basterebbe questa sola “ricchezza” per superare la soglia oltre la quale scatterebbe la patrimoniale.
Ma abbiamo parlato di valore di mercato: quello catastale rivalutato, che necessariamente dovrebbe fornire la base per calcolare questa quota di ricchezza, sappiamo bene essere casuale: talvolta si avvicina al valore di mercato, più spesso ne è inferiore fino a esserne un sottomultiplo. Che dire poi di due famiglie che hanno una casa d’abitazione delle medesime dimensioni ma una al Nord in una città grande e l’altra al Sud in campagna? I valori catastali e anche quelli di mercato saranno diversissimi ma si può veramente dire che la prima famiglia sia effettivamente più “ricca” della seconda? La Cgil, nel presentare la sua proposta, ha correttamente specificato che, perché l’imposta sia equa, occorre una profonda revisione del catasto.
A quest’affermazione è pertinente un solo commento: campa cavallo! Le proprietà immobiliari rappresentano quasi i due terzi della ricchezza delle famiglie italiane e costituiscono certamente la parte del patrimonio più difficile da sottrarre – nascondendola, convertendola e men che meno esportandola – all’Erario: giusto quindi che si dedichi particolare attenzione alle iniquità e alle contraddizioni che questo tipo d’imposizione può nascondere relativamente ai beni immobili.
